Grottaferrata e la Carta Archeologica: la zona di Villa Cavalletti e il colle citato da Plinio. La necropoli, i reperti
Pubblicato: Domenica, 02 Febbraio 2020 - Fabrizio Giusti
GROTTAFERRATA (attualità) - La 23a puntata dentro la documentazione realizzata da Franco Arietti ci porta dentro un sito di estrema importanza per la storia dei Colli Albani
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Nei mesi scorsi ci eravamo già occupati di un sito particolarmente importante per il territorio di Grottaferrata, ovvero l’area di Villa Cavalletti. Qui, agli inizi del novecento, durante lo scavo di una vigna, venne rinvenuta una necropoli che fu anche oggetto di studi e pubblicazioni di livello nazionale.
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Oggi, per la 23a puntata del nostro viaggio all’interno della Carta Archeologica di Grottaferrata, torniamo sul posto, sia per rinnovare la memoria su quell’antica scoperta ma anche per sottolineare e ricercare altre evidenze.
Il complesso antico di Villa Cavalletti è menzionato dalla maggior parte degli studiosi, ma in nessun caso abbiamo una descrizione puntuale, tranne qualche vaga indicazione di alcune strutture, segno che nel corso dei secoli passati la situazione non era dissimile da quella odierna.
Secondo alcune ipotesi, non avvalorate, questo fu l’antico Colle Corne nominato da Plinio il Vecchio e situato nel suburbano Tusculano. Un’attenta ricognizione nell’area ha consentito di ritrovare la sostruzione occidentale di una villa romana. I resti che delimitano il pianoro ad ovest non sono visibili perché sepolti dalla terra, evidentemente in seguito alla sistemazione della ripida scarpata. Solo a meridione si scorge un piccolo tratto del paramento in opera reticolata, ma solo per una lunghezza di circa due metri, a lato di una costruzione moderna appoggiata al muro sostruttivo. Intorno a quest’area si trovano, per identificare la zona, vari edifici, sia la villa rinascimentale dei Marchesi Cavalletti che varie pertinenze ad essa collegate, così come quelli costruite negli anni ’60 dello scorso secolo. Essi non mostrano tuttavia tracce di preesistenze, per cui non è possibile stabilire se la villa romana si sviluppasse su terrazzamenti degradanti, come tradizionalmente avviene nel Tuscolano. A nord, presso il limitare del bosco, alcuni basoli sono stati riadoperati per formare una sorta di scala lungo il sentiero; essi sono in giacitura secondaria e dovrebbero provenire dai campi a valle, dove furono rinvenuti. Nel boschetto a meridione del parco è stato identificato un piccolo edificio rettangolare, non menzionato finora dagli studiosi, la cui posizione all’esterno del complesso ha suggerito una trattazione a parte.
IL SEPOLCRETO - La scoperta in questa area di un sepolcreto avvenne in circostanze fortuite, nel corso dell’impianto di un vigneto avvenuto tra la fine del 1901 e gli inizi del 1902. L’area interessata viene localizzata con sufficiente precisione nel pianoro a settentrione di una siepe che fiancheggiava il viale d’ingresso alla villa. Nel febbraio del 1902, a lavori ultimati, il Marchese Cavalletti avvertì le autorità della scoperta. Gli archeologi Colini e Mengarelli, a cui dobbiamo una dettagliata relazione, trovarono il complesso già scavato ed i numerosi reperti disposti su tavoli. Nonostante il loro impegno nel tentare di ricomporli, è evidente che purtroppo la loro integrità venne compromessa, per cui gran parte del materiale ha perduto la sua validità scientifica.
Gli archeologi scavarono solo alcune tombe, una delle quali disturbata dalle profonde radici di una siepe di mortella. Di tutto il complesso, vengono di solito considerati relativamente integri sette corredi tombali e alcuni altri parzialmente ricomponibili. Si è detto per molto tempo che tutte le sepolture, senza eccezione, fossero ad incinerazione, ma secondo Franco Arietti vi sono sufficienti ragioni per dubitare di queste affermazioni. Scavi effettuati nell’area di Gabii, hanno rivelato per questo periodo un’articolazione assai varia per ciò che riguarda il rituale funebre di queste fasi (inizi IX secolo a.C.), che prevede, accanto alle tombe ad incinerazione, tombe di inumati in fossa. Pertanto è presumibile che nel corso dello scasso del vigneto, eseguito a mano, vennero visti solo i grossi e pesanti dolii di terracotta, contenenti l’urna cineraria e gli oggetti del corredo, mentre le tombe a fossa, notoriamente assai difficili da identificare in corso di scavo, non furono viste dagli operai. Solo i vasi o ciò che capitava di trovare venne raccolto. Ciò spiega l’abbondante materiale adespota facente parte del complesso di Villa Cavalletti.
Nell’insieme, il materiale è relativo ad un breve periodo che genericamente si può collocare alla prima metà del IX se. a.C.. L’assenza delle fasi successive, analogamente a quanto avvenuto nelle necropoli coeve dei Colli Albani (Castel Gandolfo, scavi 1816-1817), ha fatto pensare ad collasso culturale dell’intera regione albana, con conseguente spopolamento di tutta l’area. Recenti studi ribadiscono nella Carta, invece, la necessità di indagini archeologiche sistematiche ed approfondite. Un esempio concreto viene fornito dalle uniche tombe scavate scientificamente a Villa Cavalletti, una delle quali appariva a tutti gli effetti una tomba a fossa contenente una inumazione, databile con certezza al primo quarto dell’VIII sec. a.C.: questo dato, purtroppo del tutto ignorato dagli studiosi, lascia capire che, presumibilmente, non solo non vi fu alcun abbandono dell’area, ma che la necropoli mostrava tombe più antiche a settentrione e le più tarde rivolte verso il viale d’ingresso.
Non si esclude che il sepolcreto di Villa Cavalletti sia da mettere in relazione ad un antichissimo tracciato stradale. Sulla posizione del rispettivo abitato, tutti gli studiosi sono d’accordo nel collocarlo sul vicino colle dove successivamente venne costruita una villa in epoca romana.
E’ possibile comunque che in origine l’abitato si sia sviluppato anche lungo le pendici meridionali del colle, mentre non è da escludersi, tra IX e VII sec. a.C., che nell'area furono sistemate relative opere di fortificazione difensive (aggere). Per ultimo, va considerata l’ipotesi, sostenuta a suo tempo da Arietti e da Bruno Martellotta, dell’identificazione dell’abitato di Villa Cavalletti con una delle curie gentilizie albane.
Il materiale della necropoli di Villa Cavalletti viene conservato al Museo Preistorico Etnografico L. Pigorini, dove fino a qualche anno fa, un’intera sala era dedicata ai materiali più rappresentativi del sepolcreto di Grottaferrata. L'auspicio è che un giorno, in tempi migliori, il Museo Nazionale dell’Abbazia di S Nilo possa ospitare almeno una parte del materiale non esposto al Pigorini. Sarebbe la sua collocazione 'naturale' (Leggi anche: Grottaferrata: cronistoria recente di un Museo Archeologico Nazionale ‘mutilato’).
Le altre puntate:
7 - Grottaferrata e la Carta Archeologica: l’antichissima via Cavona (Via Valeria)
9 - Grottaferrata e la Carta Archeologica: la Villa di Rufino Vinicio Opimiano
10 - Grottaferrata e la Carta Archeologica: una grande villa tra Via Anagnina e Via Sant’Andrea
11 - Grottaferrata e la Carta Archeologica: 'Quarto Montioni', tra ville romane reali e presunte
21 - Grottaferrata e la Carta Archeologica: Villa Muti, Villa Grazioli e i resti di età imperiale
Info:
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