Grottaferrata, quando si fa finta che la Carta Archeologica non esista...

Pubblicato: Domenica, 22 Settembre 2019 - Fabrizio Giusti

GROTTAFERRATA (attualità) – In città rilevati 271 punti archeologici. Un documento mai utilizzato nelle pratiche edilizie. I sondaggi preventivi sono rari. Ma ora è il momento di voltare pagina. Le prime Associazioni si mobilitano

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Può un intero panorama politico disinteressarsi all’aspetto archeologico di una città? Può accadere. Anzi, lo ha fatto per molto tempo e lo sta facendo. Da anni continua a parlare di problemi urbanistici (senza risolverli e anzi complicandoli), eludendo, ad esempio, strumenti che si possono utilizzare sia a garanzia della congruità delle necessità imprenditoriali del settore e sia per la salvaguardia del patrimonio comune.

A Grottaferrata sono presenti 40 ville monumentali, 36 strade, catacombe, mausolei, insediamenti, necropoli e altre evidenze per un totale di 271 siti archeologici. Sono stati censiti tutti nella Carta Archeologica redatta nel 1999 (e aggiornata nel 2008) dall’archeologo Franco Arietti.

Una Carta mai utilizzata (non è neanche presente, come dovrebbe, nel portale web del Comune per una corretta consultazione da parte dei cittadini).

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Eppure fu la Giunta di Mauro Ghelfi a deliberarla (17 luglio 2007) con una indicazione precisa: "…prendere visione della carta archeologica in sede di istruttorie edilizie presenti sul territorio di Grottaferrata…". Ebbene, nessuna pratica riporterebbe da allora un confronto con il documento per il nulla osta.

La Carta è una mappa unica nel territorio, che ha un termine di paragone solo nella vicina Roma. Non risultano inoltre istituiti, anche nei casi passati, di recente costruzione, richiami ai sondaggi di terreno preventivi, assolutamente indispensabili per comprendere cosa ci sia nell’area individuata per l’edificazione di una palazzina o di un comprensorio.

A oggi, ascoltando e visionando i consiglio comunali, l’aula consiliare di Palazzo Consoli, anche nei dibattiti riguardanti la futura pianificazione urbanistica (molto lontano dall’essere attuata) ha mai sentito il dovere di sollevare il problema, fondarci un ampio dibattito e proporre l’approvazione della stessa carta archeologica come elemento urbanistico indispensabile nelle norme della futura idea di città. La questione non è di poco conto, visto che recentemente cittadini ed associazioni sembra si stiano per mobilitare al fine di considerare un eventuale iniziativa popolare di proposta di delibera. Un fatto che determinerebbe per forza di cose un interesse da parte di quelle forze politiche, liste civiche e movimenti che oggi sembrano sottovalutare il tema.

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In un paese che sta discutendo di ulteriori 190mila metri cubi da distribuire nelle periferie, dove il consumo di territorio e quello delle acque è un argomento che dovrebbe preoccupare, in cui dalla zona di Pratone fino a Via delle Vascarelle, solo per fare due esempi chiave, per diverse destinazioni, con permessi legittimi acquisiti, si sta andando verso la realizzazione di 70mila metri cubi anche in aree inizialmente conosciute come agricole, paesistiche e di potenziale interesse archeologico, nulla si dice dello strumento esclusivo (perché solo Grottaferrata ne è in possesso) che viene scarsamente consultato e non viene inserito nelle analisi delle conferenze o dei pareri.

Basti ricordare, solo per citare un aneddoto, ciò che accadde circa quindici anni fa in zona Casal Molara dove era prevista una grande lottizzazione. Inizialmente la cosa sembrava dovesse andare in porto in assenze di evidenze archeologiche. Invece, proprio grazie al lavoro introdotto dalla Carta del Dott. Arietti, con successivi sondaggi preventivi, emersero l’antica Via Latina e la Statio Roboraria. La zona fu conseguentemente vincolata (la foto pubblicate risale a quei giorni).

Vengono realizzati questi sondaggi preventivi? Saranno fatti? E non dovrebbero essere la prassi in una cittadina con 271 siti archeologici?

E’ di questi giorni, inoltre, la segnalazione (ma crediamo sia solo un esempio tra i troppi) di un edificio costruito tra l’Anagnina e via Bartolomeo Gosio dove sulla carta archeologica è riportata proprio l’antica via Latina e un monumento. C’è stato interesse da parte di liste, listine, partiti o movimenti politici sulla vicenda? No. Speriamo che nella prossima assise municipale qualcuno chieda spiegazioni per eventuali chiarimenti nel merito.

In un territorio come quello delle colline romane, dell’area albana o tuscolana, preesistente alla nascita di Roma, anticipatrice di una civiltà che ha influenzato l’Europa, si crede troppo spesso che queste zone siano state rese visibili e abbiano trovato una collocazione esclusivamente sulla cultura del ‘magna e bevi’ (le cui eccellenze, si badi bene, devono essere sempre tutelate perché fanno parte della narrazione popolare delle comunità). In realtà c’è tutt’altro, e di più profondo, e di più interessante e importante. Una storia che andrebbe valorizzata costantemente, ricercata, difesa, conservata, portata a conoscenza delle nuove generazioni come lascito per la costruzione del futuro e, perché no, di una stabile economia quotidiana del turismo (differente, per gli effetti duraturi sul territorio, da quella del ‘mordi e fuggi’ delle feste) e persino della propria immagine nel mondo.

Si è preferito invece, troppo spesso, per molti anni, sorvolare l’argomento. Per calcolo? Per interessi di comodo che non mancano mai? Per facile consenso elettorale? Neanche importa più. Ed anche se fosse, il danno già fatto è irrimediabile. C’è la possibilità, altresì, di cercare del riscatto dove c’è ancora. Ed è doveroso utilizzare tutti i mezzi a disposizione per raggiungerlo.

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