Artemisia Gentileschi, la grande arte e il coraggio

Pubblicato: Sabato, 08 Luglio 2023 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - L'8 Luglio 1593 nasce a Roma un'artista rivoluzionaria

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All'inizio del XVII secolo per una donna dedicarsi alla pittura rappresentava una scelta difficile, un'impesa di natura sociale. Tuttavia in quegli anni alcune pittrici esercitarono,  con buon successo, la loro attività: Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Fede Galizia, Lucrina Fetti. Altre artiste, con alterne fortune, intrapresero la loro carriera.

In questo ristrettissimo gruppo di talento, emerse una figura che divenne storica per la dinamica della sua vita, per le scelte che fece e il suo modo di interpretare l’arte: si chiamava Artemisia Gentileschi ed ha trovato nei secoli dell’arte una sua dimensione precisa, come è capitata solo ai grandi.

Nata a Roma l’8 Luglio 1593, fin dalla tenera età è abituata a frequentare pittori di fama, i colori, le botteghe del suo tempo.  Osserva da vicino il Caravaggio, ammira Guido Reni e tanti altri.

Artemisia è figlia di Orazio, pittore e amico proprio del Caravaggio. Orfana di madre, a solo 17 anni realizza il primo dipinto “Susanna e i vecchioni”

 L'episodio al quale si riferisce l'opera è narrato nel Libro di Daniele: Susanna, sorpresa al bagno da due anziani signori che frequentavano la casa del marito, è sottoposta a un ricatto sessuale: o acconsentirà ai loro appetiti o i due diranno al marito di averla sorpresa con un giovane amante. Susanna accetta l'umiliazione. Sarà Daniele a smascherare la menzogna dei due miserabili uomini. Il quadro è considerato dai critici come una dimostrazione del livello delle capacità pittoriche di Artemisia, ma anche della ricerca di una  autonomia rispetto al padre, considerato opprimente.

Roma è in quel momento un grande centro artistico. Sono gli anni della Riforma Cattolica, del restauro di numerose chiese, della trasformazione dell'antica città medievale in piazze, strade e residenze gentilizie.

In quella città c’è anche un'alta densità di mendicanti, prostitute e ladri, ma anche pellegrini e artisti.

La vita di Artemisia è segnata da un terribile scandalo che segna profondamente la sua vita e la sua arte. La ragazza viene infatti stuprata a 18 anni da Agostino Tassi.

Il Tassi, detto «lo smargiasso» o «l'avventuriero», era un pittore talentuoso, ma con un carattere burrascoso e violento. Orazio Gentileschi aveva grande stima di lui e accettò di insegnare ad Artemisia le tecniche della pittura e della prospettiva.

Nel maggio del 1611 accade l’agghiacciante fatto. Lo stupro di Artemisia si consuma nell'abitazione dei Gentileschi in via della Croce. Artemisia descrisse in seguito l'avvenimento con queste parole tremende:

"Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch'io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, avendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne".

Il padre Orazio tacque sulla vicenda. Solo nel marzo del 1612, quando la figlia scoprì che Tassi era coniugato, e quindi impossibilitato al matrimonio che aveva promesso, papà Gentileschi  indirizzò una querela a papa Paolo V per sporgere denuncia.

Le parole utilizzate furono le medesime: «Una figliola dell'oratore [querelante] è stata forzatamente sverginata e carnalmente conosciuta più et più volte da Agostino Tasso pittore et intrinseco amico et compagno del oratore, essendosi anco intromesso in questo negozio osceno Cosimo Tuorli suo furiere; intendendo, oltre allo sverginamento, che il medesimo Cosimo furiere, con sue chimere, abbia cavato, dalle mane della medesima zitella, alcuni quadri di pitture di suo padre et in specie una Juditta di capace grandezza. Et perchè, B[eatissimo] P[adre], questo è un fatto così brutto et commesso in così grave et enorme lesione et danno del povero oratore et massime sotto fede di amicizia che del tutto si rende assassinamento»

Artemisia,  traumatizzata dall'abuso sessuale, affrontò il processo con un notevole coraggio. L'attività giudiziaria fu compromessa dall'impiego di falsi testimoni che arrivarono a mentire per danneggiare la reputazione della famiglia Gentileschi.

Artemisia fu inoltre obbligata numerose volte a visite ginecologiche lunghe e umilianti. Le sedute accertarono un'effettiva lacerazione dell'imene. Per verificare la veridicità delle dichiarazioni rese, fu sottoposta ad un interrogatorio sotto tortura per accertare la verità. Il supplizio scelto consisteva nel legare i pollici con delle cordicelle che si stringevano sempre di più sino a stritolare le falangi. Nonostante i dolori, non ritrattò la sua deposizione.

Il 27 novembre 1612 le autorità giudiziarie condannarono Agostino Tassi per «sverginamento» e lo condannarono a cinque anni di reclusione o, in alternativa, all'esilio perpetuo da Roma. Com'è prevedibile, optò per l'allontanamento, anche se non scontò mai la pena: non si spostò mai da Roma poiché i suoi potenti committenti romani esigevano la sua presenza fisica in città. Artemisia, come prevedibile, fu oggetto di sonetti oltraggiosiil suo nome messo all’indice, alla pubblica piazza, giudicato, insultato.

Il 29 novembre 1612, Artemisia convolò a nozze con Pierantonio Stiattesi. Le nozze, celebrate nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, furono organizzate, in pieno ossequio con la morale dell'epoca, in modo da restituire alla ragazza una sorta di onorabilità. Artemisia seguì poi lo sposo a Firenze. Lasciare Roma fu una scelta liberatoria. Firenze in quel periodo stava attraversando un periodo di vivace, soprattutto grazie a Cosimo II, dotato di grande sensibilità anche per la musica, poesia, scienza e pittura. La Gnetileschi intrecciò amicizie con  Galileo Galilei e  Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote del celeberrimo artista, che la introdusse nel mondo che contava procurandole numerosissime commissioni e clienti.

Il 19 luglio 1616, Artemisia venne ammessa alla prestigiosa Accademia delle arti del disegno di Firenze: fu la prima donna ad avere tale privilegio.

L'artista ritornò nella Città Eterna nel 1621 e seguì il padre Orazio a Genova . A Genova conobbe van Dyck e Rubens. Ormai  non era più considerata una giovane pittrice. Al suo ritorno a Roma, ad esempio, gli appassionati d'arte ammiravano ormai con entusiasmo il suo talento artistico.

Riconosciuta anche livello internazionale, approdò negli anni successivi in Inghilterra e due volte a Napoli.

Si presume sia morta durante la terribile peste che colpì Napoli nel 1656. Fu seppellita presso la chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini di Napoli, sotto una lapide che recitava due semplici parole: "Heic Artemisia".

Il culto di Artemisia Gentileschi si è ravvivato, dopo il decesso che l’aveva relegata ad una sorta di oblio, nel 1916, anno in cui fu pubblicato un articolo di Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia, che finalmente diede dignità alla la Gentileschi non solo in quanto donna, ma anche come artista. "L'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità”, scrisse.

Artemisia, collocandola nel contesto dei diversi ambienti artistici che la pittrice frequentò, fu un esempio contro i pregiudizi che si esprimevano nei confronti delle donne pittrici,  riuscendo a inserirsi nella cerchia degli artisti più noti del suo tempo, ma allo stesso qual modo, per la sua esistenza tortuosa e controcorrente, è considerata oggi un esempio di libertà che ha anticipato molte delle sensibilità che la società ha maturato solo in questi ultimi decenni. Partendo da un dolore atroce, seppe costruirsi una vita dove l’arte sviluppò un messaggio potente e di qualità.

Il suo quadro più noto oggi, ’’Giuditta che decapita Oloferne’’, è legato all'episodio narrato nel Libro di Giuditta: l'eroina biblica, assieme ad un'ancella, si reca nel campo nemico e qui circuisce e poi decapita Oloferne, il feroce generale nemico.

L'analisi del quadro, in chiave psicologica, ha portato alcuni critici contemporanei a vedervi il desiderio femminile di rivalsa rispetto alla violenza sessuale subita da Agostino Tassi.

Fu una donna coraggiosa e una grande artista. Il tempo le ha dato ragione.