VICENDE - L'incontro agli Arcioni tra Rosa ed il fantasma del frate francescano

Pubblicato: Domenica, 18 Giugno 2023 - redazione attualità

arcioni roccadipapa ilmamilioROCCA DI PAPA (vicende) - Il suggestivo sito archeologico, nel cuore dei Castelli romani, è il teatro di una antica leggenda

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A Rocca di Papa ha origine la Valle degli Arcioni, in località Pentima Stalla, una rupe vulcanica a picco alta circa settanta metri, grandioso avanzo di eruzione di lava del colossale Vulcano Laziale.

La Valle dista circa 1,2 km dal profondo precipizio, dove sorgono i resti dell’omonimo acquedotto romano che si articola lungo undici campate con arcate – da qui il nome degli Arcioni – di altezza decrescente. Questo luogo misterioso e affascinante è stato oggetto di studi di molti noti archeologi come Giovan Battista De Rossi, Rodolfo Lanciani e Thomas Ashby. Era noto anche ai pittori paesaggistici del Grand Tour, come Edmund Hottenroth (1804-1889), che lo dipinse nel 1862 (nella foto).

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Probabilmente, però, sono in pochi a conoscere la leggenda del frate degli Arcioni che aleggia sull’acquedotto romano, riportata nel libro della scrittrice Rita Gatta, Svrìnguli Svrànguli - Brani e sonetti in vernacolo e non su Rocca e dintorni, Monte Compatri, ed. Controluce, 2010, pp. 129-131.

La protagonista è una bambina di nome Rosa, bionda e dagli occhi di un azzurro intenso, le cui fattezze rimarcavano le antiche origini bavaresi di quella zona del paese all’ombra della Fortezza. Era un pomeriggio come tanti altri e Rosa passeggiava nel bosco assieme a un gruppo di bimbi festosi, che disordinatamente correva verso la strada principale: era l’ora del rientro.

Nonostante le lunghe ore ancora assolate, le tenebre stavano calando; i piccoli affrettavano dunque il passo per non imbattersi in un rimprovero da parte degli adulti.

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Quella sera Rosa seguiva come sempre il gruppo di coetanei e cuginetti, quando improvvisamente pensò di fermarsi per raccogliere un mazzolino di fiori selvatici per la sua mamma. Mentre raccoglieva dei ciclamini e osservava alcune farfalle dai colori più variopinti, udì le voci dei suoi coetanei allontanarsi sempre di più. La bimba si rese conto improvvisamente che quel tappeto fiorito, tra ciuffi di erba smeraldina, l’aveva distratta e fatta attardare. Allora si distolse bruscamente dall’incantesimo che l’aveva imprigionata in un’altra dimensione senza confini spazio-temporali e iniziò a muoversi verso il gruppo, nella speranza di raggiungerlo. Dopo i primi passi un pò incerti per sgranchire le gambe anchilosate dallo sforzo di essere rimasta accovacciata, Rosa si diresse a passo spedito verso i coetanei di cui ormai avvertiva la sola presenza sonora.

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Non era inquieta poiché conosceva bene la strada, non temeva il senso di solitudine perché le voci dei compagni la facevano sentire comunque in compagnia; era consapevole della sua abilità nella corsa e contava di raggiungerli poco dopo una curva, nei paraggi dell’antico acquedotto romano degli Arcioni. Dopo pochi minuti il rudere apparve dinanzi ai suoi occhi e Rosa si sentì ancora più rassicurata, alzò gli occhi al cielo e vide il tramonto che velava quell’azzurro del cielo di fine estate.

Improvvisamente, però, lo sguardo di Rosa fu attratto da qualcosa che percepì come anomalo alla normalità del paesaggio che le era ben noto.

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La bimba rallentò la corsa e riuscì a distinguere l’immagine piuttosto evanescente, un ectoplasma diremmo oggi, di un frate francescano che leggeva il breviario; sembrava assorto nelle preghiere e pareva non aver minimamente avvertito la presenza della piccola fanciulla. Il cuore di Rosa accelerò i battiti e le sue gambe non riuscivano più a rispondere al comando della corsa. Per un attimo la bambina lo scrutò con apprensione, la prima cosa che notò fu il saio logoro, il cui orlo impolverato spiccava tra i ciuffi d’erba. Abbassando lo sguardo, Rosa notò i piedi che calzavano dei sandali di cuoio color tabacco.

Il frate era assorto nella preghiera stringendo tra le mani un Crocifisso di legno, le sue unghie rosa e ben curate parevano voler sorreggere quel Cristo sofferente, fin quasi ad alleviarne le sofferenze. In quell'attimo il religioso sollevò la testa e i suoi occhi dolcissimi incrociarono quelli di Rosa, un sorriso si materializzò sulle labbra del frate, che chiuse il breviario e lentamente si alzò in piedi sollevando la mano destra in un sacro gesto di benedizione. Poi girando le spalle curve si inoltrò verso il bosco e dopo qualche passo scomparve in un pulviscolo evanescente.

La bimba rimase immobile per un tempo che le sembrò infinito, vide la figura del frate scomparire di fronte ai suoi occhi e il cuore riprese poco a poco un battito regolare.

Udì le grida dei suoi compagni che, finalmente accortisi della sua assenza, erano tornati indietro a cercarla; il gruppo a quel punto si riunì e spensierati si avviarono verso il paese.

La mamma di Rosa, vedendo la figlia porgerle il mazzolino di fiori che aveva raccolto, la accolse con un abbraccio affettuoso che allontanò per sempre il ricordo di quel frate misterioso…

di Flavia Santangeli


Commenti  

# Massimiliano 2023-06-18 21:48
Le storie che scrive la nostra Flavia è un connubio di verità o fantasia ma poco importa l’importante è che leggere trasmette emozioni complimenti a Flavia santangeli
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# Frank 2023-06-19 18:52
Ho avuto modo di vedere questi Arcioni durante  un'escursione in bici e sono rimasto affascinato dalla maestosità di questi resti che lasciano supporre quanto fossero colossali  queste opere  che  trsportavano le acque sorgive dalle montagne all'urbe con una pendenza costante e così perfetta che i genieri dell'epoca riuscivano a calcolare con esattezza quando il primo gettito  sarebbe sgorgato nella fontana al momento della sua inaugurazione. Una  vera e propria magia che conferiva un'aura magica a tutta la struttura e per questo molto spesso designata a sede di fantasticherie come quelle dei fantasmi .
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