Franco Basaglia, l'uomo che aprì i cancelli verso una nuova civiltà

Pubblicato: Sabato, 11 Marzo 2023 - redazione attualità

ACCADDE OGGI – 11 Marzo 1924: nasce lo psichiatra che ha cambiato l’Italia

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La discriminazione dovuta al pregiudizio è ancora un problema sociale. Imparare a vivere sui valori dell’empatia, del rispetto per l’altro e la libertà umana è un processo lungo e difficile nell’epoca che utilizza e poi ricompra, cercando sempre la funzionalità e la perfezione anche nel fisico e nell’apparire.

Franco Basaglia insegnò a guardare chi è in difficoltà come un interlocutore da ascoltare, comprendere senza averne paura, vivendo la sua sofferenza. Ebbe il merito di trattare la ‘devianza’ e la ‘malattia mentale’ spaccando quel meccanismo che non recuperava e curava, ma opprimeva e isolava uomini e donne in una realtà disumana.

Psichiatra e filosofo, è stato uno degli intellettuali italiani più influenti del Novecento italiano. Fu uno sperimentatore che diede origine ad una cultura che mirava alla creazione di azioni capaci di ridare dignità alle persone, contestando quei luoghi di cura che si trasformavano in uno strumento per sorvegliare, punire, assistere alla morte.

Quando Basaglia nel 1961 entrò come direttore nel manicomio di Gorizia, cominciando il suo percorso rivoluzionario, la società italiana era ancora quella del 'boom economico', ma anche del lento declino che stava conducendo verso la prima crisi economica del dopoguerra, emersa a causa di una crescita sregolata e avvenuta in modo difforme dal Nord al Sud (e ancora ne paghiamo le conseguenze). In quell'Italia, fatta di nuove povertà, alienazioni, corse al denaro e sganciamenti irreali dalla quotidianità, si diventava matti (al di là dei problemi di tipo fisico e psichico) perché si era rimasti soli nelle campagne o perché si era abbandonata la terra d'origine, oppure si veniva ingoiati dalla follia perché si passavano ore su ore nella catena di montaggio o nell'isolamento delle periferie torinesi, genovesi, milanesi. Si diventava ''matti'' perché un bravo contadino poteva non diventare un operaio di produttività qualitativamente alta. Perché, sopratutto, una fabbrica non si coltivava: era lei che ti inglobava e ti usava, anche se ti dava l'opportunità di mangiare e vivere.

Basaglia è colui che girò pagina. Dimostrò, con l'esempio, che era possibile vivere in una società senza manicomi in cui carcerare le vite. Fondatore della concezione moderna della salute mentale, riformatore della disciplina psichiatrica, ispiratore della cosiddetta Legge 180, introdusse un'importante revisione degli ospedali psichiatrici e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti sul territorio. Sostenne che il medico non doveva solo saper osservare la malattia, soffermarsi sui sintomi, darne una spiegazione, ma doveva iniziare ad avvicinare il paziente mettendosi dalla sua parte, stabilire una relazione con un ascolto partecipe. Indicò quindi l'urgenza di migliorare la gestione e la custodia dei malati mentali e da questa analisi maturò la critica radicale dell'istituzione del manicomio, inteso luogo di emarginazione, mettendo al centro le disparità della ''malattia'' tra poveri e ricchi. Disse: ''Uno schizofrenico abbiente, ricoverato in una casa di cura privata, avrà una prognosi diversa da quella dello schizofrenico povero, ricoverato con l'ordinanza in ospedale psichiatrico. Ciò che caratterizzerà il ricovero del primo, non sarà soltanto il fatto di non venire automaticamente etichettato come un malato mentale "pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo", ma il tipo di ricovero di cui gode lo tutelerà dal venire separato dalla propria realtà''. Parole che hanno cambiato l'Italia.

Il medico si convinse nella sua attività che il ''folle'' non aveva bisogno non solo delle cure, ma anche di un rapporto umano con chi lo curava, di risposte, di denaro, di una famiglia. Riscoprire la dimensione più misteriosa dell'essere umano diventò la sua missione. Convinse la politica e gli italiani a cambiare, partendo da una certezza: non si può trasformare il mondo senza trasformare se stessi, senza esporsi al rischio di diventare altro da ciò che si è.

Il problema è che la società, per dirsi civile - affermò - dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la riduce alla ragione nel momento in cui esiste una scienza che si incarica di eliminarla. Il manicomio ha la sua ragione di essere, perché fa diventare razionale l'irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio, smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato. Il problema è come sciogliere questo nodo, superare la follia istituzionale e riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita”.

Lui fece chiudere i giardini dei fratelli scomodi e aprì quelli della civiltà. La sua fu una lezione di vita che ci invita a non diffidare aprioristicamente di chi è diverso, da chi non è comune e pensa diversamente.