Monte Cavo e lo scempio moderno. Osservatorio Archeologico Colli Albani spiega la storia del tesoro perduto e dei suoi scavi sconosciuti

Pubblicato: Giovedì, 11 Gennaio 2018 - Fabrizio Giusti

ROCCA DI PAPA (attualità)- Franco Arietti sul valore dell’area e le vicende attorno all'introvabile tempio di Giove 

Un breve riassunto della storia degli scavi su Monte Cavo, a Rocca di Papa, per far comprendere l’importanza di un’area devastata dai tralicci e compromessa dalle logiche della modernità. Una vicenda che ai pochi mezzi destinati alle indagini archeologiche, si unì una “disordinata ricerca ossessiva del tempio di Giove in particolare, fatta di scavi a “macchia di leopardo”, che nell’insieme fornirono un quadro confuso e incomprensibile del tessuto archeologico originale”. Parole dell’archeologo Franco Arietti, scritte sul sito dell’Osservatorio per l’Archeologia dei Castelli Romani (http://www.osservatoriocollialbani.it/) e alll’interno del quale si è trattato nuovamente il tema della sommità cara alle civiltà passate.

L’area, in antichità, fu frequentata dagli Albani, poi da tutti i popoli latini in un periodo in cui – secondo l’esperto - non si poteva parlare di edifici di culto veri e propri, costruiti in altre parti del Lazio dal VI e V secolo a.C. in poi. Appartiene a questa fase storica la 'strada arcaica', lastricata solo a partire dal III o II sec. a. C. Questa fu percorsa per il periodo protostorico, arcaico e medio repubblicano. Il suo tracciato originale non necessariamente doveva coincidere con quello successivo. Nell’età più antica, sul Monte Albano esistevano solo degli spazi cultuali a cielo aperto a cui si sovrapposero altri spazi consacrati e i nuovi culti di Giove Laziale (poi quello di Giunone Moneta) della cui struttura non si sa nulla a causa della parzialità degli scavi ottocenteschi e del primo novecento.

 

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Arietti fa comprendere che si ancora “lontanissimi dalla pur minima comprensione dell’assetto topografico originale dell’area sacra nei vari momenti storici”. La ricerca del tempio di Giove lascia infatti insoluti tutti i problemi legati a quest’area di altissimo interesse storico archeologico. “Forse in futuro – afferma l'archeologo - si potranno riprendere le ricerche e in questa direzione non mancherà la massima attenzione e l’impegno dell’Osservatorio dei Colli Albani”.

Sappiamo comunque che la zona è di altissimo pregio. Qui, infatti, Giove Laziale sostituì le più antiche divinità albane ed ogni anno tutti i popoli del Latium vetus rinsaldavano la loro unità attraverso le feriae latinae (“feste latine”), che culminavano con la comunione dei popoli attraverso la spartizione della carne ottenuta dal sacrificio di un toro. Secondo Plinio, in età medio repubblicana, le delegazioni dei popoli arrivarono a cinquanta. La sera del terzo giorno si accendeva un gigantesco falò, visibile da ogni parte del Lazio. Un fuoco sacro tratto dall’ara delle vestali (l’altare recentemente identificato a Prato Fabio?, si domanda Arietti), il quale annunciava la felice conclusione dei riti.

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L’egemonia di Roma non mutò il ruolo del santuario. Di più: il primo atto ufficiale dei consoli che entravano in carica ogni anno a gennaio doveva essere quello di salire sulla vetta del Monte Albano e indire la data delle ferie latine. La cerimonia si mantenne inalterata per tutta l’età imperiale al fine di onorare due entità indissolubili: “il mons Albanus Alba Longa (Prato Fabio) – spiega Arietti - il luogo in cui la tradizione pone la nascita di Romolo – il fondatore di Roma – e con lui tutte le principali leggende e tradizioni della Civiltà Latina”.

L’importanza del  Monte Albano è confermata anche dall’opera di Tito Livio, che lo cita oltre trenta volte e sempre in connessione con l’area sacra con tutta una serie di indicazioni su dove fosse ubicata Alba Longa, alle pendici del Monte e lungo la sua dorsale, separando così l’area sacra da quella parte di monte successiva le cui pendici lambiscono effettivamente il margine del lago. “Ciò chiarisce l’equivoco di quanti hanno erroneamente cercato (e immaginato) – continua Arietti - Alba Longa in vari punti del bacino lacustre”.
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Arietti ci conduce quindi in una lunga relazione la continuità degli scavi, i quali però avrebbero bisogno ormai di grandi approfondimenti nell’attualità. Dai primi interventi del 1573, ad opera del cardinale Ursino su licenza di Marcantonio Colonna, a quelli del 1843, del 1876, fino a quelli del 1912 – 1914 e del del 1929. Tutti alla ricerca del tempio di Giove. Scavi infruttuosi da un lato, ma che consentirono importanti ritrovamenti durante costruzione del convento ed ai lavori dei PP. Passionisti, in particolare tra il 1774 e il 1779, con l’ampliamento del convento e la ricostruzione della chiesa. Nel 1869 i Padri Passionisti rinvennero i frammenti marmorei dei fasti consolari, la lista dei consoli che, a partire dalla metà del V sec. a.C. (i decemviri), salirono sul Monte Albano per indire le ferie latine. Anche questo ritrovamento fu accompagnato dalla distruzione di una struttura, se non addirittura dell’edificio stesso che ospitava i fasti. “Notevole – commenta Arietti - nel contesto di questi anni, è la notizia del ritrovamento di mosaici e di edicole rotonde nei pressi della statua ritenuta di Giove, così come riportato nella cronaca del convento.

Oggi Monte Cavo è una selva di tralicci, per la rimozione dei quali ancora ci si batte e sui quali il dibattito politico si è riacceso di intensità dopo la famosa sentenza che ha aperto la strada agli abbattimenti e ancora disattesa. Scendendo al di sotto della ferraglia che da trent’anni e più brutalizza un intero territorio, si possono ancora scorgere le bellezze di un antica civiltà perduta, eppure ancora tra noi, nei nostri occhi. Ma sopratutto è ancora possibile ipotizzare la sua importanza per le vicende umane millenarie di un intero territorio. Vicende in realtà mai concluse e mai rese puntuali a causa dell'interruzione dei processi di studio, attraverso gli scavi, della zona.

La traduzione di un testo scolastico spesso offerta agli studenti, "L'ira di Giove", afferma:Giove vide dal monte Olimpo che gli uomini disprezzavano dio e che erano avidi di crudele strage e così, molto irato, convocò il concilio. Il padre degli dei e degli uomini sedeva su un alto trono di marmo, teneva nella destra uno scettro di (ebore) e muoveva il capo (terrificum) tre e quattro volte. Dopo mostrò la sua indignazione con dure parole. L'infamia degli uomini è grande; l'ospite viola l'ospite, il figlio non presta venerazione al padre, il fratello lotta con il fratello. Dunque sentite il mio parere: gli uomini pagheranno con una dura e repentina morte le colpe. Gli dei approvarono le due parole del dio a gran voce. Tuttavia la rovina del genere umano fu causa anche di grande dolore, e così alcuni dei chiesero a Giove: salva gli uomini, Giove benevolo! Chi porterà vittime e doni nei nostri altari? Ma il re dei cieli rassicurò gli animi: siate tranquilli, abiterà la terra una nuova stirpe, buona e tranquilla”.

Guardando lo scempio della vetta di Monte Cavo, attendiamo ancora quella nuova stirpe.

Per leggere la relazione di Franco Arietti: Cosa si trova sotto i tralicci di Monte Cavo? Storia degli scavi archeologici (che nessuno conosce)