Nel 60° del Concilio Ecumenico Vaticano II

Pubblicato: Mercoledì, 30 Marzo 2022 - redazione attualità

concilio vaticanoII ilmamilioROMA (attualità) - Un momento di profonda rivoluzione per la Chiesa di Roma

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di Valentino Marcon

Ricorre quest’anno il Sessantesimo anniversario del Concilio Ecumenico Vaticano II. Avvenimento che non può esser fatto passare sotto silenzio. Quando papa Giovanni XXIII convocò i vescovi di tutto il mondo radunandoli a Roma l’11 ottobre del 1962, nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo.

Un Papa ‘di transizione’, già anziano ma lungimirante, dava il via con l’allocuzione Gaudet Mater Ecclesiae, ad una esperienza che si sarebbe dimostrata per il mondo il più grande avvenimento positivo del secolo XX. Dava l’avvio all’aggiornamento della chiesa.

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E non per niente i lavori, man mano che procedevano, furono seguiti da tutta la stampa internazionale.

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Nella nostra diocesi, fu il buon vescovo Luigi Liverzani che, eletto alla chiesa tuscolana appena nel luglio del 1962, iniziò la sua vera ‘scuola’ pastorale recandosi ogni giorno nella grande aula della Basilica di San Pietro e seguendone progressivamente i lavori. E poiché la nostra diocesi era (ed è) la più vicina a Roma, il vescovo al termine dei lavori quotidiani, poteva ritornare immediatamente a…casa.

Ma non se ne stava con le mani in mano, magari chiuso nel suo episcopio, bensì, oltre la normale attività pastorale ‘di routine’, volle puntualmente informare i fedeli di ciò che avveniva in Concilio chiamando a parlarne nella chiesa tuscolana anche esperti relatori e soprattutto descrivendone mensilmente il progressivo cammino.

 

Non per niente già dal settembre del 1962, volle pubblicare un semplice foglio mensile di quattro paginette, in cui, in primis riportava quanto avveniva nell’assise conciliare e, conseguentemente, quando i vari documenti venivano approvati e pubblicati, ne sosteneva la loro applicazione in diocesi. Il primo fu il decreto sulla Liturgia, e non è un caso che una prima esperienza di celebrazione liturgica in italiano e non in latino, si tenne proprio nella Cattedrale di Frascati.

Il Concilio si svolse in quattro sessioni fino alla sua conclusione l’8 dicembre del 1965, con Paolo VI che volle celebrare la Messa sul sagrato della basilica di san Pietro. Ricordo ancora - ero presente anch’io in quella piazza mentre sfilavano i vescovi di tutto il mondo - di avere la sorpresa di intravvedere anche mons. Biagio Budelacci, da poco vescovo emerito di Frascati e di scattargli una delle ultime fotografie.

Le linee conciliari procedettero con molto entusiasmo negli anni successivi, e certamente chi mise in atto concretamente le indicazioni del Concilio furono in particolare le chiese dell’America Latina, non solo con i loro vescovi, ma con grande partecipazione di clero e laici, in una realtà certamente molto povera ma vivace di spirito, e furono proprio i vescovi di quell’area del mondo che, inizialmente incontrandosi nella Conferenza latino-americana di Medellin (Colombia, 1968) e poi nella scia delle indicazioni della ‘teologia della liberazione’ (del peruviano p. Gutiérrez, nel 1972), portavano avanti la prospettiva della chiesa dei poveri, quella chiesa per cui verranno assassinati, tra tanti altri, nel 1976 il vescovo argentino mons. Angelelli e nel 1980 il salvadoregno mons. Oscar Arnulfo Romero oggi beato, e, ancora nel 1989, il gesuita Ignatio Ellacuria e altri quattro suoi confratelli.

In Europa dopo i fermenti, successivi alla pubblicazione del catechismo ‘olandese’ (1966) e il conseguente ampio dibattito, ci fu qualche innovazione sulla scia dei teologi francesi, Chenu, Congar, De Lubac, e del cardinal Suenens, così con le aperture ecumeniche sostenute dal card. Tisserant (del titolo della diocesi di Albano); mentre in Italia vennero intensamente vissute (e contestate) le esperienze – anche se non tutte condivisibili – della Comunità dell’Isolotto (1968) e quella educativo-pastorale di don Milani, o le attività dei preti di periferia come don Lutte, o il Convegno sui mali di Roma (1974), o anche le iniziative di qualche vescovo più aperto quali mons. Lercaro a Bologna, o mons. Bettazzi di Ivrea. In quel periodo (1968) oltre alle Comunità di base (CdB), nasceva l’esperienza di Sant’Egidio e si sviluppò ulteriormente l’ecumenismo del Movimento di Chiara Lubich, mentre anche le Associazioni tradizionali (Azione Cattolica, Scout…) rinnovavano il loro modo di presenza.

Testimonianze di questo cammino di rinnovamento sono espresse in molti diari dell’epoca. “Parecchi vescovi nei loro diari parlano di una nuova conversione. Molti preti, religiosi e cristiani comuni intrapresero un cammino di maggiore fedeltà alla Parola di Dio, scoprirono il significato di una partecipazione attiva all’eucarestia, liberarono energie di speranza a lungo nascoste, si accostarono con amicizia ai mutamenti culturali contemporanei”.

Ma quello che poi avverrà, soprattutto durante il pontificato di Giovanni Paolo II, pur missionario nel mondo, (e non parliamo di Ratzinger), fu - specialmente nella chiesa cattolica italiana - un certo riflusso con un ridimensionamento ‘pratico’ e tacito del Concilio ed una pastorale ordinaria ridotta ad una prassi meramente sacramentale, dottrinaria e statica nonostante ci fossero prospettive di tutto rispetto già a partire dal Documento di base sulla catechesi (del 1970) e col primo convegno ecclesiale su ‘Evangelizzazione e promozione umana’ (nel 1976) dove vescovi, clero, laici e religiosi poterono incontrarsi e riflettere sui problemi inerenti la chiesa e la società.

Il tutto però verrà ridimensionato con le successive scadenze di routine e con convegni ridotti a cassa di risonanza della CEI (negli anni ’90). Non per niente lo stesso ‘progetto culturale’ proposto dal card. Ruini nel 1995-2013, è miseramente naufragato. E intanto le prospettive conciliari venivano per lo più ignorate, per rinchiudersi nell’ordinaria amministrazione clericale. Scriveva pochi anni fa il teologo G. Ruggieri, che [papa Ratzinger] nella lucida consapevolezza che lo ha sempre contraddistinto, ha visto il fallimento del proprio programma restauratore e si è dimesso di sua spontanea volonta’”, (cf G. Ruggieri, ‘Chiesa sinodale’, Laterza Roma-Bari 2017, p. XIII).

Scrive mons. Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia, a quasi novantanove anni di età, ma ancora lucidissimo e battagliero ‘conciliare’: “La storia del post-Concilio dimostra chiaramente come vasti settori della Chiesa istituzionale in Italia abbiano cercato di fermare il rinnovamento promosso dal concilio, attenuandone le proposte, ritardandone i tempi di attuazione…”(Povera tra i poveri. Ringiovanisce la chiesa’, La Meridiana, 2018).

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Ma ecco la novità portata da papa Bergoglio, argentino, il quale scavalcando le pastoie burocratico-clericali occidentali, e soprattutto italiche, ha invitato (è anche Primate d’Italia) la chiesa italiana, fin dal Convegno di Firenze (del 2015) ad essere chiesa ‘in uscita’, a leggere i grandi e piccoli problemi ma anche le speranze dei nuovi ‘segni dei tempi’ in questo (ora anche tragico) cambio d’epoca, onde abbattere il “funzionalismo col culto dell’organigramma a prescindere dalla realtà”, con la prospettiva di quella che padre Balducci indicava come la “via proposta da san Francesco, della ricostituzione del popolo di Dio a partire dai presupposti annunciati con tanta chiarezza dal vangelo, primo fra tutti la scelta dei poveri non come destinatari della carità della chiesa, ma come fondamento della chiesa”.

Era quanto avevano già proposto una trentina di vescovi (tra cui Lercaro, Herder Camara, ecc.), riunitisi durante il Concilio nel cosiddetto ‘patto delle catacombe’.

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In diocesi, tuttavia, nonostante il riflusso nel privato e un certo disimpegno di alcune realtà ecclesiastiche ed ecclesiali, ancora nel 2006 con mons. Matarrese si ricordò il cammino di quarant’anni dal Concilio, con una serie di incontri in Cattedrale con esperti e testimoni laici, teologi (anche teologhe laiche) e con l’intervento del cardinale Achille Silvestrini, con una larga partecipazione popolare (e le relazioni raccolte e pubblicate negli Atti degli incontri). Infine, all’inizio del 2013 - con gli interventi di teologi coordinati dall’allora direttore diocesano della Commissione Cultura, dott. Giovanni Romani (dimessosi però poco dopo) - fu ripresa una riflessione su alcuni documenti conciliari.

Mi sembra che l’esperienza del post-Concilio anche oggi in Italia possa essere chiaramente ‘fotografata’ attraverso due particolari pubblicazioni di padre Bartolomeo Sorge: ‘Uscire dal tempio’ (del 1991) e ‘La traversata’ (‘La chiesa dal Concilio Vaticano II a oggi’, 2010), e ancora in un volumetto uscito pochi anni fa (‘Per riformare la chiesa’) mentre precise chiavi di lettura dell’assise ecumenica ci vengono proposte da G. Routhier (‘Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica’, 2007) e dalla bella pubblicazione di Piero Coda, Il Concilio della Misericordia. Sui sentieri del Vaticano II” (2015).

Con il cammino sinodale, sollecitato da papa Francesco, è indispensabile anche nella nostra diocesi ‘uscire dal tempio’ e riprendere la ‘traversata’ del Concilio, da dove è stato lasciato. Ma per farlo occorre riemergere dallo stallo in cui si sta bloccati ormai da troppo tempo.