Rocca di Papa, l’acquedotto degli Arcioni: un nuovo studio svela altre importanti notizie

Pubblicato: Giovedì, 09 Luglio 2020 - Fabrizio Giusti

ROCCA DI PAPA (attualità) - Una pubblicazione di Rosa de Santis su l'Osservatorio per l’archeologia e l’ambiente dei Colli albani ha svelato sostanzialmente un mistero che perdurava da anni: quello dell’acquedotto degli Arcioni

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L’area degli 'Arcioni' nel territorio di Rocca di Papa, custodisce una realtà archeologica tutta da scrivere. Nonostante noti esperti (Giovan Battista De Rossi, Rodolfo Lanciani o Thomas Ashby) si siano interessati al sito partire dalla fine dell’800, essa è rimasta sostanzialmente sconosciuta per ciò che concerne determinati temi.

La lacuna è stata finalmente colmata da una recente analisi del monumento della Dott.ssa Rosa de Santis, che ne ha finalmente rivelato con esattezza la cronologia e la funzione, ponendo fine alle innumerevoli teorie fantasiose del passato.

Scrive la Dott. De Santis: “La Valle degli Arcioni ha origine a Rocca di Papa, in località Pentima Stalla (m. 727 slm.), toponimo che allude al profondo precipizio nel quale iniziava a scorrere un torrente, ora prosciugato, tributario del Fosso dell’Acqua Mariana in località Squarciarelli (Grottaferrata). A Pentima Stalla convergono canalizzazioni antiche e recenti che convogliano la maggior parte delle copiose acque che provengono dal grande bacino idrico costituito dai Campi D’Annibale. L’acquedotto dista circa 1,2 km da Pentima Stalla e si articola lungo undici campate con arcate che poggiano su dieci piloni di altezza decrescente e due strutture terminali, poste alle estremità, sulle quali poggiava lo speco, il cunicolo superiore dove scorreva l’acqua in prossimità dell’imbocco dei rispettivi tratti ipogei di alimentazione e drenaggio. Quest’opera venne eseguita per superare l’angusta valle denominata Arcioni, posta a nord di Rocca di Papa, che in questo modo viene attraversata ortogonalmente con orientamento est/nord est – ovest/sud ovest”.

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L’acquedotto è immerso nella vegetazione boschiva e risulta per buona parte avvolto dall’edera. Questo ha reso ancora più proibitiva l’analisi autoptica. 
Analisi che ha incontrato difficoltà di ogni genere, dalle dimensioni dei piloni alle dimensioni delle campate.

Fatta eccezione per lo studio preliminare che appare negli appunti di R. Lanciani, su questo sito ci sono in fondo poche e insufficienti descrizioni della struttura accanto a datazioni  vaghe.

“A queste carenze, si aggiunge l’ambiguo collegamento di questo acquedotto con quello dell’Aqua Augusta – scrive la De Santis - che si adombra soprattutto nell’opera di studi recenti, postulato dalla presenza dei famosi cinque cippi iugerali rinvenuti casualmente durante il dirado dei boschi, come riportato da G. B. de Rossi “…i cippi dell’augusta e la loro topografia sembrano avere relazione manifesta con un acquedotto che dagli estremi prati di Rocca Priora (nella Valle dell’Algido) costeggia il monte albano entro le macchie di Rocca di Papa e volge il suo corso verso Palazzuola". Anche il collegamento tra la sorgente di Pentima Stalla e l’Acqua Augusta desta molte perplessità. Dalla descrizione del luogo in cui furono rinvenuti i cippi iugerali, cioè “agli estremi prati di Rocca Priora rivolti alla Valle dell’Algido” (Vivaro) risulta  che essi erano sicuramente associati ad un altro acquedotto ben noto, le cui sorgenti si trovano nel luogo descritto dal de Rossi, che corrisponde al Monte Ceraso. Sappiamo che da qui partiva un altro acquedotto che ricalcava la Valle Latina scendendo alle pendici di Tuscolo (oggi Acquedotto Aldobrandini, ancora in funzione)”.

La totale estraneità dell’acquedotto degli Arcioni con Palazzolo (e la villa di Domiziano a Castel Gandolfo) è oggi certificata dai dati altimetrici rilevati lungo tutta la Via dei Laghi, che costeggia il bordo del Lago  scendendo verso Marino. La quota del cunicolo ove scorreva l’acqua dell’acquedotto degli Arcioni si aggira attorno a m. 515 slm., mentre quella della via dei Laghi all’ altezza di Palazzolo (distante 3,2 km in linea d’aria) risulta essere ben più alta: m. 587 slm.; lo stesso convento di Palazzolo, posizionato entro il cratere lacustre, fa registrare la quota di m. 538 slm.

Lo studio si è soffermato dettagliatamente sulla struttura, sui piloni, le arcate, il paramento ed è consultabile sul sito dell’Osservatorio: http://www.osservatoriocollialbani.it/2020/07/07/risolto-il-mistero-dellacquedotto-degli-arcioni-rocca-di-papa/


L’importante novità deriva dallo studio dell’acquedotto della Valle degli Arcioni e riguarda la possibilità di istituire un puntuale confronto con l’acquedotto Alessandrino per la fattura delle volte, le dimensioni in lunghezza dei piloni (8 piedi) e l’interasse tra le campate (12 piedi), ma anche per la presenza degli speroni alla base.

“Le differenze riguardano il paramento (in opera laterizia quello Alessandrino) e l’uso generalizzato del laterizio, spesso anche per i caementa presenti nel calcestruzzo; diversa anche la forma (a pianta quadrata) dei piloni dell’Alessandrino”, scrive De Santis- Nell’acquedotto Alessandrino la struttura delle volte, assai articolata per quanto riguarda le nervature, risulta del tutto identica a quelle realizzate nella Valle degli Arcioni – probabilmente in un periodo più tardo – da maestranze che evidentemente avevano ben chiara l’esperienza costruttiva dell’acquedotto Alessandrino, fatto edificare dall’imperatore Alessandro Severo nel 226 d.C. per alimentare le terme di Nerone in Campo Marzio”.

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Un altro elemento importante che conferma una datazione relativamente tarda del sito riguarda la compresenza, nell’acquedotto degli Arcioni, di due tipi di paramento, rispettivamente eseguiti in opera vittata (per la parte interrata) e in opera vittata mista per l’alzato. L’impiego dell’opera vittata, nota nel II sec. d.C. aumenta progressivamente nei secoli successivi, fino a diventare assai diffusa tra la fine del III secolo e soprattutto nel corso del IV secolo. “Gli esempi sono innumerevoli – scrive la studiosa - sia in Italia che nel resto del mondo romano e ciò avviene anche in Roma e nel Lazio.Per cui, dall’analisi delle strutture dell’acquedotto della Valle degli Arcioni, risulta evidente la sua totale estraneità al discusso, irrisolto e assai complesso problema della cd. Aqua Augusta, che ha coinvolto nella discussione i maggiori specialisti del passato”.


Infine la domanda: da dove arrivava l’acqua? Il primo pensiero va al grande bacino di Pentima Stalla. Qui veniva convogliata una quantità idrica enorme dal cratere dei Campi D’Annibale. Per mantenere una pendenza costante un ipotetico cunicolo che fosse partito da Pentima Stalla (727 m. slm), per raggiungere le arcate degli Arcioni (515 m. slm) distanti circa 1,2 km in linea d’aria, l'acqua doveva percorrere un percorso di almeno 10 km. Inoltre, per questioni legate all’altimetria, si può scartare l’idea che l’acqua arrivasse da altre sorgenti, come quella del Ceraso, al Vivaro.

L’ipotesi più probabile – secondo lo studio -rimane quella della captazione diretta nella valle degli Arcioni, lungo il corso d’acqua, ad una quota appena superiore ai 515 m. slm. “Una ricognizione lungo il torrente non ha trovato alcun riscontro – spiega la De Santis- a causa della mutevole morfologia dell’alveo, assai sconvolto per le forti pressioni torrentizie”.

C’è un’altra interessante scoperta. In occasione della costruzione della linea tramviaria del 1905, nella zona al bivio tra Via delle Barozze e Via di Frascati, accanto al Fosso di Valle Oscura, si rinvennero casualmente alcune strutture murarie attribuite ad un complesso residenziale ed a un tracciato stradale basolato: Tra queste, una grande cisterna a due navate. Furono indicati nella stessa area anche numerosi cunicoli.


L’acquedotto degli Arcioni venne costruito in età tarda per convogliare acqua pubblica. L’ipotesi più probabile è quella che dalle Grotte dell’Acqua partisse un acquedotto ipogeo che collegava la grande cisterna con l’altro grande acquedotto pubblico, quello della Giulia, che a sua volta ha origine in località Squarciarelli (Grottaferrata). La necessità di potenziare l’Acqua Giulia è stata recentemente messa in relazione con la costruzione delle Terme di Caracalla (216 d.C.), notoriamente alimentate da enormi flussi idrici provenienti da vari acquedotti.

Probabilmente il grande complesso termale richiese sempre maggiori quantità d’acqua, fino a reperirla dai Colli Albani, nella Valle degli Arcioni, attraverso l’omonimo acquedotto collegato con la Giulia. Un’analisi che sicuramente getta una nuova luce, finalmente, su un sito particolarmente dibattuto e sul quale spesso si sono attribuite ipotesi di ogni tipo.

Una nota a margine dolente: proprio a pochi passi dal sito è stata segnalata una discarica. La valorizzazione del territorio passa anche per la tutela a priori del suo decoro. Prima di ogni recupero di tipo storico, culturale, identitario, archelogico.