Lucio Battisti, l’antidivo che stravolse la musica italiana. La celebrità e l’arte di scomparire

Pubblicato: Domenica, 09 Settembre 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 9 settembre del 1998 moriva una leggenda musicale e culturale

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Lucio Battisti (Poggio Bustone, 5 marzo 1943 – Milano, 9 settembre 1998) era un genio, un rivoluzionario nazional-popolare che si è saputo inventare e reinventare più volte. Era avanti agli altri. Fu fedele a quel concetto che lo portò a dire che un artista non poteva camminare dietro il suo pubblico, ma che doveva stargli davanti, anche affrontandolo e rompendo tutti gli schemi precostituiti.

Ha messo insieme, in una carriera fatta di successi, il rhythm and blues, il prog rock, l'elettropop, la musica latina, la new wave, la disco music, il folk, il soul, il beat. Ogni sfida su qualità assolute. Ha inventato un modo di cantare la musica che prima non esisteva, dando senso il senso alla parola e il rigore a uno stile. Non aveva una grande voce, ma come la sua non ce ne erano. Le sue note erano ad un passo dal cadere giù. E invece ti trovavi dentro una poesia, una magìa, un territorio inesplorato che ha fatto scuola.

La sua musica e le parole di Mogol. Un binomio incredibile, come Sergio Leone-Ennio Morricone. Sei hai ascoltato Rino Gaetano, se hai ascoltato Baglioni o Vasco, fino a Thegiornalisti o Calcutta sai che a lui devi qualcosa. Un aspetto che si rimarca sempre troppo poco è che fu un musicista raffinato, con un orecchio in ascolto sul mondo e le sue novità, su suoi ritmi. Ancora oggi non sai dove inizia e dove finisce la sua musica. Non esiste un approdo. Mai. Era animato da un’ossessione che lo portava a spingersi più in là, in quel metro che gli altri non vedevano, creando trame sconosciute. Musicalmente parlando era una sorta di Cruijff, per usare il metro calcistico. L’uomo invece era diverso, discreto. Un universo a parte.

Se una persona si è imbattuta in dischi come 'Anima Latina' o 'Il nostro caro angelo' capisce che quello di Battisti è stato un volo pindarico straordinario in cui la sua voce poteva buttarsi dentro un’Oceano di conoscenze infinite che andavano dalla ricerca alla frase che diventava di uso comune, tormentone.

Aveva un suo modo di stare dentro al mercato discografico, non seguiva le mode. Ad un certo punto staccò la spina e iniziò l’era dei 'dischi bianchi' con Pasquale Panella. “Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale – spiegò nell’ultima intervista - in breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali: devo distruggere l'immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L'artista non esiste. Esiste la sua arte”. Così si trasformò in un’altra cosa. Applicò l’arte di scomparire. Si rigenerò con testi e musica all’avanguardia, disorientando tutti, sopratutto l’ascoltatore medio. 

Lucio Battisti era un rivoluzionario, ma non piaceva ai rivoluzionari di professione. Ha cambiato la musica italiana, ma i critici lo osteggiavano perché non era allineato ad un certo stereotipo culturale del suo tempo. E' stato uno dei primi ambientalisti e girava l'Italia a cavallo quando ancora un'intera nazione correva dietro un mito fatto di boom economici illusori. Era amato dal popolo, non dagli intellettuali del salotto dell'insurrezione permanente. Abbandonò il mondo dei riflettori per seguire strade nuove. Uscì dalle scene, proprio quando iniziava a propagarsi la cultura dell'apparire. Ha sperimentato la musica, mentre la maggioranza dei suoi colleghi cercava ormai l'incasso e la classifica facile. Criticò la società dei consumi e il rito delle pubblicità mistificatorie, la crescita della superficialità in un'Italia sempre più diversa.

Per questo, per tutto questo, non è mai morto.