24 Maggio 1915, l’entrata in guerra dell’Italia. La breve trincea di Riccardo Giusto, prima vittima della strage

Pubblicato: Venerdì, 24 Maggio 2024 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Il primo giorno di un conflitto terribile e sanguinario.

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Fu la volta in cui gli italiani si conobbero veramente. Un processo unitario che si saldò dentro le trincee, armi in mano, a quasi cinquant’anni dall’Unità nazionale.

Il 24 maggio 1915 rimane per questi motivi (e altri), una data fondamentale per la nostra storia patria. Una ricorrenza cantata, non a caso, ne ‘La Leggenda del Piave’ (‘l’esercito marciava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 Maggio’) del compositore E. A. Mario, brano che si trasformò in breve tempo in una sorta di inno dei giovani combattenti italiani.

La storia cominciò quel giorno, proseguì per tre dolorosissimi anni che raccontarono l’epopea di un popolo. Una guerra in cui l’Italia non entrò da subito. L’intervento fu preceduto infatti da un susseguirsi di manifestazioni popolari e politiche per sostenere l’alleanza con Inghilterra, Francia e Russia, ma anche per restare neutrali. Si spaccò il Partito Socialista tra interventi e pacifisti, si spaccò il fronte liberale. Gabriele d’Annunzio - il ‘poeta armato’ - fece emergere a Quarto, sul monumento che ricordava la spedizione dei Mille, l’idea generazionale di un cambio di passo, di una rivoluzione possibile conquistando le ‘terre irridente’ completando così il percorso Risorgimentale.

Un’intera generazione di intellettuali, da Soffici a Papini a Marinetti, di politici e sindacalisti, andarono incontro alla battaglia per i confini nazionali, per la rivoluzione proletaria, per il cambiamento antimonarchico, patriottico o filo-repubblicano. Anime diverse, dunque, ma compattate da un’idea di ribaltamento. Il prezzo pagato fu carissimo. Caporetto, l’Isonzo, il Tagliamento, il Piave, Monte Grappa, Vittorio Veneto: nomi che sono finiti sui libri di storia, segmenti geografici che narrarono le vicende di migliaia vite umane. 

PRIMA DELLA TRINCEA – I giorni antecedenti alla decisione di entrare nel conflitto, l’Italia aveva cambiato radicalmente la sua visione geopolitica. Il ministro degli Esteri italiano, Sidney Sonnino, aveva inviato all’ambasciatore d’Italia a Vienna, Giuseppe Avarna, una lista delle richieste italiane da fare alla Triplice Alleanza tedesca ed austriaca: il Trentino ‘coi confini del Regno italico del 1811’, una correzione della frontiera orientale che avrebbe compreso nel territorio ceduto le città di Gorizia e Gradisca. Per Trieste e il suo territorio Sonnino propose la creazione di uno ‘Stato autonomo e indipendente nei riguardi politici internazionali, militari, legislativi, finanziari e amministrativi’. L’Austria, infine, avrebbe dovuto rinunciare a ogni sovranità sullo Stato autonomo ed escluso alle milizie austro-ungariche e italiane.

Il ministro degli Esteri austro-ungarico, Stephan von Burián, pochi giorni dopo, respingerà le proposte italiane aprendo una porta alla disponibilità di cessione di quasi tutto il Trentino. Ma nulla di più. Lunedì 26 aprile 1915 l’Italia, resasi conto dell’indisponibilità degli ex alleati ad accogliere le sue rivendicazioni, firmò con Francia, Gran Bretagna e Russia l’accordo con il quale si impegnò a entrare in guerra con le potenze dell’Intesa. Il documento prometteva all’Italia, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo meridionale, Trieste, i distretti di Gorizia e di Gradisca, l’Istria, la Dalmazia, il porto adriatico di Valona. Quando la fine del conflitto arriverà davvero, si parlerà di ‘vittoria mutilata’ a causa della difficoltà a raggiungere queste promesse.

Il patto di Londra, nelle sue condizioni fondamentali di espansione territoriale, doveva essere segreto. Il presidente del Consiglio Salandra e Sonnino avevano trattato con l’Intesa con il consenso del Re, ma all’insaputa degli altri ministri, del Parlamento e degli alti comandi militari. Quando i bolscevichi arrivano a conquistare il potere in Russia, però, resero pubblico l'accordo nel novembre 1917. Fu uno dei punti di svolta.

I DISSIDI DELLA POLITICA, LA DECISIONE FINALE - Mentre l’Italia dichiarò nulla la Triplice alleanza, l’Austria tentò una riconciliazione: oltre ai territori a Gradisca e Cormons, venne offerta Trieste ‘città libera, imperiale’. Giovanni Giolitti, capo della maggioranza liberale e neutralista, propose a Salandra di chiedere un voto al Parlamento per la ripresa delle trattative con l’Austria.

Il 12 maggio 1915 320 deputati e un centinaio di senatori aderirono alla linea dell’ex presidente del Consiglio. Sul 'Popolo d'Italia' Benito Mussolini scrisse: “Con la sua insistente iniziativa parallela a quella del governo Giolitti ha diviso il paese mentre stava unificandosi, dal momento che dalla metà di aprile si era venuto formando uno stato d’animo di fiduciosa attesa negli elementi interventisti e di passiva rassegnazione fra quelli neutralisti’.

Nelle stesse ore il presidente del Consiglio, Antonio Salandra, presentò le dimissioni del governo al Re, “considerando – affermò - che intorno alle direttive del governo nella politica internazionale manca il concorde consenso dei partiti costituzionali”. Fu ancora una volta D’Annunzio, questa volta a Roma, a caricare i suoi simpatizzanti: “Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca a imbrattare e a perdere l’Italia”. Iniziano le «radiose giornate di maggio”.

‘L’Idea nazionale’, quotidiano politico, definì Giolitti e il Parlamento “il binomio della nostra vergogna”. Ardengo Soffici commentò su 'Lacerba', quotidiano letto soprattutto dai giovani, che “la vile canizza giolittiana, l’ignobile, losco, vomitativo Giolitti; gli analfabeti dell’Avanti!, i preti, i giornalisti venduti, la melma fetente universitaria, professorale, filosofica; la ciurmaglia cancrenosa, bavosa, laida del senato con che moneta pagheranno prossimamente, quando l’Italia, raggiunti a dispetto della loro vigliaccheria e infamia, i suoi fini di nazione civile e fatta per l’avvenire, troverà il momento di fare i conti con essi?”.

Difficile sancire con certezza se l’Italia fosse neutralista o interventista. E’ probabile che Giolitti, silenziosamente, avesse con sé la maggioranza degli italiani, ma la parte della nazione che manifestava, scriveva e gli intellettuali più noti e conosciuti, erano tutti contro di lui. Sull’onda delle violente dimostrazioni interventiste in molte città italiane, il Re respinse quindi le dimissioni di Salandra. Giovedì 20 maggio 1915 arrivò la scelta: con 407 voti favorevoli, 74 contrari e un astenuto, la Camera approvò il disegno di legge di “Conferimento al Governo del Re di poteri straordinari in caso di guerra”. Il gruppo socialista fu l’unico a votare contro.

RICCARDO GIUSTO, IL PRIMO MORTO - Il Consiglio dei ministri ordinò la mobilitazione generale «Guerra! È l’ultima guerra dell’indipendenza. L’ultimo capitolo del Risorgimento!”, si lesse 'Corriere della Sera'. Domenica 23 maggio 1915, alle ore 19, i primi colpi di cannone austriaci arrivarono sulle le postazioni italiane alla frontiera con la Carnia. La mattina seguente, dal forte Verena, sulla linea del confine italiano con il Trentino austriaco, partì il primo colpo di cannone da parte italiana. All’alba l’esercito varcò la frontiera sul fiume Isonzo: iniziarono le ostilità. Alle ore 4.30, sul Monte Colovrat, nel comune di Drenchia, un proiettile austriaco colpì alla fronte l’alpino Riccardo Giusto, 19 anni e mezzo. Fu la prima vittima italiana. Inquadrato nella 16ª Compagnia del Battaglione “Cividale” dell'8º Reggimento, era stato assegnato a una delle tante pattuglie di esploratori che precedevano il grosso delle truppe e che in quel frangente avevano il compito di occupare la cima del Monte Jeza, davanti a Tolmino. 

Poche ore dopo gli aerei austriaci lanciarono bombe su Venezia e Brindisi, mentre le navi austriache mirarono su Ancona, Rimini, Pesaro, Senigallia, Porto Recanati.

L’imperatore Francesco Giuseppe dichiarerà: “Il Re d’Italia mi ha dichiarato la guerra. Un tradimento di cui la storia non conosce l’esempio fu consumato dal Regno d’Italia contro i due alleati, dopo un’alleanza di più di trent’anni, durante la quale l’Italia poté aumentare i suoi possessi territoriali e svilupparsi a impensata floridezza”. A fine giornata le truppe italiane, superato il confine nord-orientale, occuparono Caporetto. Il nome, qualche anno dopo, tornerà tristemente noto per l’incredibile e drammatica disfatta delle divise grigioverdi davanti all’avanzata del nemico. Luigi Cadorna, capo di stato maggiore, comandante supremo delle operazioni militari, che nel 1915 si era insediato a Udine, sarà sostituto da Diaz. Ma sono ancora notizie lontane ed inimmaginabili in quei primi giorni di spostamento e di battaglie. Perché il 24 Maggio del 1915 ancora tutto doveva accadere.

La prima guerra mondiale costerà 600mila morti, ma sul piano politico, geopolitico, militare e sociale cambierà completamente i destini di una nazione. Quella scintilla nata in una giornata alle porte dell’estate rovesciò le vite di milioni di persone. Anche quella di Riccardo, che a 19 anni, per primo, morì in battaglia.