Giacomo Matteotti, il 16 agosto 1924 e la fine di una democrazia

Pubblicato: Mercoledì, 16 Agosto 2023 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - 16 agosto 1924: nel bosco della Quartarella a Riano viene ritrovato il corpo di Giacomo Matteotti.

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Nell’agosto del 1924 in Italia si cerca un corpo. E' quello di Giacomo Matteotti, deputato socialista rapito a pochi passi da casa quasi due mesi prima. Nonostante le indagini, solo il 16 agosto, alle 8 del mattino, il cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza, Ovidio Caratelli, lo ritrova semisepolto nella Macchia della Quartarella a Riano. Una foto, con un militare che porta un fazzoletto alla bocca mentre trasporta la salma, rimane negli annali della storia.

Il cadavere era ormai in avanzata fase di decomposizione e fu necessaria una perizia odontoiatrica per identificarlo. Matteotti fu trasportato poi a Fratta Polesine, suo paese di origine. Il convoglio, che procedette tra migliaia di persone assiepate ai bordi della ferrovia per omaggiare in silenzio la salma del deputato, fu il tragico capitolo finale di una storia ancor oggi indimenticata.

IL DISCORSO - Il 30 maggio 1924 Matteotti aveva preso la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile, vinte dal Partito Nazionale Fascista. Il deputato, tra le proteste e le contestazioni, aveva denunciato una nuova serie di violenze ed abusi commessi. ''L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida – aveva detto - e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. [...] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... [...] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse''. Uscito dall'aula, il deputato aveva rivolto ai suoi queste parole: ''Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me''.

IL RAPIMENTO E LA MORTE - Passati dieci giorni, l’onorevole socialista è pronto a tornare alla Camera. E' il 10 giugno. Vuole denunciare, secondo altre documentazioni esposte nel corso di questi anni, le sue scoperte riguardanti il presunto scandalo delle tangenti sulla concessione petrolifera alla Sinclair Oil che avrebbe coinvolto addirittura il capo del Governo, Benito Mussolini.

L'esponente socialista esce di casa intorno alle ore 16.15 a piedi per dirigersi verso Montecitorio, decidendo di percorrere il lungotevere Arnaldo da Brescia. Qui, secondo le testimonianze dei due ragazzini presenti all'evento, è ferma un'auto, una Lancia Kappa, con a bordo alcuni individui, identificati in seguito come i membri della polizia politica Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Due degli aggressori balzano addosso a Matteotti, che riesce a divincolarsi buttandone uno a terra e rendendo necessario l'intervento di un terzo. Altri due intervengono per caricarlo in macchina.

I due ragazzini, avvicinatisi al veicolo, vengono allontanati rudemente, poi la macchina riparte ad alta velocità. Nel frattempo all'interno della vettura scoppia una rissa furibonda e dall'abitacolo Matteotti riesce a gettare fuori il suo tesserino da parlamentare che viene ritrovato da due contadini presso il Ponte del Risorgimento. Non riuscendo a tenerlo fermo, Giuseppe Viola, secondo quanto stabilito della magistratura, estrae un coltello e colpisce Matteotti sotto l'ascella e al torace uccidendolo dopo un'agonia di diverse ore. Per sbarazzarsi del corpo i cinque girovagano per la campagna romana, fino a raggiungere la Macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano a 25 km da Roma. Qui, servendosi del cric dell'auto, seppelliscono il cadavere. Un gesto dettato dalla fretta, sicuramente non previsto. Poi ritornano a Roma, dove lasciano la vettura in un garage privato.

LE IPOTESI ALTERNATIVE, I PROCESSI - Il ritrovamento di Matteotti suscitò un clamoroso sdegno nel paese, mettendo a rischio l'iniziale consenso di Mussolini e del fascismo. Il 12 settembre 1924 a Roma, Giovanni Corvi, al grido di "Vendetta per Matteotti!", uccide il deputato fascista Armando Casalini, ma altri fatti di scontro fisico e politico si alternano in quelle giornate fino al discorso del 3 gennaio 1925, ove Mussolini stesso si assunse "la responsabilità politica, morale e storica" di quanto era avvenuto in Italia negli ultimi mesi, sancendo di fatto l’atto costitutivo del fascismo come regime autoritario.

Come emerso successivamente, a Matteotti fu forse impedito di svelare la maxi-tangente nascosta dietro alla convenzione tra lo Stato italiano e la compagnia petrolifera americana Sinclair Oil,  in cui erano coinvolti esponenti del regime. Un caso di corruzione pericoloso e potenzialmente decisivo, che addirittura poteva veder coinvolta la Casa Reale.

La vicenda non verrà mai chiarita del tutto.  

Il governo italiano aveva infatti concesso alla Sinclair Oil un'esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi presenti nel territorio italiano, in Emilia e in Sicilia. Un affare che aveva in prima linea i principali gruppi finanziari di New York, tra cui la banca di John Davison Rockefeller, presidente e fondatore della Standard Oil, la società per cui operava in Italia la Sinclair. La vicenda ha trovato negli anni qualche conferme e  diverse interpretazioni.

Il fatto che gli statunitensi avessero individuato in una società con la quale Mussolini gestiva i profitti dell'estrazione del petrolio, confermerebbe un dato importante del consolidamento della sua posizione personale e del movimento fascista nel merito della vicenda.

Nel maggio 1924, il quotidiano filofascista Il Nuovo Paese di Carlo Bazzi scrisse dei sospetti che  circondavano la negoziazione: ospitò un articolo di Massimo Rocca, deputato del Partito Nazionale Fascista dal 1924 al 1926 (poi espulso dal partito), che rivelava come l'anno prima aveva ricevuto offerte da rappresentanti della Standard per un affare analogo a quello della Sinclair. Il quotidiano scelse anche di riprendere l’accusa, secondo cui «una qualsiasi convenzione con uno dei sindacati costituenti il trust del petrolio non possa che essere esiziale per l’economia nazionale». Il quotidiano metteva perfino in dubbio la legalità, e quindi la legittimità, della stessa convenzione, definendola un «tentativo compiuto incoscientemente di vendere il sottosuolo petrolifero d'Italia allo straniero».

Successivamente Bazzi pubblicò la nota della Presidenza del consiglio di difesa pubblica della convenzione Sinclair e la polemica pubblica passò in secondo piano. Il giornale riprenderà la vicenda nel giugno nell’articolo La convenzione Sinclair deve essere discussa alla Camera: «esso dimostra – si leggerà in un articolo -  che il trust continuava ad essere un argomento con cui, attingendo alle fonti inquinate degli ambienti di sottogoverno, si cercava di regolare i conti tra i “legalitari” e quelli della “seconda ondata”.

Mussolini decise di cancellare gli accordi con la Sinclair Oil  nel novembre del 1924 a causa delle contrastanti opinioni emerse nella commissione parlamentare che doveva approvare la convenzione.

Una storia che ormai non troverà mai una soluzione, visto che la borsa che Matteotti possedeva al momento del rapimento non è stata più rintracciata. Inizialmente fu nelle mani di Amerigo Dumini. Poi fu consegnata, secondo quanto scoperto, al capo della polizia Emilio De Bono per venti anni.

Come  sostenuto dallo storico Renzo De Felice, la borsa avrebbe contenuto  documenti sui rapporti tra re Vittorio Emanuele III e la Sinclair Oil]. Nel gennaio 1944 Emilio De Bono fu processato a Verona con l'accusa di alto tradimento e fu fucilato l’11 gennaio. Per cercare di evitare la condanna, il quadruviro della Marcia su Roma consegnò a Benito Mussolini le carte. Secondo le ricostruzioni dello stesso De Felice i documenti sarebbero stati custoditi da Mussolini e furono inventariati fra quelli sequestrati dai partigiani a Dongo al momento della cattura di quest'ultimo, il 27 aprile 1945, prima della sua uccisione. Tuttavia, queste carte Matteotti sono risultate, nonostante le ricerche. De Felice cercò di recuperale nelle sue ricerche presso gli archivi o il Ministero dell'interno, ma vanamente. Un altro mistero.

Dalle ricerche condotte dal Prof Mauro Canali negli anni novanta, emerse che Matteotti inoltre che Matteotti nella sostanza potrebbe essere stato individuato come un nemico da eliminare per la sua volontà di voler denunciare uno scandalo finanziario che avrebbe coinvolto Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito, e alcuni dignitari di Casa Savoia per tangenti che la Sinclair Oil avrebbe dato allo stesso Mussolini, ad alcuni gerarchi fascisti a lui vicini per ottenere  sfruttamento esclusivo di tutti i giacimenti di petrolio esistenti in Emilia Romagna e Sicilia per cinquanta annicon l’esenzione dalle imposte.

Il processo effettuato di Chieti contro gli squadristi materialmente responsabili del rapimento e dell'omicidio si concluse con la condanna di Dumini, Volpi e Poveromo per omicidio preterintenzionale alla pena di anni 5, mesi 11 e giorni 20 di reclusione, nonché all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre per Panzeri, che non partecipò attivamente al rapimento, Malacria e Viola ci fu l'assoluzione.

Già nel 1924, nei giorni immediatamente successivi ai drammatici fatti, era stato intentato un procedimento davanti dall'Alta Corte di Giustizia del Senato nei confronti dell'allora capo della Pubblica Sicurezza e della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il quadrumviro Emilio De Bono, costretto alle dimissioni da Mussolini, per il quale era stato poi ravvisato il non luogo a procedere. Nel 1947, conseguentemente al Decreto Luogotenenziale che rendeva potenzialmente nulle le condanne avvenute in epoca fascista superiori ai tre anni, la Corte d'Assise di Roma restituì il processo nei confronti di Giunta, Rossi, Dumini, Viola, Poveromo, Malacria, Filippelli, Panzeri. Dumini, Viola e Poveromo che furono condannati all'ergastolo, mentre per gli altri imputati ravvisò il non luogo a procedere a causa dell'amnistia disposta dal Dpr 22.6.1946.

La Corte d'assiste di Roma (prima sezione speciale) del 4 aprile 1947, chiuse il caso a livello giudiziario. Sul  movente affaristico affermò: “fatti concreti non ne sono stati addotti (…) risulta che la causale politica, consistente nell’interesse, ed anzi nella necessità, di eliminare nel Matteotti il più formidabile avversario del fascismo, è così evidente che ogni altra causale non può che apparire infondata".

 Solo sei anni dopo il Dumini verrà amnistiato. In nessuno dei tre processi non venne mai accertata la responsabilità diretta di Mussolini, tuttavia tutti coloro che sono stati riconosciuti implicati nell'omicidio furono sostenitori del regime fascista.

Il 16 agosto del 1924, al di là delle ipotesi suggestive o reali, certificate o confermate dalle sentenze, ciò che venne rinvenuto non fu solo il corpo di un uomo e di un oppositore al nascente regime, ma anche quello di un processo democratico che non aveva saputo fermare l'autoritarismo, ponendosi su posizioni di divisione, di debolezza, persino di stallo, di fronte l'avanzata del Duce, l'''uomo nuovo'' che gli italiani avevano legittimato con un voto popolare e attraverso un consenso che comunque crebbe nel corso degli anni fino alla fine degli anni trenta, dando origine a quella dittatura che cancellò le opposizioni, gli oppositori, i partiti, la pluralità delle idee e il dissenso. Poi, con l'entrata in guerra nell’alleanza con la Germania, il disastro di una nazione.