19 febbraio 1968: gli ‘Uccelli’ occupano la cupola del Borromini. La cultura e la fantasia come forma di protesta

Pubblicato: Lunedì, 19 Febbraio 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Un gesto simbolico che fece parlare l’Italia, agli albori della contestazione studentesca

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Il 19 febbraio 1968 il campanile di Sant'Ivo alla Sapienza a Roma viene occupato da tre giovani.

Per i suoi valori artistici e simbolici, l'edificio è considerato come uno dei capolavori del Barocco e della storia dell'architettura di Francesco Borromini. L'aspirazione all'infinito, la leggerezza ricreata nel globo e in quelle fiamme che, come la luce di un faro, illuminano il fedele, sono un compendio di bellezza e di ingegno. Lassù, in quella materia apparentemente senza peso e immersa nella luce, viene ideata un’azione fino ad allora inedita. 

L'Università italiana necessitava di un cambiamento. Nel 1956 gli iscritti ai corsi di laurea erano 212mila, dieci anni dopo erano saliti a quota 425mila. Un boom. L'Ateneo d'elite era diventato di massa, grazie anche al progresso economico e ad un ritrovato ottimismo sociale. L'insegnamento era però in mano ai cosiddetti ‘baroni’, professori che spesso comparivano solo per le lezioni senza interagire con gli studenti. Infine era sottovalutata, o ignorata, l'esigenza di laboratori e seminari che preparassero gli studenti all'attività professionale.

C’era di più, ovvero il bisogno di cambiare aria, di rinnovare il concetto stesso di studio, di accessibilità, di comunicazione. L’esigenza di contestare e rifiutare la situazione così com’era sfociò presto nelle prime occupazioni, negli sgomberi e nelle rioccupazioni della Statale di Pisa, di Palazzo Campana a Torino, della Cattolica di Milano, di Architettura a Milano, Roma, Napoli, di Sociologia di Trento. Soffiava uno strano clima, che ben presto sarebbe sfociato, in tutta Europa, in un movimento mai visto e percepito prima, fatto di universitari, liceali, giovani, operai.

Paolo Portoghesi, il noto architetto, allora aveva 37 anni ed era già un professore stimato. Fu lui, inconsapevole in realtà di ciò che stava accadendo, uno dei massimi esperti del Borromini, ad accompagnare i suoi tre ragazzi sulla cuspide di questo magnifico luogo romano: sono Paolo Ramundo e Gianfranco Moltedo, di 26 anni, e Martino Branca di anni 27.

I tre racconteranno anni dopo: "Portoghesi ci fece salire fino alla guglia: il posto era straordinario. Appena arrivati disse: “Allora, scendiamo? ”. Ma noi dicemmo no, vogliamo che questo luogo, che era stato archiviato, venga completamente valorizzato, conosciuto e vissuto. Faceva freddissimo. Rimanemmo fino al pomeriggio del 20. Gli studenti di tutte le facoltà vennero lì, in piazza Sant’Eustachio e corso Rinascimento, e si misero a cantare e ballare con le fiaccole. Era un momento di grande soddisfazione: per la prima volta giovani studenti fecero un’iniziativa nella città". "Un assalto al cielo" poco conosciuto, ma fortemente simbolico, che in qualche misura aprì lo scenario del '68 in tutto il suo multiforme magma.

Portoghesi racconterà: “Sono stato io a portare gli "Uccelli" su quel campanile, sapevo bene chi erano questi tre ragazzi, erano miei allievi. Io ero conosciuto dai custodi e quindi ci hanno fatto entrare. Non avevo idea che avessero intenzione di restare lassù. Però avevo capito che questo faceva parte di una storia che stavano scrivendo. Mi piacevano, li avevo visti nelle assemblee: non parlavano, facevano il verso degli uccelli. Mi sembrava un gesto poetico e anche, allo stesso tempo, una scelta coraggiosa, un connubio di poesia e coraggio. L'occupazione del campanile divenne un fatto mediatico. Fu un'anticipazione delle occupazioni che sono seguite”.

Pochi giorni dopo l’Italia fu sconvolta dagli scontri di Valle Giulia, dove studenti di destra e di sinistra si batterono contro le forze dell’ordine.

“Ho assistito da lontano a Valle Giulia, con le camionette dei celerini date alle fiamme, e sono rimasto molto perplesso- dirà ancora Portoghesi - questa violenza non c'era nel movimento romano, gli studenti che avevo conosciuto io non avevano questa vocazione. Anzi, era un movimento con una forte connotazione culturale. Non erano collegabili, la violenza da una parte e dall'altra i giovani che ricordavo molto riflessivi, come Renato Nicolini. Una situazione che non lasciava prevedere Valle Giulia. Fu una sorpresa”.

I tre ‘Uccelli’ se ne andarono da quella guerriglia, portando in salvo un gregge di pecore che accudivano. Un altro modo di stare dentro al cambiamento, oltre le parole dell’ideologia e degli scontri fisici che avrebbero poi insanguinato l’Italia nel decennio successivo.

Il loro fu un ‘68 diverso, partecipativo e creativo. Le loro imprese finirono sulle pagine dei giornali di tutto il mondo attirando l’attenzione di artisti come Schifano, Pasolini, Moravia, Angeli, Tano Festa.

Sovvertendo la vita dell’ateneo, gli 'Uccelli' bloccarono gli esami lasciando razzolare nella facoltà 100 galline donate da Manzù, oppure piantando un fico dal valore simbolico nel cortile di facoltà. Con le loro iniziative, ricercarono anche la forma espressiva dei murales, reclutando per quello sulla facciata dell’ateneo Renato Guttuso.

Poi gli Uccelli si recarono a Berlino. Qui si strinse un sodalizio con gli occupanti alla Kommune 1, un gruppo di giovani in lotta contro la società borghese attraverso la satira e la provocazione.

Le loro iniziative e il loro modo di portarle avanti, rendendo la cultura, l’arte e il bello un gancio verso la ribellione, diedero una sensazione diversa alla contestazione. Poi lo scontro politico prese il sopravvento, e quella esperienza evaporò per ritrovarsi, in atmosfere e condizioni diverse, quanto meno nel dibattito e nella provocazione di certe tematiche, dentro alla creatività del 'Movimento del '77'. Ma è un'altra storia.