Mario Monicelli e il grande racconto dell'Italia fuori dalle ipocrisie

Pubblicato: Martedì, 29 Novembre 2022 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 29 Novembre del 2010 muore a Roma un regista straordinario

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Mario Monicelli non amava le smancerie, i racconti costruiti sulle favole o sulla speranza. Lo dimostrò anche scegliendo il momento in cui andarsene, il 29 Novembre del 2010.

Guardie e ladri, I soliti ignoti, La grande guerra, L'armata Brancaleone, Amici miei, Il marchese del Grillo. Questi film, tra i tanti, bastano a raccontare la statura del grande regista. Sono stati momenti straordinari per questa nazione. Tanto da farci dire che Mario Monicelli, in fondo, è ancora vivo tra noi, tra le nostre intelligenze, davanti ai nostri occhi ogni volta che i suoi film vanno in onda. Come succede solo ai grandi artisti.

Ha raccontato l’Italia del ‘900. Le sue sono sempre state storie di miserabili davanti ad imprese più grandi di loro. E man mano che l’Italia è cambiata, Monicelli seppe cambiare il suo cinema. Dalla ‘Grande Guerra’ a un ‘Borghese piccolo piccolo’, tanto per spiegare. In questo lasso di tempo la nazione era cambiata. Culturalmente e antropologicamente. Lui riuscì a condividere e intrappolare questa mutazione. Dalla vivacità e la felicità di vivere del dopoguerra e della rinascita fino alla società individualista e consumista.

Monicelli sapeva fare il cinema e probabilmente solo quello. Ci era cresciuto dentro. A trent’anni sceneggiatore, poi dietro la macchina da presa. Quando il cinema penso di passare ai temi sociali iniziarono i guai. La censura colpiva. Ferocemente. Scientificamente. ‘Umberto D’ di Vittorio De Sica, per queste ragioni, fu preso di mira, ma anche alla commedia che ostentava i molti vizi e le poche virtù della società non andava meglio. Quella cultura del lavare i panni sporchi in famiglia, un po' bacchettona, si metteva di mezzo alla voglia di raccontare. Un altro mondo, ma di grandi talenti che riuscivano e superare e raggirare questa 'tenaglia' con la creatività e il genio.

L’Italia che veniva dalla guerra o della gente bisognosa non andava vista. Il cinema, quel cinema, invece, la raccontò con successo. Ricorderà Totò: “Se a un comico tolgono la possibilità di fare la satira che gli resta? Al film migliore che ho interpretato, ‘Totò e Carolina’, hanno fatto 82 tagli. Hanno persino voluto la soppressione del nome del mio personaggio che si presentava dicendo: "Caccavallo, agente dell'Urbe". La pellicola fu soggetta a numerose censure per via del fatto che l'interpretazione di Totò, secondo la visione dei censori dell'epoca, avrebbe sminuito e ridicolizzato il ruolo degli agenti di Polizia. Tali furono le modifiche che degli originali 2600 metri di pellicola si arrivò ad una versione di soli 2386, dopo ben tre bocciature da parte della commissione di censura.

Il cinema di Monicelli aveva un filo conduttore: raccontava storie di gruppi di persone, soprattutto, le quali potevano fornire un grande cantiere di psicologie da indagare e sviscerare per mettere in fila tipologie di uomini e di donne diverse tra loro, ma tutte esistenti nel mondo reale. Il regista vedeva nell’amicizia, quella vera, un valore forte, ma stava bene anche da solo. Non è un caso che molti dei suoi eroi o dei suoi antieroi lo siano. Come quel Brancaleone che vaga  nel deserto, o i protagonisti de ‘I Soliti ignoti’ che dopo il colpo fallito se ne vanno per la loro strada. Isolatamente.

Monicelli aveva un pregio: era sempre coerente. Non aveva ipocrisie, risultava per questo burbero o antipatico. Era solo sincero. In Italia una dote poco apprezzata. Non si abbandonò mai alla disperazione, neanche nei suoi film. Disegnò l’Italia e gli italiani con un misto di eroico e di ridicolo (come in effetti è nella realtà). A lui devono tanto anche i migliori attori italiani del Novecento, a cui ha donato ruoli incredibili ed indimenticabili: Vittorio Gassman, Totò, Aldo Fabrizi, Mastroianni, Sordi, Tognazzi, Ornella Muti, Claudia Cardinale o Monica Vitti.

Le sue sono (e rimarranno) opere di immenso valore che esprimono intelligenza, disincanto, amore per i perdenti e per chi non riesce a stare nel mondo in cui l'unico desiderio è prevaricare l'altro. Per questo un ghigno un po' amaro ha sempre attraversato la sua filmografia. Uno spirito libero, in conclusione, che ha insegnato - con la sua arte, ad essere liberi. Soprattutto con il pensiero.

 

 

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