28 Dicembre 1908: quel “fragore cupo” del disastroso terremoto di Messina e Reggio

Pubblicato: Giovedì, 28 Dicembre 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – La scossa del 7.1 Richter e il maremoto: i morti furono 80 mila 

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Il 15 ottobre 1908 il poeta Filippo Tommaso Marinetti scampò senza danni ad un incidente con la sua automobile 'centocavalli". L’episodio scatenò in lui la scintilla che lo indusse a cavalcare il futuro, anzi “Il Futurismo”, una delle più grandi ed audaci innovazioni della storia delle arti che influenzò un secolo intero.

Il suo Manifesto di presentazione a novembre dello stesso anno era già pronto. Marinetti aveva in mente, da uomo moderno di comunicazione quale era, un piano pubblicitario preciso per lanciare la sua creatura in grande e pensò subito ai giornali, ovvero l’immediatezza dell’epoca. Così puntò Parigi, capitale della modernità e della Bella Epoque, e al giornale 'Le Figaro", ove tra i proprietari figurava un avvocato, amico del padre in quel di Alessandria d'Egitto, città dove molti italiani erano residenti e Marinetti era nato.

Tutto era pronto. Ma a turbare il piano giunse una notizia dal Sud dell’Italia: il terremoto, una vera e propria apocalisse.

I FATTI - All’alba del 28 Dicembre 1908, quando la luce torna ad illuminare le città di Messina e Reggio Calabria, entrambi i territori sono solo un ricordo da cartolina. Non ci sono comunicazioni, i binari sono divelti, le postazioni radio distrutte. Il mare è una distesa di rottami. L'isolamento è il più completo. Piove, fa freddo. Non c'è acqua, non c'è cibo. Si ruba in qua e in là un pezzo di pane. I cadaveri sono ovunque. Per far arrivare un messaggio a Roma da parte delle autorità, circostanziato e illustrativo della reale situazione, passano più di dodici ore.

Il terremoto era arrivato alle 5.21, quando ancora faceva buio. Tutte le leve dei sismografi erano sbalzate via. Mai successo prima.

La scossa principale era durata più di 30 secondi, localizzata in un tratto di mare tra Messina e Reggio Calabria, con una magnitudo 7.5 e un’intensità pari all’XI grado della scala Mercalli. La conta delle vittime non fu mai accertata, e comunque oscillò tra le 90.000 e le 120.000.

“Noi dormivamo ancora- racconterà una testimonianza, quella di Antonietta Lipori - a un tratto fummo svegliati dal tremore dei vetri e dal letto fummo sbalzati subito a terra. Pioveva a dirotto, il cielo era nerissimo. Tutti in famiglia ci mettemmo a gridare, mentre da ogni parte altre voci invocavano “Aiuto!”. Un brivido di morte ci fece tremare per qualche minuto. L’armadio della nostra camera da letto cadde con gran fracasso. Fuggii in camicia come una pazza seguendo mio fratello e mia sorella; ma sulla via ci perdemmo. Trovai altri che fuggivano e gridavano, mentre sulle vie cadevano balconi, muri, finestre e l’acqua era tanta che affondavamo fino alle ginocchia. Verso la marina il fango era enorme. Il mare mugghiava sinistramente; la passeggiata era tutta un lago. Come giunsi al porto non so: fui spinta da urti, da braccia ignote e da ignota forza. Mi sentivo correre dietro la morte. Temevo di soccombere, di cadere, di essere travolta nella fanghiglia, nell’acqua: Mio Dio, qual terrore!”.

La superstite sarà imbarcata a Messina sul piroscafo Montebello e arriverà a Catania ferita, “pressoché ignuda” – racconterà un dispaccio del 'Messaggero'.

Il dramma delle scosse aveva subito un ulteriore propaggine. Ovvero il maremoto, tra Giardini Naxos e Nizza di Sicilia. L’onda arrivò a un’altezza di dieci metri. Una di queste travolse il borgo di Giampilieri. A Pellaro il mare rase al suolo il centro abitato, spostando di trenta metri un intero ponte di ferro.

“È impossibile descrivere l’orrore in tutta la sua tragica grandezza”, diranno i marinai della torpedinera Saffo. Messina, al loro arrivo, è una città con almeno il 40% degli edifici crollati. In vari punti della città si levavano le fiamme degli incendi. Un coro lugubre e intenso di migliaia di voci faceva da sottofondo alla visione spettrale. Uno sgomento generale che invocava soccorso, cercava un padre, dei fratelli. Mentre il dolore avanzava e gli uomini fuggivano, i malviventi riuniti in squadre scorrazzavano fra le macerie depredando quello che potevano.

Poi fu il tempo dei soccorsi, delle navi da guerra della flotta del Baltico. Da sei unità sbarcarono quasi tremila uomini. Russi e inglesi si fecero onore nell’opera di salvataggio. I primi in particolare, divisi in squadre, nel giro di poche ore riuscirono ad da estrarre, dai cumuli di macerie, persone ancora in vita. I russi furono anche i primi ad applicare le regole della giustizia più sbrigativa, fucilando i ladri. Spesso, però, era la fame a muovere il saccheggio.

“Molte persone facevano gargarismi di acqua salata per liberarsi della polvere che invadeva le vie respiratorie. Le ferite stesse erano lavate con acqua di mare. Tutti bevevano acqua di mare: non c’era altro", raccontò Bruno Aliotti-Rosso, giunto a Palermo sul piroscafo inglese Ebe. I marinai dovettero assistere quasi impotenti a scene di follia in cui persone di ogni età irruppero negli uffici della dogana per dedicarsi al delitto pur di ottenere qualcosa: vestiti, cibo, coperte.

Quando fu il tempo della ricostruzione, lunghissima ed incompleta, la città non fu più la stessa. Ancora oggi gli analisti storici affermano che alle decine di palazzi distrutti dal sisma, ce ne furono altri, monumentali, che furono sacrificati per fare spazio alla speculazione edilizia.

Filippo Tommaso Marinetti, intanto, attese che la stagione del lutto terminasse e che il rispetto per quell’incubo avesse la sua giusta evidenza. Dopo aver passato la pubblicazione del suo Manifesto in seconda linea, gli undici punti del Futurismo ebbero il sospirato spazio su Le Figaro" il 20 febbraio 1909. E l'Europa saltò sopra una nuova locomotiva di progresso, a pochi anni dalla prima guerra mondiale.