La diocesi di Frascati, una diocesi in... cammino

Pubblicato: Mercoledì, 28 Luglio 2021 - redazione attualità

FRASCATI (attualità) - Nel prossio futuro l'accoparmento con la diocesi di Albano Laziale

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di Valentino Marcon

Papa Francesco sta accelerando i tempi per l’attuazione di quelle prospettive del Concilio Vaticano ormai conclusosi oltre cinquant’anni fa. Il fatto è che decreti e costituzioni di quell’assise non sono stati del tutto messi in atto, a causa di ritardi, frenate e ostacoli posti in essere da quanti ancora oggi sono rimasti al…Tridentino.

Del resto basti pensare al rito della Messa che quarant’anni dopo il Concilio dal papa Ratzinger si è voluto ripristinare per una benevola quanto illusoria speranza di riaccogliere i ‘lefevriani’. Ed oggi papa Bergoglio ha voluto giustamente ridimensionare questa concessione anche se non poteva certo ‘sconfessare’ del tutto la scelta fatta anni addietro dal cosiddetto ‘papa emerito’. Anche a Frascati questo rito è stato da tempo riesumato addirittura in Cattedrale, sia pur per una volta al mese e celebrato sempre e solo dal vescovo. Con quanto consenso popolare è chiaramente visibile (anche senza pandemia).

 

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Una delle prospettive che il Concilio aveva considerato ed attuato gradualmente per le varie chiese locali, è stata quella dell’accorpamento delle diocesi, suggerito, non tanto dalla carenza di clero, sia pur in crisi ‘esistenziale’ negli anni della contestazione, ma da esigenze di maggiore e migliore funzionalità e distribuzione di incarichi nelle chiese particolari, tanto più che si andava ripristinando il diaconato ed la prospettiva di un maggior ruolo dei laici nella chiesa (ma non una loro ‘clericalizzazione’).

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In precedenza era stato Pio X a rivedere l’assetto delle diocesi suburbicarie (erano sette) affidandogli, accanto al cardinale titolare, anche un vescovo ausiliare: questa funzione, dal 1936 al 1962, a Frascati fu esercitata da mons. Biagio Budelacci.

 

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Fu poi papa Giovanni XXIII che, il 10 marzo del 1961 e prima ancora dello svolgimento del Concilio, decretò (col motu proprio, Ad suburbicarias dioeceses), che la nomina del cardinale ‘a capo’ delle diocesi suburbicarie, fosse riservata al solo pontefice, e quindi con l’aprile del 1962, con un altro motu proprio (Suburbicariis sedibus), che la cura pastorale diretta della chiesa locale passasse ad un vescovo ‘residenziale’ (i vescovi si sarebbero denominati: “Albanensis, Ostiensis, Portuensis et Sanctae Rufinae, Praenestinus, Sabinensis et Mandelensis, Tusculanus, Veliternus”).

Cominciò così una nuova sistemazione della rete delle diocesi con la responsabilità pastorale del vescovo ‘residenziale’. A Frascati, una delle più piccole diocesi del Lazio e d’Italia, con l’agosto del 1962 fu nominato a questo ruolo, mons. Luigi Liverzani, originario di Granarolo faentino (diocesi di Faenza). Prima del Concilio Vaticano II, l’Italia era divisa ecclesiasticamente in 17 regioni conciliari e il Lazio a sua volta in Lazio superiore e Lazio inferiore e comprendeva ben 23 diocesi oltre le abazie.

 

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Qualche anno dopo il Concilio, già si erano avuti diversi accorpamenti di diocesi in Italia, talvolta non senza contrasti, sia per la storia legata a lunghe tradizioni del passato sia per la resistenza di qualche prelato o di qualche gruppo di fedeli più…tradizionali. Più difficile fu soprattutto l’accorpamento delle diocesi suburbicarie, sia per la lunghissima tradizione che fino a qualche secolo prima vedeva nei cardinali-vescovi suburbicari coloro che assistevano liturgicamente (e celebravano in Laterano a turno una volta a settimana, chiamati anche ‘ebdomadari’) e giuridicamente il papa più da vicino, sia per le incrostazioni che legavano alcuni interessi locali non solo con la curia romana ma anche con politici di rilievo e notabili (alcuni dei quali entravano anche a far parte della Guardia palatina, o altre ‘cariche’ pontificie che solo Paolo VI riuscì poi a scrollarsi di dosso).

Tra le prime diocesi nel Lazio ad essere accorpate ci furono quelle di Sabina e Poggio Mirteto, di Velletri-Segni, di Civitavecchia-Tarquinia, Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, Latina-Terracina-Sezze-Priverno, fino ai recenti accorpamenti di Tivoli-Subiaco-Palestrina ecc. mentre ad Albano si assegnò una parte del territorio che apparteneva alla diocesi di Latina. L’ultima ad essere accorpata sarà quella di Frascati (diocesi tusculana).

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E proprio Frascati, che era una delle più piccole diocesi in Italia, avrebbe dovuto essere accorpata tra le prime, ma diverse concause ne allungavano i tempi delle decisioni.

Comunque era praticamente un controsenso che una piccola chiesa come quella tuscolana, al di là delle carenze di parroci negli altri 6 paesi del territorio diocesano, dovesse continuare ad avere a Frascati ‘centro’, ben 4 parrocchie limitrofe con una realtà di fedeli (contando ovviamente anche i non credenti!) di tre o al massimo quattromila ‘anime’ ciascuna e con una certa abbondanza di clero (almeno fino a venti anni fa).

Questa realtà ha fatto sì che si sclerotizzassero abitudini e tradizioni del tutto superate o comunque da rivedere, e non ha consentito, nonostante qualche prospettiva di laici e preti lungimiranti, di rivedere tutta la ‘struttura’ diocesana affinché fosse più consona ai tempi di una secolarizzazione crescente e superasse certi clericalismi e integralismi di ritorno, nonché indottrinamenti fuori della logica dei tempi, mentre la ‘ristrutturazione’ delle parrocchie e rispettivi parroci (o per meglio dire sovraintendenti-coordinatori) arriva malamente e con un certo ritardo sull’evoluzione della società e per cause del tutto contingenti (e in un certo senso…drammatiche).

Si pensi all’alzata di scudi contro mons. Matarrese per aver trasferito alcuni parroci da una parrocchia all’altra una trentina di anni fa!

Ora l’accorpamento della diocesi, costituirà la ragione, volenti o nolenti, per un riordinamento sia pur non immediato, ma funzionale alla pastorale ‘in uscita’ come afferma papa Francesco, e una maggiore corresponsabilità soprattutto dei laici anche a favore di un vero cammino sinodale e un supplemento di fantasia ‘pastorale’. Mi sembra particolarmente significativo, quanto scrive lo stesso papa Francesco: “Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa” (Francesco, ‘Evangelii gaudium’, n.35)