Mordere la realtà, esistere, rimanere in piedi: Alberto Giacometti, artista dell'uomo

Pubblicato: Martedì, 10 Ottobre 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Nasceva il 10 ottobre 1901 in Svizzera uno dei più grandi artisti della ricerca dell’esistenza umana

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Io faccio pittura e scultura per mordere nella realtà, per difendermi, per nutrire me stesso, per diventare più grosso; diventare più grosso per difendermi meglio, per meglio attaccare, per fare più presa, per avanzare il più possibile su ogni piano in tutte le direzioni, per difendermi contro la fame, contro il freddo, contro la morte, per essere il più libero possibile; il più libero possibile per tentare – con i mezzi che oggi mi sono propri – di vederci meglio, di capire meglio ciò che ho intorno, capire meglio per essere più libero, più forte possibile, per spendere, per spendermi il più possibile in ciò che faccio, per correre la mia avventura, per scoprire nuovi mondi, per combattere la mia guerra. Per il piacere? Per la gioia? Sì, per il piacere di vincere e per quello di perdere”.

Alberto Giacometti, in queste sue parole del 1957, conosceva bene i confini e i limiti dell’agire artistico dentro ad un mondo che si muoveva e scopriva sempre più il futuro, nel dinamico e lungo dopoguerra italiano ed europeo. Era nato il 10 ottobre del 1901, nella frazione di Borgonovo di Stampa, in Svizzera. E’ stato uno degli scultori che cercò, partendo da un’anonima provincia, la rappresentazione dell’esistenza umana nella sua totalità. Un lungo viaggio interiore ed esteriore.

Padre pittore post-impressionista, madre svizzera - discendente di rifugiati protestanti italiani - Giacometti si trasferì da ragazzo a Roma per seguire il suo talento, sostenuto anche dai genitori. Presa confidenza con la sua idea, puntò verso un’arte scevra, primitiva. Si interessò di Antropologia, poi si diresse a Parigi, all’Accademia della Grande Chaumière. E’ il periodo della sperimentazione, della frantumazione cubista. Conobbe in questi anni Picasso, Mirò, Prevèrt, ovviamente André Breton, il fondatore del movimento surrealista, per il quale disegnò sulla rivista 'Il surrealismo al servizio della rivoluzione'.

Condizionato dalla guerra, il suo interesse si spostò quindi sull’osservazione diretta della realtà, della figura umana. Nascono così le sculture allungate, esili, sole, fragili. Come l’uomo contemporaneo. Figure senza movimento, immobili, frontali, vitree, esseri che si allontanano e si isolano, anche in forma animale. Giacometti diventò così l’artista dell’uomo che conosce il silenzio, della creta e del bronzo che trasudano le sue angosce. Forse per questo si avvicinò al filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre, che a sua volta ne apprezzò le doti.

Opere celebrate in vita, ma ancor di più dopo la sua morte, giunta l’11 gennaio del 1966.

Rappresentò lo scarno e il semplice, la continua ricerca della condizione dell’uomo visionario e solitario, dove la privazione della muscolatura, la riduzione a scheletro, la consunzione della carne sono sinonimo di un vissuto che ha conosciuto sofferenze e introspezione. Sono figure, quelle di Giacometti, che hanno visto e subito la guerra, l’aberrazione delle dittature, la tragedia del quotidiano resistere all'immonda apocalisse. Tuttavia la sua arte è anche di esseri viventi che hanno una energia così straordinaria da rimanere in piedi, nonostante tutto. “C’è sempre nello spazio e nel tempo – affermerà - la minaccia di una caduta, della morte”. Ma la vita, seppure fiaccata, non finisce e, seppur tormentata, scorre e affronta le avversità.

Giacometti ebbe una vita tesa verso l’arte. Guardò e indagò la natura umana, svelandone il necessario, la sintesi, ricercandone incessantemente il risultato. "Ripeto sempre le stesse cose - dirà a Jean Marie Drot - esattamente le stesse frasi, che tutto questo è solo un brancolare intorno alla scultura e sono convinto  che la scultura sia comunque tutt’altro, che bisognerebbe affrontare la cosa in tutt’altro modo, le forme, no?; che accanto a ciò che potrebbe essere veramente un po’ una scultura, tutto questo non fa che l’effetto di ferraglia, di ferraglia un po’ informe, difforme. Forse mi illudo completamente, ma non ha importanza che io mi illuda, per sapere se è un’illusione o no bisogna provare".