Il sogno di Don Giovanni Bosco tra allegria e gioventù. Il modello sociale che cercava un punto accessibile al bene

Pubblicato: Mercoledì, 16 Agosto 2017 - Fabrizio Giusti

donboscomamilioACCADDE OGGI – Nasceva il 16 Agosto 1815 uno degli educatori che salvò i giovani dalla prigione e dalla fame. Un messaggio ancora vivo

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Allegria e carità. Don Giovanni Bosco, Santo ed educatore (Castelnuovo d'Asti, 16 agosto 1815 - Torino, 31 gennaio 1888 ), non è stato solo un benefattore, un religioso. Con la sua idea seppe coltivare un nuovo modo di interpretare la voglia di stare insieme dei giovani, recuperandoli dall’emarginazione e della disperazione in un tempo in cui determinate tematiche erano appena accennate e la pedagogia era autoritaria e manesca.

Erano altri tempi. tra la Torino che muoveva i suoi passi nell'era industriale a la provincia di Asti. Giovanni Bosco nacque in una modesta cascina, nella frazione collinare ‘I Becchi’ di Castelnuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco), figlio dei contadini Francesco e Margherita Occhiena, una donna forte, generosa, credente. La fede entrò nella coscienza di Giovanni presto. E’ sin dalla sua giovinezza iniziò a recepire e comprendere il concetto dello stare insieme, della solidarietà e dell’apertura verso gli altri.

Ispirato dalle idee di Don Giovanni Cocchi, considerato il primo dei cosiddetti ‘santi sociali’ dell’età moderna (aveva tentato di radunare all'interno di un Oratorio i ragazzi disagiati di Torino), Giovanni Bosco decise di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado vivessero i giovani del tempo. Come lui, anche Don Leonardo Murialdo. Incontrò così i ragazzi che sulla piazza di Porta Palazzo cercavano di procurarsi un lavoro. Di questi, molti erano scartati perché poco robusti, smagriti dalla fame, disagiati. Otre settemila bambini sotto i dieci anni in quegli anni erano impiegati nelle fabbriche e la stagione dei diritti era ancora lontana. Don Bosco cominciò così a fare quello che non interessava ai tanti, cioè rapportarsi con quel mondo sconosciuto, con gli spazzacamini, ad esempio, che lui difese dai soprusi degli adulti.

Trecento anni prima, un uomo d'origine fiorentina, aveva più o meno sviluppato lo stesso percorso. Si chiamava Filippo Neri. A Roma decise di dedicarsi alla propria missione evangelica in una città corrotta e pericolosa, dove non c'erano scuole ma al massimo qualche precettore per i figli dei ricchi. I tempi di Papa Giulio II, del mecenatismo che aveva portato in città Raffaello, Michelangelo o il Maderno era dietro le spalle. La città era disseminata da migliaia di poveracci ammassati in vie strette e sporche. Erano i sopravvissuti al sacco di Roma perpetrato dai Lanzichenecchi (1527), fenomeno distruttivo che aveva cambiato lo spirito e le condizioni di vita di una comunità. I bambini erano tanti, abbandonati, mendicanti, sempre affamati.

San Filippo Neri radunò attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche. Li fece divertire, cantando e giocando senza distinzioni tra maschi e femmine, senza distinzioni di fede, in quello che è da considerare il primo Oratorio di concetto della storia. Diventò per questo Santo. Il “Santo della gioia”.

Don Bosco si mosse su questa linea di protezione, seppur in un differente quadro sociale che non si faceva scrupolo, nella stessa egual misura, di lasciare in disparte i ragazzi o di sfruttarli. Insieme a Don Cafasso cominciò a visitare le carceri, inorridendo di fronte al degrado nel quale vivevano i detenuti, anche di 12 anni di età. Raccolse queste disperazioni umane, perché sapeva che sarebbero andate verso una fine misera senza una guida. Non appena usciti, tanti di loro lo seguirono nella Chiesa di San Francesco.

Don Bosco aveva deciso di radunare intorno a sé le energie degradate della zona, dai piccoli lavoratori agli ex detenuti. L'amicizia con i giovani, l'istruzione e l'avvicinamento alla Chiesa furono le rette sulle quali si incamminò. Il gruppo si fece era talmente numeroso che il sacerdote chiese l'assistenza di tre giovani preti e di alcuni ragazzi poco più istruiti per aiutarlo nel lavoro. Dopo alcuni anni di peregrinazioni, pose la sede della sua missione nella Cappella Pinardi (un’ex tettoia). Poi acquistò la Casa Pinardi, organizzò le scuole serali e domenicali, l’ospizio per i giovani più poveri, portò con sé, a Torino-Valdocco, Mamma Margherita, collaboratrice fidata, che diventerà una sorta di madre anche per i suoi ragazzi.

Tra questi vi fu Domenico Savio. Nell'estate del 1856 scoppiò un'epidemia di colera, e don Bosco radunò una quarantina di giovani per soccorrere gli ammalati. Domenico si distinse fra i volontari, ma successivamente la sua salute fu minata alla tubercolosi e morì, non ancora quindicenne. Venne proclamato Santo da Pio XII.

Il messaggio educativo di Don Bosco, per tutta la sua vita, conclusasi il 31 Gennaio 1888, si può riassumere attorno alla ragione dei tempi, la religione del cuore, l’amorevolezza nei confronti degli uomini di domani. Alla base del suo sistema preventivo ci fu un profondo desiderio di riscatto per le future generazioni. "In ogni giovane – diceva - anche il più disgraziato, c'è un punto accessibile al bene". E ancora: "Ama ciò che amano i giovani a fine che essi amino ciò che amate voi". Mirò alla ‘civile istruzione’, per sottrarre i ragazzi dall’ozio, dal male, dalla prigione. Un modello sociale che si radicò in Italia e nel mondo come una perturbazione benefica che ancora oggi rende nobile un impegno che sta abbracciando la nuova umanità che ci viene incontro. Ancora una volta senza distinzioni o preconcetti. Per crescere il domani.

(Sopra: immagine tratta da internet)