1° Maggio, Festa del Lavoro: la storia di una conquista. Ma il futuro è una lotta per i diritti e la dignità

Pubblicato: Martedì, 01 Maggio 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il perché di una celebrazione, oggi compromessa da troppe aggressioni

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Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione” Questa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, del 1948. Una splendida volontà di intenti che inizia a patire il peso della sua età. Settanta anni. Settanta anni entro i quali il mercato del lavoro mondiale è cambiato a tal punto che in molti (troppi) si domandano oggi cosa sia un lavoro e su quali garanzie sia fondato.

L'episodio che ha ispirato la data nella quale si celebra la Festa del lavoro o dei lavoratori, avvenne a Chicago (Stati Uniti), il 1° maggio del 1886. Quel giorno fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti con il quale gli operai rivendicarono migliori e più umane condizioni di lavoro. Un concetto che oggi è tornato di drammaticamente attuale. A metà Ottocento era frequente che i turni arrivassero anche a 16 ore al giorno e i casi di morte sul lavoro fossero frequenti, quotidiani. La protesta andò avanti per tre giorni e il 4 maggio culminò con i tumulti scoppiati tra lavoratori e agenti di polizia. Undici persone persero la vita: lo chiamarono “massacro di Haymarket”.

Circa tre anni più tardi (20 luglio 1889), a Parigi, durante il primo congresso della Seconda Internazionale (creata dai partiti socialisti e laburisti europei) fu lanciata l'idea di una grande manifestazione per chiedere la riduzione a 8 ore della giornata lavorativa. Si tenne conto, nella circostanza, degli episodi di Chicago e si stabilì che la Festa del lavoro o dei lavoratori si celebrasse il Primo Maggio. L’iniziativa, in breve tempo, varcò i confini e diventò di uso comune. Dal 1947 la  festa è ufficialmente celebrata anche in Italia, tuttavia risulta essere un evento di portata globale. Negli Usa è indetta il primo lunedì di settembre.

Al di là delle nozioni storiche e del quadro rivendicativo di masse di lavoratori che nel corso della storia hanno vinto e celebrato la propria redenzione sul piano dei diritti e delle garanzie, delle tutele e delle conquiste, oggi assistiamo ad una clamorosa conversione, un segnale continuo di insicurezza sociale, estrema precarietà, povertà crescente, individualismo. Il lavoratore è sempre più isolato con i suoi problemi e sempre meno rappresentato. I sindacati vivono una crisi lacerante ed anche un ridimensionamento voluto e progettato dalla delegittimazione creata da una politica che quasi per intero ha iniziato a mettere in discussione, dibattito dopo dibattito, legge dopo legge, ogni passo avanti fatto nei decenni antecedenti. Il Job Act, l’abolizione dell’articolo 18, l’individualizzazione dei rapporti di lavoro, lo sviluppo di nuove forme di organizzazione che abrogano i diritti in cambio di un'occupazione, il lavoro a chiamata, lo stage, l’alternanza scuola-lavoro, i contratti a basso costo o l’esternalizzazione delle aziende sono solo alcune forme di annientamento e di svalutazione di tutta una serie di rivendicazioni che sembravano aver trovato una maturazione ed una indissolubile certezza in quello 'Statuto dei Lavoratori' che oggi viene visto come un riferimento e come un miraggio da milioni di persone (Leggi C’era una volta l’autunno degli operai e degli studenti)

Attualmente si assiste ad riduzione costante delle tutele e delle garanzie, all’erosione del salario, unica forma di dignità, cercando forme di assistenza o di sostegno che non risolvono il problema ma lo cristallizzano. Esemplificative, poi, sono le condizioni contrattuali e di vita delle donne nei posti di lavoro, le quali attendono una parità di salario che neanche viene più considerata nell’agenda politica, e l’aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro. A tutto ciò va inserito anche il contesto di una economia globale che crea nuovi schiavi, nuovi apolidi e nuove forme di abbassamento delle prospettive sfruttando le masse di immigrati che cercano un riscatto e si accontentano di qualsiasi condizione  lavorativa creando così un tragico modello di trascinamento che oggi coinvolge tutti in un'assurda guerra che si pone, di conseguenza, in un conflitto di poveri contro i poveri e fabbrica diseguaglianza, forme di discriminazione o razzismo. Reazioni che non riescono più a dirigersi mai verso il potere dominante, ma inevitabilmente interiormente alla comunità dei dominati.

Cosa è il lavoro oggi? Cosa è diventato? Questa è la domanda, in una nazione che ha una drammatica disoccupazione giovanile, in cui 100mila giovani provano l’esperienza all’estero per uscire dall’oblio, in cui i lavoratori trovano sempre più difficoltà a fare blocco davanti alle decisioni di chi fa le regole, in cui centinaia di persone, per una logica di profitto e calcolo, vengono licenziate da aziende e fabbriche che decidono di sbaraccare dall’Italia in un brevissimo lasso di tempo e in un assordante silenzio sociale.

Il 1° Maggio è oggi occcasione di riflessione. Ma ciò che non aiuta il 1° Maggio è la retorica relegata alle parole dei comizi, del palcoscenico istituzionale di rito, dello sbandieramento sterile del diritto costituzionale sancito nell’art.1. Fondamento quotidianamente tradito, fondamento da riscattare. Per ridistribuire non solo le tutele e la ricchezza, ma anche la dignità.