ACCADDE OGGI – 25 anni fa la strage che uccise Paolo Borsellino e gli gli agenti di scorta

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Il 19 luglio 1992, quando l’orologio di una calda domenica d'estate si approssimava verso lo scoccare delle 17, una Fiat 126  (precedentemente rubata), contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo (il Semtex-H) telecomandati a distanza, esplose in via Mariano D'Amelio 21 a Palermo, sotto il palazzo dove viveva la madre di Paolo Borsellino, presso la quale il giudice si era recato in visita.

Via D'Amelio era la stessa strada in cui fu preparata un’altra 126: quella che fece saltare in aria Rocco Chinnici (l’ideatore del ‘pool antimafia’) con la sua scorta e un portiere dello stabile il 29 luglio 1983 in Via Federico Pipitone, sempre nel capoluogo siciliano. 

La deflagrazione trasformò quel pezzo di città in uno scenario infernale, fatto di auto distrutte, altre che continuavano a bruciare e scoppiavano, persone e abitanti che urlavano e chiedevano aiuto. L'esplosione causò inoltre danni ingenti agli edifici e agli esercizi commerciali.

Le macchine, a Via D'Amelio, non avrebbero dovuto esserci. Essendo un sito sensibile, la strada era considerata pericolosa in quanto molto stretta, tanto che era stato chiesto alle autorità di vietare il parcheggio di ogni veicolo. Una richiesta disattesa e fatale. Antonino Caponnetto, già capo del Pool, giunto sul luogo della carneficina, affermò "È finito tutto!". Successivamente, in un intervista rilasciata al giornalista Gianni Minà, dichiarò: «Era un momento particolare, di sgomento, di sconforto. Ero appena uscito dall'obitorio dove avevo baciato per l'ultima volta la fronte ancora annerita di Paolo. Quindi è umanamente comprensibile quel mio momento di cedimento, forse non scusabile, ma comprensibile. In quel momento avrei dovuto - avevo l'obbligo, forse, e avrei dovuto sentirlo quest'obbligo - di raccogliere la fiaccola che era caduta dalle mani di Paolo e di dare coraggio, di infondere fiducia a tutti. E invece furono i giovani di Palermo a dare coraggio a me, che trovai dopo pochi minuti in piazza del tribunale. Mi si strinsero attorno con rabbia, con dolore, con determinazione, con fiducia, con speranza. E allora capii quanto avevo sbagliato nel pronunciare quelle parole e quanto bisognava che io operassi per farmele perdonare: operassi per continuare l'opera di Giovanni e Paolo”.

La reazione della città di fronte alla morte di Borsellino fu straordinaria, passionale, commuovente. I funerali delle vittime della strage si trasformarono in un impeto di rabbia che ancora oggi ha mantenuto, riguardandolo, la sua forza e la sua emotività. Un'intera comunità alzò la testa, contro le autorità e contro la politica che aveva permesso che le strade diventassero una Via Crucis di massacri.

Quando saltò in aria  via D’ Amelio, lo stesso Paolo Borsellino era consapevole che sarebbe stato ucciso. Lo sapevamo i giornalisti, lo sapevano nel Palazzo di Giustizia, lo sapevano a Palermo. Eppure accadde.

A distanza di 25 anni non si è ancora scoperta la verità su quei giorni. Chi accelerò il meccanismo che portò alla strage di Via D’Amelio? Dov’è finita l’Agenda Rossa? Chi furono i mandanti dell’eccidio. Troppe domande. Troppi misteri inquietanti, ma de ricercare.

Assieme al giudice antimafia morirono Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, umili e speciali servitori della legalità e dello Stato. Quello stesso Stato che oggi commemora i morti, ma che dovrebbe impegnarsi con energia sopratutto per scoprire finalmente ciò che non è stato possibile accertare con chiarezza fino ad oggi. Uno Stato su cui sono state gettate ombre inquietanti perché in quella estate del 1992 non tutti fecero il proprio dovere o quanto meno non fu fatto abbastanza per garantire l’ordine e frenare l’assalto mafioso alle istituzioni, esponendo i massimi rappresentanti della giustizia alla morte e al sacrificio. Va detto e va scritto. Per non lasciare che la memoria si banalizzi e si disperda.

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Di seguito riportiamo il ricordo della strage di Via D’Amelio di Manfredi Borsellino (figlio del magistrato), tratto dal volume "Era d'estate"

Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto, mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all'interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.

Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell'economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo "preparati" qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell'amico e collega Giovanni.

La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all'orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per "fottere" il mondo con due ore di anticipo.


In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d'altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore "Pippo" Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell'Università di Palermo e storico esponente dell'Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.

Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia "loffia" domenicale tradendo un certo desiderio di "fare strada" insieme, ma non ci riuscì. L'avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.

Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell'85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati "deportati" all'Asinara, o quella dell'anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese.
Ma quella era un'estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all'apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci. 

Così quell'estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo "esposta" per la sua adiacenza all'autostrada per rendere possibile un'adeguata protezione di chi vi dimorava.
Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l'ultimo bagno nel "suo" mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D'Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.

Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti.

Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel "tenere comizio" come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all'immaginazione.

Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l'eccidio) e l'agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull'uscio della villa del professore Tricoli, io l'accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l'appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.

Ho realizzato che mio padre non c'era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell'attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d'infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D'Amelio.

Non vidi mio padre, o meglio i suoi "resti", perché quando giunsi in via D'Amelio fui riconosciuto dall'allora presidente della Corte d'Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna.
Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all'interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell'esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell'ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un'ultima volta.

La mia vita, come d'altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza "se" e senza "ma" a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in "familiari superstiti di una vittima della mafia", che noi vivessimo come figli o moglie di ....., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva "Paolino" sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio. 

Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza "farci largo" con il nostro cognome, divenuto "pesante" in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo "montati la testa", rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l'onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra.
E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l'avrebbe fatta.

Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ovverosia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall'evento drammatico che mi sono trovato a vivere.

D'altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, ovverosia una persona che in un modo o nell'altro avrebbe "sfruttato" questo rapporto di sangue, avrebbe "cavalcato" l'evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di .... o perché di cognome fa Borsellino. (…)

Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.

Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere”

 

 

GROTTAFERRATA (scuola) – Tantissime le iscrizioni alle sezioni della primaria e infanzia che seguono il metodo dell’Opera Nazionale all’I.C. San Nilo. Il maestro Ardolino: “E’ stato un exploit, ma attenzione: per praticare il metodo ci vogliono anni di formazione e di esperienza”.

 

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C’è stato un boom di iscrizioni alle scuole montessoriane negli ultimi anni, un’impennata che è stata registrata anche all’I.C. San Nilo di Grottaferrata, unica struttura pubblica sul territorio ad avere una sezione Montessori sia alla scuola primaria che all’infanzia ed è un exploit che fa riflettere. “È vero – afferma Fabio Ardolino, maestro di scuola primaria formato dall’Opera Nazionale Montessori - in questo periodo c'è stato il boom del fenomeno Montessori, e non solo nella scuola, anche nelle edicole e nelle librerie si trovano gadget di ogni tipo con sopra il nome della pedagogista. Ormai non si è considerati un buon genitore se il bambino non usa la Learning Tower, chiamato, non so perché, sgabello Montessori o non gioca con le lettere smerigliate.”

 

IL METODO E GLI EQUIVOCI - “Va detto però che il metodo scritto dalla Montessori è un metodo scientifico. È basato su dati di ricerca e tabulati di osservazione e per essere applicato correttamente è necessaria una pluriennale formazione” Come in tutti settori, d’altronde. “Usando questo materiale a casa o credere di creare una cameretta Montessori dopo aver letto qualcosa su internet può provocare danni enormi”. Tipo quando si fraintende che “educazione alla libertà” equivalga a far fare al proprio figlio ciò che vuole? “Esattamente – prosegue il maestro - Il metodo si basa sulla libera scelta del bambino. Libera scelta dell'attività e dei tempi di lavoro, ma all'interno di regole precise e imprescindibili, tant’è che una delle critiche che veniva poste inizialmente alle maestre montessoriane era la l'eccessiva rigidità”.

Ma perché tanto successo? “Credo sia dovuto alla percezione generale della scuola che al momento è considerata in fase di stallo. Una percezione che porta a ricercare metodologie alternative.” Quali sono i punti cardine del metodo Montessori? “Esso si basa su dei capisaldi imprescindibili: - afferma Fabio Ardolino, maestro di scuola primaria formato dall’Opera Nazionale Maria Montessori - libera scelta del lavoro e dei tempi, materiale strutturato e ambiente educante.” In sostanza i bambini entrano in classe, scelgono delle attività da fare e mentre giocano imparano. “Per questo – prosegue il maestro – il materiale è indispensabile per la frazione del corretto clima educativo: esso ha caratteristiche uniche ed è autocorrettivo, connotato che permette di sviluppare e potenziare l’autonomia del bambino perché sarà il materiale stesso ad evidenziare un eventuale errore.” Insomma, uso lo stesso materiale finché non mi annoia. Mi annoia perché ormai ho imparato ciò che l’attività voleva insegnarmi. “Si. – sottolinea Ardolino - Il materiale è pensato per approfondire un aspetto alla volta, lavorando su un'abilità precisa. L'utilizzo del materiale permette lo svolgimento di più attività insieme, dove ogni bambino è libero di seguire il proprio flusso motivazionale. L'insegnate avrà quasi sempre un rapporto 1 a 1 con gli alunni, così da poter curare l'apprendimento specifico di ognuno.”

 

LA SCUOLA MONTESSORI E LA SCUOLA COMUNE - E l’apprendimento collettivo? “Tutto ruota intorno ad una comunità educante che ha delle regole molto precise che non possono per nessuna ragione essere infrante neanche dall'insegante. – dichiara il maestro - Nelle nostre classi il materiale di cancelleria è in comune, i bambini non hanno un loro astuccio. Se qualcuno rompe o perde una matita la deve riportare. Questo perché si deve avere cura anche della più piccola cosa, la matita non è del singolo bambino ma della comunità. Una comunità che non si chiude nel perimetro dell’aula, ma si apre anche all’esterno. La mia classe - una delle tre ad indirizzo Montessori nella nostra scuola – ha realizzato dei progetti in collaborazione con altri classi della scuola comune ed è stato un successo”. Ultimamente la didattica personalizzata, il rispetto dei tempi di apprendimento dei singoli alunni, lo sviluppo e potenziamento delle abilità individuali e sociali, nonché l’obiettivo di trasformare i “saperi” in “saper fare” sono al centro del mirino del dibattito della scuola comune contemporanea: aspetti non molto lontani dalle proposte dell’Opera Nazionale Montessoriana. “Non credo sia utile chiudersi in roccaforti dorate pensando di avere il verbo – prosegue il maestro - penso che unendo le conoscenze, i metodi e le competenze si possa creare una scuola migliore, ognuno con i propri valori. Dopotutto la Montessori è morta nel 1952, sono sicuro che, se vivesse oggi, cambierebbe e aggiungerebbe molte cose al suo metodo.”

FRASCATI (sport) - Mercato caldo

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La nuova serie C Gold del Club Basket Frascati comincia a prendere un volto quasi definitivo. Dopo l’annuncio dell’arrivo di coach Marco Martiri e della conferma come suo assistente di Paolo Cupellini, il presidente Fernando Monetti ufficializza il primo innesto dei tre (forse quattro) previsti in questa sessione di mercato. «Questa stagione sarà ancor di più all’insegna della consacrazione del nostro vivaio – dice Monetti -, i nostri senior e i nostri under saranno l’ossatura vera della squadra e per questo, con Martiri e lo staff tecnico, abbiamo completamente ridisegnato e selezionato quella che sarà l’integrazione dei ragazzi che non provengono direttamente dal nostro vivaio, i quali saranno in numero limitato come mai negli ultimi anni. Per questo la scelta andrà, oltre che su bravi giocatori, anche su “atleti giusti” dal punto di vista umano e dello spogliatoio per far sì che possano rapidamente integrarsi con il resto del giovane roster. Sono veramente soddisfatto dell’arrivo di Damiano D’Angelo un ragazzo classe 1992 proveniente dal Pass, un nome che desta in me tantissimi ricordi di gioventù anche se quello era un altro Pass. D’Angelo può ricoprire indistintamente sia il ruolo di 2 che di 3, ma volendo si adatta bene ad un gioco totale come quello che Martiri ha intenzione di proporre. Damiano ha un passato di tutto rispetto avendo fatto parte delle giovanili della Virtus Roma fino a 17 anni, quando ha deciso di fermarsi per motivi personali per un paio di stagioni e poi invece riprendere per terminare il percorso formativo proprio nel Pass dove ha ricoperto da subito anche in prima squadra (allora serie D) un ruolo da primo attore.

Nel 2014 ha contribuito in maniera determinante alla vittoria del campionato di serie D e nell’anno seguente in C Silver lo è stato per la salvezza. Nello scorso campionato è stato tra i protagonisti assoluti della C Silver arrivando con la sua squadra a disputare gara 3 per la vittoria del campionato e l’approdo in C Gold dove potrà comunque giocare quest’anno grazie all’opportunità ricevuta dal Club Basket Frascati. In questi anni Damiano si è messo in mostra soprattutto per le sue doti di finalizzatore in un gruppo dove aveva un ruolo tra i principali protagonisti, ma le sue doti atletiche e soprattutto di determinazione ne fanno un prospetto interessante anche dal punto di vista difensivo e di miglioramento nel collettivo. Un aspetto su cui quest’anno sarà chiamato a cimentarsi e su cui dovrà vincere la sua prima sfida, ovvero quella di essere determinante non solo come finalizzatore anche fuori dalle mura di casa, come lui ama chiamare il Pass». Molto carico per la nuova avventura anche D’Angelo: «Quello di cambiare maglia e fare un’esperienza fuori da “casa” era un passo che volevo fare da tempo, ma nessuna società mi aveva mai “convinto” a prendere questa decisione. Dopo aver parlato prima con coach Martiri e poi con il presidente Monetti, ho capito che non potevo farmi sfuggire questa occasione. Sono veramente emozionato di entrare a far parte del Club Basket Frascati e iniziare una nuova avventura in una realtà stimolante come questa. Un ringraziamento particolare vorrei farlo per Stefano Franceschina che in questi anni è riuscito a trasmettermi sul campo passione e capacità di migliorare costantemente: al ringraziamento unisco anche tutti i compagni, gli allenatori e i tifosi che mi hanno seguito e sostenuto in questi ultimi anni al Pass, condividendo assieme anche molte soddisfazioni.

Ora però sono prontissimo per questa nuova avventura e la sfida per me sarà dimostrare lontano da casa che posso essere un giocatore “utile” e determinante mettendomi a completa disposizione del coach e della società. Non vedo l’ora di iniziare». La chiosa è ancora affidata a Monetti: «Dalle parole di Damiano si evince tutto il suo carattere da “guerriero” e, riprendendo il nostro grido e slogan principale (“pride”, ndr), è proprio con “orgoglio” che ufficializzo il suo ingresso nella società e gli do il benvenuto da parte mia e di tutto lo staff tecnico e dirigenziale».

ROCCA PRIORA (sport) - Un fine settimana di divertimento e sport

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Il pensiero alla nuova stagione è ben fisso nelle menti del Rocca Priora. Ma il club calcistico del presidente Marco Rocchi, intanto, è riuscito a ripristinare una vecchia e tradizionale festa, patrocinata dal Comune: da domani e fino a domenica prossima va in scena “E…state nel pallone”. «Un appuntamento che era consueto per la società calcistica di Rocca Priora, ma che l’ultima volta fu celebrato nel 2007 – ricorda Rocchi – Con gli altri componenti della società abbiamo ritenuto di fare uno sforzo organizzativo e tornare a far rivivere un appuntamento che non è legato prettamente al calcio, ma che rappresenta un momento di incontro importante». La location non sarà quella del campo sportivo “Montefiore”, ma del piazzale dei Padri Pallottini, nella zona del Santuario della Madonna della Neve. Tutti i giorni dalle 18 ci saranno eventi, spettacoli, esibizioni, mercatini e l’immancabile parte gastronomica a fare da corollario.

Domenica 23, inoltre, ci sarà una messa all’aperto (sempre nel piazzale dei Padri Pallottini) e la conseguente “benedizione dello sportivo”, un momento sentito a cui sono state invitate tutte le associazioni sportive della cittadina tuscolana. Nel corso della kermesse, inoltre, ci sarà uno stand specifico in cui tutti coloro che interverranno potranno avere informazioni sull’attività futura del Rocca Priora, ma al tempo stesso chi vorrà potrà anche avere ragguagli su quella che è stata la storia dell’associazione calcistica cittadina. Durante “E…state nel pallone” il piazzale sarà colorato da un’area giochi con un maxi percorso “west” gonfiabile, un’area dedicata al calcio ability, ma anche ad altre attività come il baseball, il bigliardino, il ping pong e anche tornei di calcio balilla “umano”. Questi, infine, gli eventi in programma alle 21 di ogni giorno: domani spazio alla musica anni 70 con gli Arterius, venerdì sarà la volta dei balli in piazza, sabato ci sarà l’esibizione di Andrea Casadei e della sua band e infine domenica gran finale con la musica dei “New Dreamers”.

 

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