Una città, mille barricate: le Cinque giornate di Milano

Pubblicato: Domenica, 18 Marzo 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – 18 e il 22 marzo 1848: la rivolta che mise in crisi il più potente esercito del mondo

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Nel 1848 l'Italia era ancora divisa in tanti stati di piccole dimensioni. La Lombardia, insieme con il Veneto, era parte dell’Impero austriaco. Milano era sorvegliata da ventimila soldati, quasi tutti croati di guarnigione del miglior esercito del mondo, asserragliati dentro al Castello sforzesco, fortezza mai espugnata, al comando del Maresciallo Josef Radetzky, una sorta di leggenda ultraottantenne.

Il 1848 è un anno particolare. In città si è diffuso il malcontento per la dominazione straniera e cresce il desiderio di creare uno stato unitario con le altre parti separate della Penisola. Nel mese di gennaio, il governo austriaco ha imposto una nuova tassa sul fumo: i cittadini milanesi si sono così organizzati per boicottare la gabella e hanno deciso di non fumare più. Gli austriaci decisero allora di mandare i propri soldati in giro per le vie a fumare ostentatamente. Ne seguirono tensioni, al termine delle quali, dopo tre giorni di reazione austriaca allo sciopero, si contarono 6 morti e oltre 80 feriti fra i milanesi. 

Sono anni in cui le idee da perseguire per unire la nazione e ribellarsi all'occupazione sono diverse e spesso in contrasto tra loro. Ci sono i mazziniani repubblicani (Attilio De Luigi, Pietro Maestri, Luciano Manara, Giovanni Cantoni); i democratici riformisti, ostili anche al Regno di Sardegna e a Carlo Alberto, più desiderosi di ampie e profonde riforme (Carlo Cattaneo); nobili e patrizi, aspiranti alla fusione col Piemonte (il podestà Gabrio Casati). La stagione del '48 è comunque uno spartiacque in cui accadono fatti nuovi, eventi che strappano le maglie della quotidianità.

Venerdì 17 marzo si diffonde in città la notizia delle dimissioni del cancelliere Metternich a seguito della insurrezione popolare a Vienna. La notizia apre un varco: approfittare dell'occasione per organizzare una grande manifestazione davanti al Palazzo del governatore (Piazza Mercanti) per richiedere concessioni tese a dare maggiore autonomia alla Lombardia: abrogazione delle leggi più repressive, libertà di stampa, scioglimento della polizia, l'istituzione di una Guardia Civica agli ordini della municipalità. Il corteo, ben presto, si trasforma in un assalto. La città insorge. Hanno inizio le ''Cinque giornate di Milano''.

Nei primi  giorni di scontri, le truppe austriache si trovano sorprendentemente in difficoltà, tanto che il terzo giorno, il 20 marzo del 1848, chiedono un armistizio che viene respinto dai rivoltosi, i quali costituiscono un governo provvisorio. Il 21 marzo l’esercito rivoluzionario conquista tutte le caserme, gli avamposti e le zone controllate. Radetzky decide di ripiegare, ritirandosi con il suo esercito. La città è di fatto libera.

All’alba del 23 maggio, dopo aver aperto le porte, la comunità meneghina accoglie i primi volontari provenienti da Genova e Torino. Carlo Alberto emana il proclama in cui annuncia ai popoli della Lombardia e del Veneto che sta accorrendo con il suo esercito in appoggio agli insorti. Ci si avvia verso la Prima guerra di indipendenza, nel corso della quale, il 6 agosto 1848, gli austriaci riusciranno a rientrare nel capoluogo lombardo.

IL TESTIMONE RACCOLTO - Il 17 marzo 1848, quando i milanesi insorsero, la città si trovava da più di trent’anni sotto la dominazione austriaca. Una forza preponderante, a cui si oppose una popolazione civile poco avvezza all'uso delle armi, con una organizzazione approssimativa. Eppure, in quei giorni, una nutrita comunità composta da liceali, reduci, operai, nobili, socialisti, repubblicani, uomini e donne misero nel pantano una forza militarmente e storicamente preparata, assediandola come prima non era mai accaduto. Nel centro della città vennero alzate e contate oltre mille barricate. Carrozze, confessionali, carri da bestiame, banchi, botti, mobilia varia, balle, materassi, letti, tavole e reliquiari: ogni oggetto di robusta fattura tornò buono. Ma sopratutto, tra quelle matasse di legna che facevano scudo ai combattenti, vi fu soprattutto la carne viva di quei cittadini che segnarono, anche nell'anonimato, la storia d'Italia, determinando un nuovo processo di consapevolezza che giunse fino a Roma qualche mese dopo. Un testimone di rivolta che forgiò la migliore gioventù italiana, una gioventù andava a farsi dare l'estrema unzione prima di prendere in mano un fucile a soli venti anni.

Quei ''piccoli maestri'' – per dirla con il titolo di un romanzo di Luigi Meneghello ispirato alle lotta partigiana – sono ancora i nostri padri, a cui continuare a guardare ancora con rispetto e senso della storia.