Duemila anni di chiesa tuscolana nell'ultimo libro di Valentino Marcon

Pubblicato: Lunedì, 20 Novembre 2023 - redazione attualità

storiaChiesaTuscolana marcon ilmamilioFRASCATI (attualità) - Un'opera che arriva all'indomani dell'unione con la diocesi di Velletri. Ne parliamo con l'autore

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Valentino Marcon, storico cattolico tuscolano, è tra gli studiosi più appassionati ed attenti che il nostro territorio possa vantare. In queste ultime settimane, Marcon ha dato alle stampe un nuovo testo, incentrato sulla storia della diocesi tuscolana.

Questo tuo nuovo libro si pubblica dopo l’accorpamento della diocesi con quella di Velletri-Segni. Quale ne è l’utilità?

Anzitutto devo dire che la ricerca mi è costata quasi quattro anni di lavoro e poteva essere pubblicata già qualche mese fa, ma avendo saputo da tempo che la diocesi sarebbe stata unita in persona episcopi con Velletri-Segni, ho aspettato la ufficialità della conferma. E comunque questa ‘unione’ è avvenuta dopo quasi sessanta anni durante i quali si è portato avanti l’obiettivo dell’unione di più diocesi, ed ultimamente il processo è stato accelerato. Il libro quindi, ripercorrendo un cammino di quasi due millenni, è utile per conoscere molte vicende che fanno parte della nostra storia spesso poco conosciuta e talvolta presentata su certi aspetti in modo approssimato. Protagonista è soprattutto il vissuto quotidiano della chiesa-comunità tuscolana e quindi non solo di Frascati. Ed è ovvio che sarà utile anche per la diocesi di Velletri che potrà saperne di più sulla chiesa alla quale è stata unita.

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Quando ‘nasce’ la diocesi di Frascati?

Il titolo del libro è ‘Per la storia della chiesa tuscolana’, in quanto come diocesi, con un proprio territorio ben definito, ha un lungo e non sempre lineare percorso. Essa è originata da una prima comunità cristiana intorno alla fine del III e gli inizi del IV secolo: la piccola comunità ‘quintana/labicana’ (senza alcun riferimento all’antico Labico né tantomeno al ‘moderno’) e con la prima testimonianza della presenza di un vescovo (anzi un ‘sovrintendente’, come allora erano definiti, denominato ‘labicano’). Solo successivamente, e con qualche periodo di ‘vuoto’ storico, i vescovi verranno definiti ‘tuscolani’, probabilmente a partire dal VII o VIII secolo, ma non è detto che la loro ‘sede’ (nel senso di cattedrale) fosse proprio a Tuscolo (probabilmente era nella sua ‘periferia’, già allora nominata ‘Frascata’). Inoltre quando il Concilio di Trento alla metà del ‘500, obbligò i vescovi a risiedere nelle rispettive diocesi, quelli tuscolani, essendo cardinali di curia, continuarono a risiedere a Roma.

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Allora che rapporto c’era a Frascati con l’episcopio, il palazzo vescovile?

Intanto occorre ricordare che fu solo con Paolo III nel 1538 che si diede finalmente una sede-cattedra episcopale definitiva, quando il papa innalzò a cattedrale la chiesa di santa Maria in Vivario. E tuttavia i cardinali-vescovi, anche venendo a Frascati per le loro visite pastorali, erano ospitati in alcune ville di Frascati-Monteporzio (si v. Villa Mondragone), tutte poi completamente edificate con la fine del 1500. In quanto al palazzo vescovile, il Castello o Rocca, fino alla metà del 1700 era di proprietà della Santa Sede ed alquanto fatiscente. Fu poi donato dal papa al cardinale vescovo tuscolano Camillo Merlini Paolucci nel 1758/59 il quale, per abitarvi un po' decentemente, lo dovette restaurare a sue spese. In seguito, fu il cardinale Enrico Stuart, vescovo tuscolano dal 1761, che lo fece ristrutturare completamente abitandovi in permanenza fino al 1807 (pur essendo stato nominato vescovo di Velletri perché cardinal decano) e recandosi a Roma solo per le sue importanti incombenze nello Stato pontificio.

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Ma i successori non seguirono il suo esempio e quando venivano saltuariamente a Frascati, abitavano in altre dimore, come Cagliero a Villa Sora o nel Seminario tuscolano, come il vescovo Budelacci che fu ausiliare, in sequenza, dei cardinali Lega, Marchetti Selvaggiani, Tedeschini e infine Cicognani (Gaetano). Solo dal 1962 - quando al cardinale restò solo il ‘titolo’, e i vescovi furono residenziali con la diretta responsabilità pastorale della diocesi, si tornò ad abitare stabilmente - con Luigi Liverzani - nel Palazzo Vescovile, che fino ad allora era stato adibito solo ad uffici di curia e, per qualche tempo, in parte anche come ‘museo’ tuscolano.  Fu così che i frascatani, dopo i 26 anni dell’ausiliare Budelacci si abituarono a incontrare in permanenza il vescovo in città.

 

Tornando al volume. Che posto occupa la gente, il popolo, nella storia della diocesi?

   Intanto occorre dire che il Concilio ecumenico Vaticano II ha rovesciato quella che molti teologi avevano criticamente definito la forma ‘piramidale’ della Chiesa, cioè quella visuale dell’autorità che cala dal papa-sovrano, ai vescovi (e in primis addirittura ai cardinali) e poi da questi ai sacerdoti e giù, giù fino ai laici, al popolo. Il Concilio, pur ribadendo giustamente l’autorità (ecclesiale) gerarchica del vescovo - e non l’autoritarismo - ha ‘rovesciato’ la piramide partendo dalla realtà del popolo e riconoscendone ministeri e carismi (e non certo per una falsa democrazia). Questo sta avvenendo sempre più negli anni recenti, se pensiamo ad esempio ai nuovi ruoli e alla (sia pur tardiva e lenta) valutazione del ruolo delle donne nella chiesa, ma anche all’avvio di un ripensamento del ministero sacerdotale, ecc., per una chiesa che sia autenticamente sinodale. Certo nel volume non si affrontano direttamente tali problemi, ma il cammino del popolo cristiano viene letto concretamente nel susseguirsi temporale dei vari episcopati tuscolani, non ignorandone rallentamenti o mancate aperture.  

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