9 Dicembre 1977: la ‘Legge Anselmi” sul lavoro. La rottura di un tabù, l’inizio della marcia per la “parità di trattamento”

Pubblicato: Mercoledì, 09 Dicembre 2020 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Fu frutto dell’impegno di Tina Anselmi, ‘madre’ (anche) del Sistema Sanitario Nazionale

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Articolo 37 della Costituzione Italiana: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”.

Ci vollero quasi trenta anni di vita sociale e repubblicana, da quando i padri costituzionali misero nero su bianco queste importanti parole di indirizzo, per iniziare a mettere in pratica, con una norma stabilita, un proposito egualitario e civile che rendesse finalmente equo il trattamento effettivo tra uomini e donne sul posto di lavoro.

Quel giorno arrivò il 9 dicembre 1977, quando il parlamento italiano approvò la legge 903, meglio nota come “legge Anselmi”.

La democristiana Tina Anselmi, prima donna ministro della Repubblica nel 1976, è stata, anche per questo, una ‘madre della Patria’, uno dei punti di riferimento di quella generazione che costruirono il nuovo senso civile dopo la dittatura e il difficile dopoguerra.

La legge sancì un immediato balzo dell’occupazione femminile. Il primo articolo vietava qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, attuando finalmente quel famoso Articolo 37 di cui sopra. Susseguentemente sanciva la parità di salario, il divieto di qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera, la facoltà di continuare a prestare servizio fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il diritto di rappresentare l'impresa negli organi statutari delle cooperative, dei consorzi e di ogni altra forma associativa e altre garanzie a tutele.

Tina Anselmi è stata anche la madre del Servizio Sanitario Nazionale universalistico e solidale, che nacque nel periodo di due importanti conquiste per il diritto alla salute: la chiusura dei manicomi con la legge Basaglia e la depenalizzazione dell’aborto. La Anselmi era una donna di fervida fede cattolica, ma non si è mai oppose mai, con la sua moderazione, alle norme per il rispetto della salute delle donne.

Era una donna con un progetto democratico per l’Italia, dove lo Stato voleva farsi garante del benessere fisico e psicologico dei suoi cittadini, senza fare distinzioni di alcun tipo. “Non c’è forma di carità più alta della politica, dell’impegno per la gente” - disse in un’intervista - “quando un politico fa una legge giusta lo fa a beneficio di larghe fasce del Paese”.

Il suo impegno, cominciato a fianco delle donne, contribuì all'idea di Stato sociale. Lottò per l’inserimento e il diritto al lavoro delle persone con disabilità, confermando anche in questo caso la necessità di uno società capace di non lasciare indietro nessuno.

E se spesso la parità di trattamento non è ancora garantita in Italia, o se negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un impoverimento progressivo del sistema sanitario nazionale, con il taglio di 37 miliardi di euro nel corso di un solo decennio, non è certo colpa di chi, come Tina Anselmi, voleva costruire un’Italia più equa, ove le garanzie avessero un ruolo fondamentale per tutti.

“La libertà va riconquistata ogni giorno con le proprie scelte – affermava - È questa la principale tra le regole della democrazia, che si appella a tutti e che non distingue i cittadini per ricchezza, appartenenza sociale, cultura. La democrazia è un grosso investimento sulla persona, solo perché tale ogni individuo ha il diritto di decidere della vita del Paese. Guai ad abbandonarlo”.

Riprendere questo tema oggi rimane fondamentale per crescere.