Giancarlo Siani, quando informare è un atto di civiltà e coraggio

Pubblicato: Lunedì, 23 Settembre 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGIIl giornalista fu ucciso il 23 settembre 1985, a soli 26 anni

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Il 23 settembre 1985 cadeva di lunedì. Giancarlo Siani aveva finito di lavorare sul suo ultimo articolo. Settanta righe di cronaca. Aveva ottenuto un contratto di due mesi, una sostituzione estiva a ‘Il Mattino’. Un primo risultato raggiunto, dopo anni da ''abusivo'' nella redazione di Castellammare di Stabia, senza un contratto e senza diritti. Al traguardo non arrivò mai. Fu colpito a morte da due pistole Beretta 7.65 mentre era a bordo della sua Citroen Méhari verde bottiglia. L'agguato avvenne di sera, sotto la sua abitazione in via Vincenzo Romaniello nel quartiere napoletano dell'Arenella.

Aveva solo 26 anni.

La passione per il mestiere di scrivere, informare e raccontare ciò che accade va oltre i titoli e la paga ed è difficile, per questo, persino da spiegare a chi non comprende come si possa spendere una giornata alla ricerca di notizie senza guadagnare molto. Giancarlo Siani faceva parte di questa enorme categoria di persone che sono spesso nell’ombra e sono la spina dorsale della comunicazione o del giornalismo. Aveva un dono: il coraggio. Lo applicò alla sua libertà di voler far conoscere il mondo camorristico e le infiltrazioni che inquinavano gli ambienti politici ai lettori, ai cittadini.

Ad uccidere Siani furono gli uomini del clan Nuvoletta. Lo ammazzarono per quello che aveva scritto nei mesi passati e per ciò che stava per rendere pubblico. Con rigore e passione, senza l'aspirazione a diventare un martire. Non ci teneva. Voleva fare il giornalista per amore della verità. Faceva il cronista in provincia, ovvero nascosto dai clamori pesanti della città. Qualche punta di visibilità, nulla di più. Il resto è anonimato. E’ così per tanti.

Siani era l’ultimo arrivato nel quotidiano più letto al sud, ma si era interessato di più e meglio dei problemi che stavano uccidendo il suo territorio, interessandosi - da corrispondente - dalla città di Torre Annunziata, dilaniata da una sanguinosa faida tra i Bardellino, gli Alfieri e i Gionta. Una tensione che trovò il suo culmine il 26 agosto del 1984, quando i Bardellino irruppero nel quartiere generale dei Gionta a bordo di un pullman: 8 morti, 7 i feriti. Un fatto di sangue che scosse la Campania. Siani aspettò che i fari si spegnessero, che i cronisti esperti e gli inviati speciali si buttassero sulla notizia. Poi iniziò a rivelare i retroscena del massacro, a dettagliarne i motivi con testimonianze e documenti. E sopratutto con la sensibilità e l’umanità che lo contraddistingueva anche nel racconto dei fatti di cronaca.

L’8 giugno 1985 Gionta venne arrestato nei pressi della tenuta di campagna dei Nuvoletta. 48 ore dopo Siani scrisse: ''La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di ‘Nuova famiglia’, i Bardellino”. Fu la sua condanna a morte. Da alcuni mesi stava indagando sugli intrecci tra la classe politica locale e la criminalità organizzata: appalti, piani di ricostruzione del terremoto, coperture, rivelazioni. Negli anni successivi altri processi proveranno la verifica delle sue intuizioni.

Il Comune di Torre Annunziata sarà poi sciolto per infiltrazioni mafiose. Giancarlo non riuscì a scriverne. I killer lo avevano fermato.

Non hanno fermato però la sua memoria, che cammina – come si diceva un tempo – sulle gambe degli uomini di buna volontà.