Gabriella Ferri, quando l’emozione prese forma. Una voce immortale

Pubblicato: Mercoledì, 03 Aprile 2019 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - 3 aprile del 2004: muore una grande arista, simbolo di una città

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La sua certezza artistica era l'emozione. Gabriella Ferri cantava tutto quello che amava davvero. E si sentiva. Sempre. Una grande artista che aveva la passione, il senso della bellezza, della tragedia, la capacità di catapultare un’intera tradizione nell’epoca contemporanea salvandola dall’evaporazione, dai ritmi imposti dalla tecnologia, dalla memoria che se ne va. Una testimonianza straordinaria e ancora viva.

Quando il corpo di Gabriella Ferri fu rinvenuto sotto una finestra della sua casa a Corchiano, in provincia di Viterbo, il 3 aprile 2004, morì una parte di Roma, quella Roma che stava man mano sfaldandosi e disperdendosi. L’Italia in generale perse, in assoluto, una delle più grandi voci della sua storia, un talento sproporzionato e viscerale, radicale, pulsante, splendidamente umano.

Cresciuta nel popolare quartiere di Testaccio, aveva nutrito il suo amore per la canzone fin da piccola. Suo padre Vittorio, un commerciante ambulante di dolci, era ammiratore e cultore della canzone romanesca. Gabriella fu attratta inizialmente dal mondo della moda. Avrebbe voluto fare l'indossatrice e nel frattempo si dedicò a tantissimi lavori. Nel frattempo conobbe Luisa De Santis, figlia di Giuseppe, il regista di ''Riso amaro'' e ''Roma ore 11'', capolavori del neorealismo. Insieme misero in piedi il duo ''Luisa e Gabriella'', che riscoprì il repertorio folk della Capitale.

''Barcarolo romano'', ''La società dei magnaccioni'' e altro: Luisa e Gabriella si fecero notare per la loro spontaneità e Walter Guertler le mise sotto contratto. Nel 1964 fecero la loro prima comparsa in televisione a ''La fiera dei sogni'', presentata da Mike Bongiorno, ove interpretarono proprio ''La società dei magnaccioni'' con un risultato di vendite eccezionale: un milione e settecentomila copie vendute. Riconosciute come interpreti della tradizione, registrarono quindi anche ''Sciuri sciuri''e ''Vitti 'na crozza'', ‘La povera Cecilia’, ‘È tutta robba mia’ e un brano musicato dal maestro Ennio Morricone: ''La manfrina''.

L'avventura di Luisa e Gabriella però durerà poco. La prima non amava cantare in pubblico, l'amica comprese e continuò la carriera da sola e nel 1966 arrivò in un locale storico, il 'Bagaglino', fondato da Pier Francesco Pingitore e Mario Castellacci (che sarà autore di un capolavoro come ''Sempre'') e dai giornalisti Luciano Cirri (redattore capo de ‘Il Borghese’). 

Gabriella proprio in questo periodo inizia la sua ascesa, entrando nel circuito artistico che conta e che la rispetta. Così arrivano i tempi di Pietro Germi, di Carlo Rustichelli, della televisione che le porta una popolarità diretta, di Claudio Villa, di Pasolini, di programmi storici come ‘Dove sta Zazà?’, ‘Mazzabubù’, l'incisione di un disco con alcune canzoni scritte per lei da Paolo Conte, persino degli Usa, dove si dedica unicamente alla musica.

Lentamente, poi, si eclissa,  torna, sparisce di nuovo, lotta con la sua depressione, riappare sul palco. Le sue due ultime uscite artistiche avvengono nel 1996 al Premio Tenco e nel luglio del 1997 con un concerto a Parco Celimontana a Roma. Fino alla drammatica fine, in un paese lontano dalla sua città, dalle sue glorie, dalle vestigia, dalle sue case, dalla sua gente.

Gabriella Ferri ha lasciato importanti tracce del suo passaggio. L'ha saputo fare perché ha raccontato ognuno di noi, la nostra anima, e l'ha mostrata al vento, l'ha fatta sbocciare. Ascoltando la sua voce possiamo ancora addentrarci nelle domande senza una risposta, nelle nostre riflessioni più intime, nelle disperazioni quotidiane, nelle solitudini improvvise, nelle ipocrisie, nelle povertà umane, nelle allegrie, nelle spensieratezze, nelle felicità compiute e brevi. Il miracolo è stato proprio questo: trasmettere con la arte l'intima esistenza dell’emozione attraverso il timbro di una radice popolare e verace, nelle note di un violino, di una fisarmonica, di uno strumento forse perduto nel tempo e di una canzone dimenticata, riesumata e riportata in vita in modo quasi religioso. Già, proprio un miracolo.