ACCADDE OGGI (attualità) - La prima testimone di giustizia contro la mafia negli anni sessanta

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Mi hanno tolto mio figlio. Finché mi avevano tolto mio marito, non avevo detto niente, ma mio figlio è sangue mio, e io devo reagire”.

Il 30 gennaio 1962, a Palermo, Serafina Battaglia, dentro ad uno scialle nero, testimonia in tribunale durante il processo per l’omicidio del figlio, Salvatore Lupo Reale, contro tre malavitosi locali. Per la prima vota una donna rompe il muro dell’omertà e si affida allo Stato per ottenere giustizia.

La mafia le aveva ucciso prima il compagno, Salvatore Leale, commerciante immischiato con Cosa Nostra, nel 1960, e dopo, nel 1962, il figlio, incoraggiato inizialmente dalla madre a vendicare il padre.

Serafina, una volta presa la sua decisione, collaborò con il giudice Cesare Terranova,  insieme a Mario Francese, giornalista del Giornale di Sicilia, e a Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora. Pochi anni dopo furono tutti uccisi dalla criminalità.


Serafina per alcuni anni non riuscì a trovare nessun avvocato disposto a rappresentarla, ma testimoniò comunque in diversi processi in tutta Italia: parlò di oltre venti omicidi, descrisse il modo con cui si svolgevano i traffici illeciti tra le famiglie.

Personaggio impetuoso, singolare, attirò le cronache del tempo con i suoi atteggiamenti in tribunale: un giorno tirò fuori fazzoletto imbrattato di sangue del figlio, sputò contro gli imputati e s’inginocchiò davanti ai giudici per ottenere giustizia. Venne chiamata “la vedova con la P38” perché raccontò di dormire con una pistola per paura di essere ammazzata. Dopo 17 anni dalla morte dell'amato figlio, gli imputati vennero assolti per insufficienza di prove.

Serafina non uscì più di casa. Accusata di essere pazza, si rintanò nel suo appartamento a pochi passi dal palazzo di giustizia di Palermo.  Morì nel 2004 pressoché dimenticata. Nel frattempo, però,  tante altre donne di mafia negli anni a venire avrebbero seguito il suo esempio dando il loro contributo alla giustizia.

Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare come faccio io, la Mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo', disse. Fu inizialmente un caso isolato, ma fu anche una svolta incredibile, il momento in cui si spezzò una catena, l’anello di congiunzione che rafforzava, con il silenzio, i comportamenti del potere mafioso in alcune zone della Sicilia.

In quella sua immagine di donna di altri tempi, velata, scura, ma vitale e appassionata nello sguardo e nella voce, il prologo di una terra che stava cambiando lentamente. Un lungo processo di mutazione che senza di lei, o tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per la legalità, non si sarebbe palesato con forza nei decenni successivi.