STORIE - La peste del 1656 ai Castelli romani e il culto di San Rocco

Pubblicato: Sabato, 04 Aprile 2020 - Giulia Bertotto

peste ilmamilioMARINO (storie) - Il morbo uccise migliaia di persone scampando solo poche località

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La peste del 1656 colpì severamente i Castelli romani, da Marino, a Grottaferrata, a Frascati e molti altri borghi, riducendo drammaticamente più della metà la popolazione, tanto che la nobile famiglia dei Colonna, per ripopolare quello che era un loro feudo marinese, fu costretta ad incentivare l'immigrazione dai loro territori abruzzesi. Si stima infatti che quell'epidemia causò un crollo demografico impressionante: Marino contava più di 3000 abitanti, ne rimasero solo 900.

Ai Castelli romani l'epidemia arrivo oltre 25 anni dopo quella del 1630 descritta da Manzoni ne "I promessi sposi".

Al termine della sciagura, che oggi chiameremmo catastrofe sanitaria, i superstiti iniziarono a nutrire una forte devozione per san Rocco, tanto che gli venne edificato un oratorio lungo la via Maremmana Inferiore, nella località che oggi prende nome appunto dal santo, e la cui festa, ricorrente il 16 agosto, venne celebrata sicuramente fino alla seconda guerra mondiale.comeDonare ilmamilio

A Frascati, tra gli altri, la devozione per San Rocco è affiancata - come dimostrano le immagini in basso, a quella per San Sebastiano. Al santo francese è co-dedicata una delle più antiche chiese cittadine, Santa Maria in Vivario nota anche come San Rocco: a San Sebastiano è da sempre intitolato l'ospedale civico che da poco ha celebrato i suoi 500 anni.

San Rocco di Montpellier è infatti un santo taumaturgo del culto cattolico, cioè un guaritore, che si fa veicolo delle forze divine per curare malattie e dolori. Il santo francese, protettore contro la peste è patrono di appestati, contagiati, malati ed emarginati. Ma anche di farmacisti e operatori sanitari, quelli che ora sono sul campo a portare tutta la loro competenza, preparazione, impegno e umanità contro il Covid-19.

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La peste del 1656 flagellò gran parte dell’Italia del cento-sud, in particolare il regno di Napoli. La peste arrivava probabilmente dalla Sardegna, e provocò 200 mila morti su un totale di 450.000 abitanti. Il tasso di mortalità oscillava forse tra il 50 e il 60% della popolazione, molto simile a quello che sembra essere il tasso di mortalità del virus Ebola oggi, diffusosi l'ultima volta in Africa occidentale nel 2014.

Quella che identifichiamo con il nome di peste è una malattia infettiva di origine batterica, una zoonosi, cioè trasmessa dagli animali all'uomo o tra animali; in particolare il suo spillover è il topo, ma l'unico reale vettore è la pulce del ratto. Una ricerca inglese del 2018 ritiene che il vettore sia stato il pidocchio umano. La peste del 1656 non divenne una pandemia come avvenne per la “Peste nera” del Trecento.

I suoi sintomi comprendono febbre mal di testa, nausea, vomito, diarrea, tumefazione dei linfonodi, dispnea (difficoltà a respirare) e sonnolenza. La peste può essere trasmessa da uomo a uomo, è infatti classificata come malattia quarantenaria. Per i protocolli sanitari internazionali deve essere denunciata all’OMS non appena un paese abbia un focolaio di individui sintomatici.

Ancora oggi la fede e la scienza, la ricerca e la consapevolezza della vulnerabilità umana pongono interrogativi agli scienziati e preghiere ai santi, e ci guidano nella storia.