Quei mosaici di Galleria Borghese provenienti dalla ‘Villa di Vermicino’: un ritratto di antiche storie umane

Pubblicato: Venerdì, 25 Ottobre 2019 - Fabrizio Giusti

Furono rinvenuti durante lo scasso di una vigna: rappresentano un mondo di combattimenti e morte. Una testimonianza straordinaria

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All’interno della meraviglia di Galleria Borghese, a Roma, c’è un salone che si impone per dimensioni, sontuosità, decorazioni, sculture. E’ lo spazio che introduce ogni visitatore in un percorso museale straordinario ed indimenticabile, dominato dalla volta di Mariano Rossi, eseguita tra il 1775 e il 1779, nell’ambito dei lavori di rinnovamento della palazzina voluti dal principe Marcantonio IV Borghese. Il soggetto celebra la civiltà romana e l’eroica virtù dell’onore. Intorno dipinti, motivi floreali, cammei a stucco, i busti dei 'Dodici Cesari' di Giovan Battista della Porta, il 'Satiro all’attacco' (120-140 d.C.) con il corpo in torsione che ispirò Gian Lorenzo Bernini per il suo 'David'. Nello XIX secolo venne inserito quindi il Mosaico con scene di caccia e di lotta tra gladiatori e fiere (inizio del IV d.C.), rinvenuto in una tenuta di Vermicino. Uno strepitoso rinvenimento, fatto pregevoli mosaici policromi con scene di gladiatori ed altre raffigurazioni: un uomo che affronta una pantera, le caccie a leoni, antilopi, cinghiali, tori. A lato di un pannello vengono rappresentati anche numerosi condannati riversi a terra, morti o gravemente feriti, perché costretti a misurarsi con le bestie.

Grazie ad una fonte preziosa come l’Osservatorio dei Castelli Romani per l’Archeologia e l’Ambiente, in un articolo dell’archeologo Franco Arietti, pubblicato sul sito dell’associazione, sappiamo che i mosaici decoravano il pavimento di una lussuosa villa romana, già nei secoli scorsi quasi scomparsa, della quale oggi non rimane praticamente nulla se non un quartiere popolato nella zona di Vermicino, al confine del Comune di Frascati con Roma, in una località che ancora nell’800 era conosciuta come ‘Quarto della Giostra’. I mosaici vennero rinvenuti casualmente, durante i lavori di scasso delle vigne, i quali purtroppo causarono dei danni.

Francesco Borghese Aldobrandini incaricò Luigi Canina di provvedere al loro distacco dei mosaici. La villa venne costruita su due terrazzamenti posti sulla vetta di una leggera altura. Dell’esatta posizione – sommariamente indicata da Luigi Canina e dai numerosi archeologi – si è discusso molto. Uno studio dell’Osservatorio dei Colli Albani per l’Archeologia ha finalmente consentito di riconoscere la pianta della villa di Vermicino in base alla Carta Archeologica del Lazio redatta tra 1850 e 1870 da Pietro Rosa. La sicura collocazione topografica dell’edificio viene assicurata dalla presenza della via Cavona che ricalca un’antichissima strada romana, la Via Valeria, probabilmente lastricata da Valerio Messalla Corvino. Un itineriario molto importante, il cui tracciato ricalca la via di transumanza, ancora più antica, che risale all’età pre-protostorica.

La Carta archeologica di Roma, redatta a partire dagli anni ’80 del Novecento, non riporta alcun resto della villa romana, ma solo un’area di frammenti. La dimora collocata era comunque collocata tra due acquedotti famosi: l’Anio Vetus e l’Aqua Claudia, che scorrono parallelamente, e due tracciati stradali antichi. La sicura identificazione della grande dimora è assicurata da un’annotazione di Thomas Ashby che ai primi anni del ‘900 vide ciò che rimaneva dell’edificio, descrivendo la presenza di una struttura circolare all’interno della villa eseguita in opera mista. Per quanto riguarda la datazione dell’edificio, l’impianto parrebbe risalire all’età augustea o appena successiva, mentre alcuni rifacimenti sembrano relativi ai secoli successivi, fino al IV sec. a.C., come attestano gli stessi mosaici policromi.

I vari riquadri mostrano in sequenza spettacoli circensi che e combattimenti tra gladiatori, tra uomini e animali e caccie (venationes). I singoli duelli sono arricchiti da iscrizioni che menzionano i nomi dei due gladiatori opposti in lotta, spesso separati dalla dicitura VS (versus, ovvero ‘contro’). “Di norma viene rappresentato il momento culminante del duello – spiega Arietti nel suo articolo di approfondimento - in qualche caso anche la morte del gladiatore, il cui nome viene fatto seguire dal segno ø detto theta nigrum (potrebbe essere un theta greco (θ), iniziale della parola θανατος (thanatos = morte), oppure il segno della O barrato, con il significato di obit (morì)”.

Il combattimento con animali comprendeva due diverse categorie di persone: nella prima i condannati a morte destinati ad essere sbranati dalle fiere, la seconda includeva i venatores, personaggi che affrontavano le belve per denaro (non gladiatori). La condanna a morte per ad bestias veniva inflitta per reati gravi: i destinati venivano denudati, costretti a difendersi contro tigri e leoni, orsi, leopardi, tori e lupi. A volte venivano usate belve come i cinghiali e le iene, per prolungare l’agonia. I mosaici di Vermicino mostrano proprio i condannati a morte e i venatores armati di sola lancia, oppure gruppi di uomini, armati di sola lancia, che affrontano animali.

I mosaici sono ricchi di dettagli delle vesti, degli armamenti e di altre caratteristiche nitidi e sensazionali. La presenza dei vari nomi di gladiatori o di personaggi che affrontano le fiere, riconduce ad una committenza che conosceva perfettamente mondo circense e che forse ne era addirittura direttamente coinvolta.

Erano gli spettacoli che piacevano ai romani del tempo, giunti fino a noi con fine interezza.

Una delle bellissime possibilità di quella galleria in cui una lapide marmorea, un tempo affissa all'ingresso, recitava (con straordinaria modernità di concetto): “Chiunque tu sia, purché da uomo libero non temere qui impacci di regolamenti, va pure dove vuoi, domanda quel che desideri; vai via quando vuoi. Queste delizie sono fatte più per estranei che per il padrone.

Nel secolo d’oro in cui la sicurezza dei tempi rese aura ogni cosa, il padrone proibisce di imporre leggi ferree all’ospite che qui si indugi.

L’amico abbia qui in luogo della legge il buon volere; se invece alcuno con malvagio inganno, volente e cosciente, infrangerà le auree leggi della cortesia, badi bene che il custode adirato non gli stracci la tessera dell’amicizia”.

(Immagini: Osservatorio Colli Albani - Per approfondire: www.osservatoriocollialbani.it)