La primavera luminosa di Umberto Boccioni. Una necessaria modernità

Pubblicato: Giovedì, 17 Agosto 2017 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 17 agosto del 1916 muore in un incidente al fronte il pittore che spronò l’arte italiana

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Per spiegare l’ansia di modernità che circolava all’inizio del Novecento è corretto visitare la figura di un artista inquieto, insoddisfatto e rivoluzionario che seppe trasformare la materia in un pensiero che correva fuori da ogni identità statica e da ogni linea che voleva essere semplice, lineare o definita.

Umberto Boccioni, sin da giovane, tese tutto il suo corpo e la sua mente verso il desiderio di ricerca, di soluzioni nuove che lo soddisfacessero. Una vita piena di studi, di frequentazioni, di solitudini, di amore per le donne, di scoperte.

Nella precarietà, si condensava la sua vitalità, la sua espressione massima. Cercava la luce, viveva l’età industriale, la compenetrazione delle forme, il movimento, la poetica degli stati d’animo nella città contemporanea come nella stazione ferroviaria, ad esempio, dove le persone vanno, arrivano, si salutano. Fu pittore e scultore capace di muoversi nella 'continuità dello spazio' e maestro del movimento, del dinamismo, della velocità con colori esplosivi, forti, vistosi. Infine l’amore per lo studio del cavallo, animale dal tema classico, ma su cui concentrò alcune delle sue teorie e che fu artefice, purtroppo, anche della sua prematura morte, nel paradosso.

"Ha un’anima avventurosa e inquieta di lottatore, attratto di volta in volta dall’azione violenta e dal sogno", scrisse di lui Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del 'Manifesto del Futurismo', movimento che cambiò strada squassando l’arte europea, assieme al Cubismo, a pochi metri dallo scoppio della prima guerra di dimensioni mondiali. Si incontrarono nel 1910, Boccioni e Marinetti, e finalmente i tormenti interiori di entrambi, ricercatori di vie mai percorse, trovarono una risposta.

Fu proprio Boccioni, con Carrà e Russolo, a scrivere il 'Manifesto della pittura futurista', espressione di un’arte lanciata a "magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa". Il superamento del passato, finalmente. Una svolta già architettata dal 1907, da quando cioè Umberto si era spostato a Milano, l’unica città moderna d'Italia, quella in cui si preparava una nuova metropolitana e una nuova stazione. Il sogno dell'artista, nato a Reggio Calabria, era “dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale". "Tutto il passato meravigliosamente grande mi opprime - scriverà - io voglio del nuovo”. Dalla sua casa dei bastioni Porta Romana poteva vedere le ciminiere, i tralicci, le industrie, le case in costruzione, i fermenti di una metropoli che si espandeva e si apriva.

Boccioni si avvolgeva nella solitudine. A Sibilla Aleramo  scrisse: "Io non posso amare nessuna donna, non voglio saperne. Mi ripugna il pensare di essere legato a omaggi artistici qualcuno. Vivo bene solo!". Ma non era un misogino, anzi. "Credo che le donne –  disse - abbiano il senso della loro personalità molto più forte degli uomini. La donna sogna sempre qualche cosa. E questo credo sia la ragione per la quale noi uomini gridiamo che della donna non comprendiamo nulla".

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Boccioni era un uomo di dimensione europea. Dalla Francia alla Russia non si fece scrupolo di partire, capire. In lui si stratificarono le lezioni di Giacomo Balla, ma anche di Edvard Munch. Fu pervaso dai lasciti della cultura divisionista, simbolista, cubista.

La svolta stilistica avvenne con la "La città che sale", opera realizzata nel 1910. In breve divenne il maggior artista italiano del periodo. Partecipò a numerose manifestazioni in Italia e in Europa. Pubblicò due testi fondamentali per comprendere la sua visione artistica: "Pittura Scultura Futuriste" e "Dinamismo plastico". Dal 1911 si dedicò alla scultura, con esiti sbalorditivi. Autore del Manifesto tecnico della scultura futurista, in "Forme uniche nella continuità dello spazio" (1913) portò a compimento una delle creazioni più famose in assoluto del Novecento, indagando la deformazione plastica di un corpo umano in movimento fino a raggiungere una dimensione aerodinamica in cui il corpo stesso, stilizzato, quasi impossibile da percepire all’apparenza, è in realtà una grande sensazione di potenza. Lì si delineò l’uomo futuro, sintesi della macchina, della tecnologia, del dinamismo e della velocità.

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Arrivano gli anni dell''inutile strage' (Papa Benedetto XV) e del fronte. In Europa ci si butta drammaticamente nella battaglia. I futuristi, coerentemente con il proprio credo, si gettarono nella contesa. In molti finirono nel Battaglione ciclisti.

Sono anni di logoramento. Si arruolano tutti. Marinetti, a cui viene diagnosticata un’ernia, si fa operare in fretta per andare al fronte. Ci sono anche Ugo Piatti, Antonio Sant’Elia, Carlo Erba, Mario Sironi, Achille Funi, Luigi Russolo, Luciano Folgore, Balla e Depero negli alpini. Molti non tornarono. Il plotone dei futuristi contò alla fine 12 morti e 41 feriti. I colpi di una mitragliatrice uccisero Antonio Sant’Elia, sepolto nel cimitero di Monfalcone che egli stesso aveva progettato. Carlo Erba perse la vita sul monte Ortigara.

La mattina del 24 luglio 1916 Umberto Boccioni, con la sua divisa grigioverde, deve raggiungere Chievo, poco fuori città di Verona. Là è di stanza il 29° Reggimento d'Artiglieria da Campagna, al quale è stato assegnato. Il 16 agosto scrive una cartolina a Margherita Sarfatti, quindi esce con la sua cavalla 'Vermiglia'. Non è ancora pratico della sella, ma procede con cautela fino a un punto in cui la strada che percorre incrocia una ferrovia. Un autocarro, all'improvviso, spaventa l’equino, che s'impenna e disarciona Boccioni. Cadendo, batte la testa a terra e con un piede rimane impigliato in una staffa. Il cavallo continua poi a trottare lento, trascinando il suo cavaliere per qualche metro, privo di sensi. Soccorso dai contadini del posto, Boccioni viene trasportato con un'automobile, all'Ospedale Militare di Verona. Malgrado le cure, muore alle prime luci dell’alba del 17 agosto 1916.

L’Italia perse così uno dei suoi più grandi artisti. Non si dimenticò però del suo genio, oggi visibile nei più importanti musei del mondo. La sua celebre scultura "Forme uniche della continuità nello spazio" è raffigurata sul retro delle monete da 20 centesimi di euro coniate in Italia.