STORIE - Antonietta Longo, la decapitata del lago di Castel Gandolfo e la ragazza innamorata

Pubblicato: Giovedì, 20 Febbraio 2020 - G.B.

antonietta Longo ilmamiolioCASTEL GANDOLFO (storie) - Un omicidio senza assassino: un mistero nell'Italia del dopoguerra che è, casualmente, atterrato proprio ai Castelli romani

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Antonietta Longo, questo nome così semplice e grazioso, evoca una storia tragica e raccapricciante. Lei è la drammaticamente famosa decapitata del lago.

Aveva trent'anni quando la sua vita finì barbaramente sulle rive del lago di Castel Gandolfo.

La ragazza, nata in Sicilia, vicino Catania, si era trasferita nella Capitale, così ricca di possibilità professionali, mestieri magari umili ma dignitosi come la cuoca o la donna di servizio. Erano tempi duri, gli anni '50, a guerra finita e le città offrivano occasioni di un futuro migliore.

Antonietta aveva infatti trovato lavoro come cameriera nella casa di un funzionario del ministero, i signori Gasparri in via Poggio Catino, nel quartiere africano, come svago qualche festa da ballo nel pomeriggio del giorno libero, e un fidanzato, Antonio, con il quale diceva di essere felice, chiacchierando con le amiche.

Il 5 luglio del 1955 spedisce questa lettera alla sua famiglia “Tra poche ore sarò sua. Spero di sposarlo e di darvi presto un nipotino”. Aveva ritirato i suoi risparmi da un conto bancario (231mila lire) e acquistato un biglietto del treno per il suo paese. Il 5 luglio uscì dalla pensione dove aveva dormito.

Venne ritrovata 5 giorni dopo. Due uomini che stanno facendo una gita in barca sul lago di Castel Gandolfo vedono qualcosa tra le fronde della vegetazione. L'agghiacciante scena che si trovano davanti non li abbandonerà più: un corpo di donna senza testa, nuda e insanguinata, alcune pagine del Messaggero le coprono malamente il busto mutilato.GIERREauto 0220

La testa della donna non verrà mai trovata. I quotidiani che la avvolgevano riportavano la data 5 luglio, giorno della scomparsa. Da quel momento considerato anche il giorno dell'efferato delitto.

La morte è stata causata da sette coltellate, alla schiena e al ventre, sferrate mentre era voltata di spalle, forse mentre stava ammirando il lago.

La povera Longo verrà identificata solo grazie ad uno degli esemplari delle 150 esemplari del suo orologio Zeus, e a delle piccole anomalie delle dita. Mentre le indagini sono alla ricerca di un nome per quel corpo massacrato e intanto una maga, Silvia Bini, nome d'arte Nelly Makalowski, prima che si sapesse in questura e sui giornali, rivela il nome della ragazza e del suo carnefice, ma le indagini mai trovarono le prove per inchiodarlo. Una sorta di elemento che sembra avere del soprannaturale in una vicenda già mostruosa, a cui poi la stampa fece riferimento.

In seguito sono emersi gli elementi più macabri del delitto. L'assassino l'ha decapitata sul posto, infatti il sangue è stato assorbito dal terreno intorno al cadavere. Le ovaie della donna erano state asportate, forse a causa di un aborto mal riuscito. Che la gravidanza sia stato il movente del terribile calvario della ragazza? Forse Antonio costrinse la poveretta ad abortire? Si seppe poi, che Antonio era un uomo sposato, e forse la paura dello scandalo per un'amante incinta lo avrebbe portato a compiere un gesto così atroce e barbaro. O forse il chirurgo stesso che aveva eseguito l'aborto clandestino, per coprire qualcosa? Fu un'altra ipotesi mai confermata da prove.

“La decapitata del lago”, un appellativo da film horror e nemmeno di buon gusto, divenne in quell'estate, l'argomento di cronaca nera delle spiagge e delle serate.

Nel 1971 nella casa del suo ex datore di lavoro arriverà una lettera con scritto “Le è stato praticato un aborto, e di aborto è morta, quindi portata in riva al lago”. Nonostante l'indizio di questo biglietto e anni di indagini il suo assassino oggi non ha ancora un volto.

Ieri questa storia era anche il simbolo di un cambiamento sociale, la popolazione che emigrava dal sud al nord, dalle campagne e dai paesi alle città. Oggi questa cruenta vicenda ci fa pensare a tutte quelle di donne uccise dai partner, fidanzati e mariti, per gelosia, o incapacità di fare fronte alle separazioni o alle relazioni che loro stessi non sanno come interrompere.

Un femminicidio, insomma, come purtroppo mille altri: se per errore, per vendetta, per coprire uno scandalo o per cos'altro, nessuno ormai potrà più saperlo.