Pubblicato: Lunedì, 29 Luglio 2024 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI (attualità) - Il regicidio che cambiò l'Italia

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Nel caldo dell'estate dell'anno 1900 ancora non si era spento il ricordo delle cannonate che il generale Bava Beccaris aveva sparato, nel 1898, su una folla che chiedeva pane e lavoro. L'episodio cruento aveva causato oltre 80 vittime tra la popolazione civile ed un alto numero di feriti.

In segno di riconoscimento, il 5 giugno 1898, Bava Beccaris era stato insignito del titolo di grande ufficiale dell'Ordine militare di Savoia dal re Umberto I e nominato senatore del Regno.

C'è un tessitore anarchico di trent'anni, in quei giorni, che sta preparando un atto dimostrativo e destabilizzante. E', come si direbbe oggi, un ''lupo solitario''. Da non molto è tornato dall'America, dove era andato per sfuggire, come tanti, alla miseria e alle persecuzioni della polizia. Possiede una pistola. L'ha comprata a New York. E' l'unico ''souvenir'' di quel viaggio. Negli ultimi mesi ha maturato un'idea: colpire Re Umberto I di Savoia. Per la propaganda e i suoi sostenitori è il ''Re Buono'', mentre per gli insurrezionalisti, gli anarchici ed i socialisti è solo il ''Re Mitraglia''. Il sovrano è già scampato, per questo, a ben due attentati.

Il suo scopo, l'anarchico arrivato dall'America, l'ha organizzato bene. Ha preso ad allenarsi presso il Tiro a segno Nazionale di Galceti, vicino Prato (dove era nato, il 10 novembre 1869). Dopo una serie di passaggi in alcune città, alloggia in una camera di albergo a Milano. Poi va a Monza. Qui segue per diversi giorni i movimenti e le abitudini del sovrano, il quale si trova in villeggiatura estiva nella Villa Reale.

L'OMICIDIO - Il 29 luglio del 1900 il monarca è stato invitato, sempre a Monza, alla serata di chiusura del concorso ginnico organizzato dalla società sportiva “Forti e liberi”. Arriva in carrozza. In palestra segue con attenzione l’esibizione, poi la premiazione. Torna sul mezzo trainato da cavalli. È in quel momento che quell'uomo sui trent'anni gli spara tre colpi. I cavalli s’impennano, la gente urla e fugge. La prima pallottola arriva alla gola, la seconda al cuore, la terza va a vuoto. Il Re muore poco dopo. Prima di essere assassinato, secondo le cronache, aveva detto: ''Era molto tempo che non assistevo in mezzo al mio popolo a una dimostrazione di simpatia così cordiale''. 

L'uomo che ha sparato non è più un ribelle anonimo. Ha un volto, un nome ed un cognome: si chiama Gaetano Bresci e da questo momento rimarrà per sempre nei libri di storia.

Dopo l'esecuzione, è stato circondato, malmenato, tempestato di bastonate. Sottratto a stento al furore delle persone, non si negò di assestare qualche pugno in qua e in là, litigando anche con i carabinieri. Poco dopo affermò: ''Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio''. Il posto del sovrano viene preso da suo figlio, Vittorio Emanuele III (regnerà per 45 anni).

Gaetano Bresci, fu Gaspero, viene condannato all'ergastolo, ma in tanti lo vogliono morto. Il 22 maggio del 1901 è nel carcere dell'Isola di Santo Stefano. Alle ore 14.55 il secondino che aveva l'incarico di sorvegliare a vista il detenuto, scopre il suo corpo penzolare dall'inferriata. Bresci non aveva dato segni di depressione o volontà autolesive nei giorni precedenti.

Le circostanze della sua morte destarono molte perplessità. Sandro Pertini, detenuto al carcere di Santo Stefano durante il fascismo, sostenne in seguito, nell'aula dell'Assemblea Costituente nel 1947, che Bresci era stato ammazzato di botte e impiccato. Secondo i medici che effettuarono l'autopsia, il cadavere, al momento del ritrovamento, era in stato di decomposizione. Persino sulla sua sepoltura non ci sarà mai una certezza. Secondo alcune fonti fu seppellito nel cimitero della casa circondariale; secondo altre venne gettato in mare.

Dell'anarchico solitario venuto dall'America sono rimaste la rivoltella con cui mise a segno il delitto, la sua macchina fotografica, due valigie di effetti personali.

Qualche anno dopo, un altro attentatore isolato, Gravilo Princip, ucciderà l'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria, facendo scoccare la scintilla della prima guerra mondiale. A un direttore del carcere che lo voleva trasferire, disse: "Non c'è bisogno di trasferirmi in un'altra prigione. La mia vita sta già scivolando via. Suggerisco di inchiodarmi a una croce e bruciarmi vivo. Il mio corpo fiammeggiante sarà una torcia per illuminare il mio popolo sulla strada per la libertà".

In verità l'unica sorte che gli toccò fu di morire in galera. Come Gaetano Bresci, l'operaio che cambiò la storia d'Italia per vendetta e per rivalsa.