ACCADDE OGGI – Il 1° settembre 1937 nasceva a Campi Salentina un grande innovatore dell’arte italiana. Amato e criticato
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“Il tempo non esiste, non festeggio i miei anniversari, non lutteggio la mia dipartita. Non siete voi che mi cacciate, sono io che vi condanno a restare in questo mondo pieno di cose vuote e persone svuotate”.
Così scriveva Carmelo Bene, un protagonista, persino 'ingombrante', della vita teatrale italiana. Un provocatore strepitoso, un comunicatore che spaccava il teatro e le opinioni. Mai noioso, mai ripetitivo, mai banale anche nella trasgressione del linguaggio. Una vita sul palcoscenico, una fantasia e una vita tumultuose, una genialità talvolta incompresa e discussa. Un artista unico nel suo genere, capace di infilarsi tra la luce e l’ombra. Ovunque ci fosse una fessura tra due spazi che si aprivano, egli esisteva.
Bene era come la polvere nel raggio di sole descritta da Lucrezio, quel vortice, quella nube che tutti notano. Era l’impalpabile e l'inafferrabile comunque reale. Egli ha a cambiato dinamica e sostanza del modo di fare teatro. grazie alla suo fare eclettico e alla sua imprevedibilità.
Nato a Campi Salentina in provincia di Lecce il 1° settembre del 1937, da Umberto Bene e Amelia Secolo, proprietari di una fabbrica di tabacco dove lavoravano diverse centinaia di giovani operaie. Timido, introverso e taciturno, Bene cresce sotto le ali di una madre fervente praticante. Serve una ‘infinità di messe’, come ebbe a dire in seguito. Ma la vocazione non fa per lui. Diventa mano mano allergico a qualsiasi tipo di rituale religioso. Anche frequentando la scuola degli Scolopi di Lecce non va meglio. Conclude gli studi classici nel Collegio Argento dei Padri Gesuiti di Lecce.
Il ragazzino che contava le ostie, insofferente ma già creativo, è ormai cresciuto. Parte per la visita di leva, ma, contrario a utilizzare quei 18 mesi per svolgere mansioni a lui estranee, riesce a evitare il servizio militare fingendosi omosessuale. Anche all'esame psichiatrico risulta la sua ambivalenza, guadagnando così l'attestato di Ridotta Attitudine Militare. Comincia a manifestare la sua personalità all'Accademia d'Arte Drammatica dove, indisciplinato, non completa il triennio di studi. Nei primi anni Sessanta fonda a Roma il Teatro Laboratorio, dove muta ‘Amleto’ e il ‘Faust’ (e non solo, ovviamente) a suo piacimento.
Roma, dopo Lecce, per lui è un nuovo mondo, da sfruttare. Inventa il suo modo di stare sul palco, con l’attore che diventa artefice, autore, soggetto. Si impossessa dei testi dei classici e li sminuzza. Ne monta dieci in pochi anni tra decostruzione e ricostruzione. Un genio incontenibile. Ogni volta che prende la scena è una polemica. Al Teatro Laboratorio, locale allestito tra il 1961 e il 1963 nel cortile di un palazzo in piazza San Cosimato, Bene ricerca e sperimenta. Fu chiuso definitivamente con la messa in scena del ‘Cristo '63’, dopo che Alberto Greco, pittore argentino nei panni dell'apostolo Giovanni, urina sulla platea, sull'ambasciatore argentino e la consorte. Agli spettacoli del Laboratorio sono assidui Pier Paolo Pasolini, Ennio Flaiano Alberto Moravia, Elsa Morante, Sandro Penna. Il mito di Bene cresce in questi anni. Tra scandali e risse. Poi il ‘Pinocchio’, il ‘Beat '72’, uno dei primi centri teatrali di ricerca dedicato al teatro e alla poesia e ad altre rappresentazioni artistiche.
Bene innamorato del teatro e affascinato dal cinema. La prima apparizione come attore è nell'Edipo re di Pasolini (1967). La parentesi cinematografica, che dura cinque anni, gli regala comunque notorietà e una bella dose di critiche, a cui era abituato e che richiamava, anche da parte di un certo pubblico. Il successo arriva con Nostra Signora dei Turchi, presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dove vinse il premio speciale della giuria. Sarà poi il tempo di ‘Capricci’, 'Don Giovanni', 'Salomè' e 'Un Amleto di meno'.
Al di là dell’aspetto critico e di consenso, questo periodo gli consente comunque di portare avanti la sua intenzione di demolire l’assetto del cinema italiano, di metterlo in discussione, come in Nostra Signora dei Turchi, parodia spietata – a detta dell’attore - di quell’ambito artistico. Avrà un rapporto migliore con la televisione, ove riuscì ad allestirvi lo Spettacolo-concerto Majakovskij, nelle verione intitolata ‘Quattro modi di morire in versi’, opera omnicompresiva di Majakovskij, Blok, Esenin e Pasternak.
Bene non amò mai una certa critica teatrale, e questo non gli aprì le strade della popolarità, comunque notevole. Rivendicò il ruolo dell’attore in una personificazione assoluta, imperversando in quella "scrittura di scena", in quel teatro del dire e non del già detto, che lo portava verso spazi prima mai percorsi o solo in parte tentati. Il suo teatro voleva che l’attore diventasse 'Artefice'. Da qui il suo piacere di martoriare ogni canovaccio, allargando l'applicazione del suo 'Io' alla regia, alla scenografia, ai costumi. Ma soprattutto Carmelo Bene è stato la 'parola'. La sua passione per la radiofonia, il microfono, per l’ausilio tecnologico era mirata ad analizzare di fatto il mistero della voce. La sonorità fu per lui era un modo per accendere il mondo. Divenne, su questo campo, con il passare degli anni, un virtuoso di assoluta grandezza. E’ il senso in cui si concentra il suo più grande teatro è in questa sperimentazione che non si è mai fermata e che ha trovato agio ancor meglio della ricerca di uno stile, poiché Bene stesso era consapevole, come pochi altri, che la voce era sì invisibile nel suo aspetto, ma poteva prendere una forma, una curva, entrare in linea retta, penetrare l’anima.
Rompere i confini e andare oltre è stato un momento costante della sua opera. È scomparso a Roma il 16 marzo del 2002. Il suo talento e le sue imprese sono rimaste immortali.