Pubblicato: Domenica, 02 Giugno 2024 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Un’idea che oggi ci appare scontata, ma che ha avuto un lungo percorso di gestazione

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''Mi è riuscito di mettere d’accordo imperatori, re, uno zar, un sultano ed un Papa. Ma nessuno sulla faccia della terra mi ha procurato maggiori difficoltà di un manigoldo di italiano, emaciato, pallido, straccione, ma facondo come l’uragano, rovente come un apostolo, furbo come un ladro, sfacciato come un commediante, infaticabile come un innamorato".

Quando la salma di Giuseppe Mazzini, patriota repubblicano, fu esposta il 23 giugno 1946 nel cimitero di Staglieno, a Genova, tutto era compiuto. E a qualcuno venne alla memoria di aver letto, da qualche parte, quella frase del cancelliere Metternich. Un giudizio terribile e allo stesso tempo affascinato, quello del Cancelliere tedesco, che esaltava l'uomo che più di tutti, braccato da almeno sei polizie, aveva creduto in una nuova forma di governo, ovvero quella Repubblica (res publica, cosa pubblica) in cui la sovranità doveva essere esercitata dal popolo secondo forme stabilite dal sistema politico costituzionale. 

Quando il 2 Giugno del 1946 l’Italia divenne Repubblica andò in porto un percorso tortuoso, fatto di divisioni, guerre, separazioni e ideali che avevano avuto un lungo periodo di incubazione prima di propagarsi in tutto il territorio nazionale e farsi popolo. Un'idea, mutuata dal mito di Roma, che vide proprio in Giuseppe Mazzini l'artefice che non riuscì a godersi la sua vittoria. Morì 'esule in Patria', infatti, nel suo letto di solitudine a Pisa, ma i suoi valori continuarono ad affascinare milioni di italiani. Per questo quello del nemico Metternich, è forse il miglior tributo, nella sua durezza, alla figura di un italiano che trovò la sua legittimità storica e il suo riconoscimento maggiore quando era già sui libri di storia.

Tornare allo spirito del 2 giugno 1946, ove si voltò pagina dopo la fine della disastrosa seconda guerra mondiale dopo oltre venti anni di dittatura, ricordare il Referendum istituzionale indetto per stabilire un nuovo concetto di Stato (la vittoria dei repubblicani con il 54,3% dei voti contro il 45,7% dei monarchici), vuol dire rimembrare un fatto epocale di enorme valore simbolico e materiale: quel giorno, infatti, votarono anche le donne, fino ad allora ai margini dell'espressione sociale e da ogni suffragio. Il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica avvenne in un clima di tensione tra polemiche sulla regolarità del referendum e accuse di brogli, ma anche di un entusiasmo che segnò la fine di un mondo e l'inizio di un modello sorto dalla voglia, immediata, di ricostruire tutto dopo tanti lutti e dolori.

Il nostro Stato moderno è nato dal voto e dall'impegno secolare di un esercito di sognatori che dalla Repubblica Romana del 1849 (ove nacque una Costituzione le cui tracce sono visibili anche nella nostra carta costituzionale) al secondo dopoguerra non smisero mai di credere che la ''cosa pubblica'' fosse il miglior sviluppo ideale da perseguire per far terminare l'epoca dei sovrani e delle dinastie. Se la nostra condizione di vita e sociale oggi non ci soddisfa o trova grandi critiche, non è certo colpa dei valori incarnati dalle nostre forme di governo, bensì per la loro mancata applicazione nelle sedi istituzionali.

Quel tricolore che oggi sventola in ogni manifestazione pubblica è la bandiera di tutti. Quell’inno che cantiamo è del patriota Goffredo Mameli, che morì a Roma in difesa di quella lontana ed eroica Repubblica.

Il sogno di Giuseppe e di Goffredo, la meta di generazioni di giovani che morirono fermando su un campo di battaglia l’energia dei vent’anni, è il patrimonio più elevato di ciò che celebriamo. Non dimenticare mai per strada il testimone e la tensione ideale di questo sacrificio è forse, nell’epoca della memoria corta e della parola istantanea che si perde in un post o in click, il compito più arduo e più grande. Al di là delle norme che tutti i giorni siamo abituati ad osservare.