Diocesi Tuscolana | Un saluto a don James e una doverosa riflessione

Pubblicato: Domenica, 31 Luglio 2022 - redazione attualità

donJames montecompatri ilmamilioFRASCATI (attualità) - Lo storico diocesano Valentino Marcon sull'addio del sacerdote africano

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di Valentino Marcon

Salutato calorosamente dalla comunità cristiana di S. Maria Madre della Chiesa di Laghetto in cui per qualche anno ha esercitato il suo ministero sacerdotale quale collaboratore nella parrocchia di cui però non era parroco, è tornato in Africa, in Kenya, al termine del suo servizio in diocesi, don James Muchina.

 Sacerdote estroverso, disponibile e aperto al dialogo, proveniente da famiglia numerosa, con 9 tra fratelli e sorelle di cui alcuni in Italia, è stato studente e laureato dell’Università Urbaniana ed ha collaborato, solo per qualche mese nel 2015, in Cattedrale. A tal proposito ricordo che, dal momento che erano tanti i giovani preti che si alternavano nelle nostre parrocchie e senza che si intavolasse almeno un minimo di conoscenza del loro stato di vita e di impegno, invitai il gruppo dell’AC parrocchiale affinché il nuovo arrivato (ed anche un altro giovane prete straniero) potesse informarci della provenienza, della vocazione, dei suoi studi, ecc., onde avviare una informazione reciproca e un dialogo, che in genere difficilmente viene proposto nelle parrocchie con questi giovani preti-studenti!

Ora, mentre auguriamo a don James un proficuo ministero nella sua diocesi di origine, non possiamo non interrogarci sulla ‘politica’ ecclesiastica e vocazionale di questi anni nella chiesa tuscolana. La carenza di clero indigeno è ora diventata drammatica, sia per la scomparsa di alcuni sacerdoti sia per la mancata incardinazione di nuovi preti.

 In questi anni abbiamo potuto constatare l’avvicendarsi di innumerevoli giovani preti stranieri che – proseguendo i loro studi in Roma – hanno esercitato il loro sacerdozio al servizio delle parrocchie della diocesi. Poi, come meteore, sono scomparsi dall’orizzonte, tornando naturalmente nelle diocesi di provenienza (dapprima c’erano i polacchi, poi gli africani). E’ evidente come questa girandola di alternanze, non ha consentito una continuità pastorale e nemmeno momenti più concreti di dialogo clero-laicato (e tantomeno con religiosi e suore) oltre ad una carente crescita di cultura liturgica, più spesso relegata ad un formalismo ritualistico.

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   Nelle riunioni del clero diocesano (di cui sembra non si siano mai diffusi in merito comunicati ufficiali), pare che in genere i preti, da diverso tempo in qua, abbiano ascoltato, annuito e obbedientemente approvato le esternazioni del vescovo, talvolta con benevola rassegnazione rinunciando ad intervenire su decisioni già prese dall’alto. Ma recentemente dal Cremlino curiale, come ci è dato sapere (ma sempre col beneficio d’inventario), un prete diocesano ha avuto il coraggio(?) di chiedere al presule il perché in tanti anni non siano stati incardinati nuovi preti sia pur stranieri (ma nella Chiesa nessuno è straniero).

   La risposta è stata per lo meno spiazzante. Il divieto sarebbe direttamente pervenuto dai suoi ‘superiori’. Ma qui si pongono due interrogativi. Il primo su chi sono i suoi ‘superiori’ (Ratzinger? Bertone? La Congregazione dei Vescovi o quella del clero? Ma queste ultime non si intromettono quasi mai nella pastorale diocesana). D’altronde un vescovo in ogni diocesi è il ‘capo’ (assoluto?) di essa, come del resto si è constatato in questi anni, e qui (è la seconda domanda), si potrebbe chiedere qualche informazione alla cancelliera episcopale - (di cui come si è visto in un comunicato diocesano si è rivendicata con una certa enfasi la primogenitura della nomina della ‘donna’ rispetto a quella effettuata dal neo arcivescovo di Torino che, perlomeno ha informato i fedeli del curriculum diocesano della nominata) - che certamente si intende di diritto, se nel Codice di Diritto Canonico vi siano ostacoli alla incardinazione di preti.

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     Noi che siamo abbastanza ignoranti di diritto, abbiamo trovato infatti solo un canone (can.269) in cui si afferma espressamente che “il Vescovo diocesano non proceda all’incardinazione di un chierico se non quando: 1° ciò sia richiesto dalla necessità o utilità della sua Chiesa particolare e salve le disposizioni del diritto riguardanti l’onesto sostentamento del clero”…Tutto qua.

     Ora si dice (purtroppo parliamo sempre sui ‘si dice’ in quanto in merito è inutile cercare conferme da comunicati ufficiali) che nella diocesi sia stata rifiutata l’incardinazione a decine di preti che ne avevano fatto richiesta. Erano stati valutati tutti indegni o c’era sempre di mezzo l’ordine dei ‘superiori’? E magari oggi chissà che non si voglia lanciare pure una campagna pastorale sulle vocazioni sacerdotali; il che sarebbe un falso problema se non si ricostruisce una vera comunità in cui tutti i carismi e ministeri abbiano veramente cittadinanza, recuperando il concetto concreto di Popolo di Dio e soprattutto quella ‘pentecoste’ dello Spirito e del Concilio rinnovata nella Evangelii gaudium di papa Francesco e dal suo magistero e ricordando che non c’è più la tridentina distinzione di chiesa docente e chiesa discente.