ROCCA DI PAPA (attualità) - Un racconto particolare
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Nei secoli, le storie di fantasmi e di oscure presenze all’interno dei cimiteri hanno alimentato la fantasia popolare, anche attraverso la narrazione orale di racconti fantastici.
La fiction e soprattutto la letteratura hanno dato ampio spazio a questa tipologia di fenomeno sin dai tempi più remoti. Già nell’antica Grecia, con l’Orfeo ed Euridice e nel Seicento Amleto di William Shakespeare, i fantasmi erano i protagonisti di storie legate all’imponderabile. Se ne Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde – celebre racconto umoristico dello scrittore – lo spettro era burlone e giocoso, in altri tipi di narrazione il fenomeno viene presentato come una manifestazione negativa agghiacciante.
Ne sono un esempio i racconti gotici e dell’orrore, nei quali i fantasmi infestano antichi castelli, cimiteri e vecchie magioni. Un po’ come accadde con Il castello di Otranto di Horace Walpole, precursore del romanzo gotico, in cui parlava già di spettri e apparizioni misteriose.
I cimiteri atterriscono da sempre. Quando il buio si addensa intorno alle tombe, la morte cammina a grandi passi nei solitari viali e, nelle notti di luna velata, nel silenzio spettrale una moltitudine di spiriti si aggira nell’aria, pronta a ghermire gli incauti passanti, come accade nella leggenda narrata nel libro di Maria Pia Santangeli, Streghe, spiriti e folletti - L’immaginario popolare nei Castelli Romani e non solo, ed. Edilazio, 2013, p. 117.
A una ragazzina di Rocca di Papa era morto il padre. Un giorno chiese il permesso alla madre di potersi recare da sola al cimitero: nutriva il desiderio di portare un mazzetto di fiori sulla tomba.
La madre sapeva che avrebbe incontrato molta gente lungo la strada e al camposanto, ragion per cui acconsentì. La ragazzina pulì la tomba e mise i fiori nel vaso, recitò alcune preghiere, salutò la gente che incontrò e infine si avviò verso l’uscita.
Mentre camminava lo sguardo cadde sulla finestrella dell’obitorio, all’interno vi era un giovane uomo, vestito con una cotta bianca sopra una tonaca nera. La sagoma era in piedi sul tavolo dell’obitorio, ma i suoi piedi non toccavano il marmo… la ragazza impallidì dallo spavento!
“Ragazzì che te senti male?”, le domandò un passante. “No, no, sto bene”, ma corse a casa con l’affanno. Appena rientrata, chiamò la madre e le raccontò confusamente quello che aveva visto.
La madre, pur essendo piuttosto dubbiosa, cercò di confortarla, l’abbracciò, la rassicurò, spiegandole che i morti non fanno mai del male, almeno non nei racconti dei Castelli Romani; quelli che possono in qualche modo disturbare i vivi con rumori improvvisi, urla e lamenti, ma senza nuocere veramente, sono gli spiriti dei morti ammazzati o suicidi. A tal proposito, si crede che le loro anime in pena restino lì, nel luogo dove hanno perso la vita, per tutti gli anni che avrebbero dovuto vivere se non fossero morti prematuramente.
Proprio in quel momento, entrò una vicina di casa che raccontò un piccolo avvenimento paesano: quel giorno avevano riportato il corpo di un giovane che voleva farsi prete, ma ebbe la sventura di morire prima.
Non potendolo vestire da sacerdote, gli avevano messo addosso una bella cotta bianca ricamata sopra la tonaca nera. Una cotta bianca… nell’udire quelle parole la madre della ragazzina ebbe subito in mente l’aneddoto di sua figlia, trasalì anche lei e raccontò l’accaduto alla vicina…
Da quel momento in poi la vicenda si diffuse nella piccola comunità dell’epoca, entrando nelle case dei suoi abitanti. Man mano, nel corso del trascorrere degli anni, è diventata una leggenda ancora oggi ricordata.