ACCADDE OGGI – Moriva il 31 Luglio 2004 un’artista senza eredi
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Laura Betti (Casalecchio di Reno, 1º maggio 1927 – Roma, 31 luglio 2004) è stata una donna e un’artista che ha concentrato la sua esistenza nella ricerca della verità. Nell'arte, nella vita, tra la poesia che ha frequentato, nella sua recitazione. Era un'istintiva, un essere di temperamento, piena di fragilità, ma vitale e intensa. Una donna curiosa, che dai circoli della prima avanguardia nei primi anni Cinquanta dello scorso secolo, il tormentato Novecento, arrivò alle stornellate intellettuali, allegoriche e provocatorie, e finì per frequentare Elsa Morante, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, del quale ha portato avanti la memoria per tutta la vita. Laura Betti aveva carisma e fascino, sapeva sperimentare - valore aggiunto che non dovrebbe mai mancare nella carriera di qualsiasi artista - ed aveva uno straordinario dinamismo dell’intelletto. Dipinta talvolta con tratti negativi, ora con simpatia, di sicuro ha saputo lasciare la sua impronta decisa e precisa nella storia della cultura italiana.
La sua filmografia è stata di valore. Nel 1968 vinse la Coppa Volpi per il contestato e denunciato 'Teorema' di Pier Paolo Pasolini. Con Marco Bellocchio fu in 'Nel nome del padre' e 'Sbatti il mostro in prima pagina'. Notevole il ruolo in ‘Novecento’ di Bernardo Bertolucci, dove interpretò la sadica Regina.
Figlia di Ettore Trombetti, esordì come cantante di brani jazz. Negli anni cinquanta fece in coppia con Walter Chiari ne ‘I saltimbanchi’ e si affacciò al teatro, sua passione, ne 'Il crogiuolo' di Arthur Miller per la regia di Luchino Visconti. In quegli anni recitò con Enrico Maria Salerno e ne 'I sette peccati capitali' di Brecht e Weill. Nel 1960 fu la protagonista di un recital di canzoni che calamitò nomi come Mario Soldati, Ennio Flaiano, Giorgio Bassani, Goffredo Parise, Alberto Arbasino, Ercole Patti, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini. Il titolo, ‘Giro a vuoto’, arrivò a Parigi trovando i favori del poeta e fondatore del surrealismo, André Breton: “Se non avete mai visto una tempesta in un bicchiere d’acqua (non nel senso figurato, ma in quello fisico del termine) – scrisse - cosa aspettate? Cosa aspettate per andare ad applaudire Laura Betti?”. Tra il 1960 e il 1961 divenne popolare interpretando con Paolo Poli la coppia di cantastorie che intonavano ‘La ballata del pover'uomo’ e che scandivano gli episodi dello sceneggiato televisivo 'Tutto da rifare pover'uomo', diretto da Eros Macchi.
L'inizio dell'attività di attrice cinematografica coincise per Laura Betti, nel cast de ‘La Dolce vita’ di Federico Fellini, con la conoscenza di Pier Paolo Pasolini, che la diresse, oltre che in 'Teorema' anche ne ‘La ricotta’ e ne 'I racconti di Canterbury'. Negli anni settanta fu poi diretta in 'Allonsanfàn' di Paolo e Vittorio Taviani, 'Vizi privati, pubbliche virtù' di Miklós Jancsó, 'Viaggio con Anita' di Mario Monicelli. Poi, più tardi, in 'Caramelle da uno sconosciuto' di Franco Ferrini e 'Il grande cocomero' per Francesca Archibugi. Nel percorso, la morte violenta di Pier Paolo Pasolini segnò la sua esistenza. Da quel momento in poi non smise mai di cercare la verità e di preservare il valore dell'intellettuale ucciso all'Idroscalo di Ostia. Si immolò alla causa. Se molto di ciò che ha scritto e detto il poeta friulano continua ad esistere in Italia lo dobbiamo alla sua ostinazione. Un esempio: le trasmissioni televisive a cui Pasolini partecipò come ospite o protagonista o la leggendaria intervista con Ezra Pound. Uno fra gli ultimi registi a dirigerla fu Mimmo Calopresti, per il quale interpretò il ruolo di una suora nel film 'La felicità non costa niente': le valse una nomination al Nastro d'argento come Migliore attrice non protagonista.
La popolarità di Laura Betti fu importante, ma mai vasta, consumata dal consenso trasversale. Popolarità che, va detto, non andò mai cercando forzando la mano, ma disegnando una parabola inedita tra esplosività e gioco a celarsi. Seppe intrecciare linguaggi differenti come il cabaret, la canzone, il teatro, il cinema, la rivista. Era profondamente anarchica nello stile, che era solo il suo e tale rimase, nonostante l’incontro con Pier Paolo Pasolini le avesse cambiato l’esistenza. Disse di lui: “Fino ad allora, la mia vita non era stata altro che un’abitudine. Lui è diventato la mia vita”. Ricambiò questa stima e questo affetto diventando custode autentica della sua memoria (guardate, se potete, ‘Una disperata vitalità’, di Mario Mrtone, documentario, per capire l’emotività profonda di questa missione).
Ebbe ruoli fuori dai canoni e per questo è stata difficilmente inquadrabile in un’epoca, la sua, in cui ancora esisteva un certo 'divismo', con il quale seppe anche giocare e si divertirsi grazie ad un piglio ironico e autoironico non indifferente. Una donna che ha vissuto tra provocazione, ma anche bisogno di amore necessario che si palesava nella sue interpretazioni. Caschetto platino, occhi truccati come due virgole verso le tempie, liti violente, passioni. In quel periodo di salotti e Via Veneto era a suo modo una prima donna. Per tutta la vita si è fatta guidare dall’istinto, dall’innocenza. Oscillava tra sensazioni, pulsioni e sentimenti. Ordine e disordine, a suo modo. Non fu mai scontata. Mai.
Dal 1983 è stata ideatrice e direttrice del Fondo Pier Paolo Pasolini, che per più di vent'anni ha avuto sede a Roma. Nel 2003 creò, presso la biblioteca della Cineteca di Bologna, il Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini, nel quale trasferì, non senza polemiche con l'amministrazione capitolina, tramite donazione, tutta la documentazione raccolta: più di mille volumi e altro materiale inerente all'opera di P.P.P.
Oggi Laura Betti riposa al Cimitero della Certosa di Bologna, nella tomba di famiglia. “Sono comunque un’attrice – aveva detto - ed ho una necessità fisica di perdermi nel profondo degli intricati corridoi dove si inciampa tra le bave depositate da alieni, tele di ragno luminose e mani, mani che ti spingono verso i buchi neri screziati da lampi di colore, infiniti, dove sbattono qua e là le mie pulsioni forse dimenticate da sempre oppure taciute... per poi ritrovare l’odore della superficie e rituffarmi nel sole dei proiettori, nuova, altra”. Moravia la definì un’artista che appartiene “alla tradizione dei grandi solitari, dei fantasisti più insoliti”.
La sua intelligenza critica è stata indiscutibile. Fino alla fine. Che poi fine, per personaggi come lei, non è mai.