ACCADDE OGGI - La drammatica maratona olimpionica di Londra e la leggenda di un piccolo grande atleta
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Sir Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, scrisse: ''Nessun romano antico seppe cingere come lui il lauro della vittoria alla sua fronte. La grande razza non è ancora estinta”. Così nacque il mito, in una giornata d'estate, di Dorando Pietri, classe 1885, da Mandrio, una frazione di Correggio, figlio di contadini.
Dopo il trasferimento della famiglia a Carpi, Dorando crebbe nell'interesse per lo sport. Nel tempo libero si dedicava alla bicicletta o alla corsa a piedi. Gracile di fisico, 1.59 di altezza, sembrava non fosse destinato alle attività competitive. Invece, mai giudicare dall'aspetto la forza o la morale di un uomo.
Leggenda narra che nel settembre del 1904 il più famoso podista italiano, Pericle Pagliani, partecipò ad una gara proprio a Carpi. Pietri, attirato dall'evento, gli si mise a correre dietro con gli abiti da lavoro addosso, arrivando con il campione alla fine della gara. Qualche giorno dopo, giunse per lui la prima competizione ufficiale: i 3000 metri a Bologna: secondo posto. L'anno successivo ecco i primi successi, sia in Italia che all'estero, il più importante dei quali è la 30 km di Parigi. Pietri è una locomotiva. Vince con sei minuti di anticipo sul secondo. Poi si impone nella maratona di qualificazione per i Giochi olimpici intermedi, che si sarebbero svolti in estate ad Atene, ove però fu costretto a ritirarsi al 24º chilometro per problemi intestinali, quando era al comando con 5 minuti di vantaggio sugli inseguitori. Nel 1907 riportò numerose vittorie, tra le quali i titoli dei 5000 metri e 20 km ai Campionati italiani.
LA LEGGENDA - Arriva così il 24 luglio 1908. In programma, la maratona alle Olimpiadi di Londra. Dorando parte insieme ad altri 55 atleti. Inizialmente se ne sta nel suo gruppo, vede molti atleti arrancare man mano che la fatica li avvolge, la stanchezza li assale. Qualcuno molla, qualcuno resiste. Così, quando i chilometri all'arrivo iniziano ad essere pochi, Pietri parte all'attacco. Una progressione che lo porta a recuperare e superare tutti gli atleti che lo precedevano prendendo. Solitario, va in testa alla gara. A un chilometro dal traguardo, quando il suo distacco sul secondo appare incolmabile, sopraggiunge improvvisa la crisi.
A quelle Olimpiadi di Londra la gara della maratona si disputa sulla inusuale distanza di 42,195 km anziché i 40 km come ad Atene nel 1896. Se ci fossero state le vecchie regole, Dorando avrebbe già vinto. Ma qui il tempo si è dilatato, ogni metro è diventato pesante. L'atleta italiano inizia a rallentare, il suo passo incerto. Gli ultimi 500 metri li percorre camminando. Sbaglia senso di marcia, viene fatto ritornare sui suoi passi. Barcolla, si inarca all'indietro per cercare un equilibrio. Entra nello stadio in condizioni terribili. A 200 metri dal traguardo cade, i giudici di gara, i cronometristi e i medici lo aiutano a rialzarsi. Cade di nuovo, poi ancora tre volte. Lo stadio è in piedi, assiste al dramma. Lui, ostinato, cocciuto, non demorde, continua ad andare. Bianco, senza energie, arriva a tagliare il nastro sorretto da una piccola folla. Sviene. Si riprenderà dopo circa tre ore. Lo statunitense Johnny Hayes, dietro di lui, si piazza secondo.
La squadra Usa fa reclamo e Pietri venne squalificato. L'emozione a Londra è enorme per quel piccolo italiano che ha appena scritto una delle pagine più epiche nella storia dello sport. La regina Alessandra, colpita dall'accaduto, lo vuole incontrare e gli consegna una coppa d'argento simile a quella destinata al vincitore. Per il ragazzo baffuto è il momento della celebrità, della narrativa mondiale. Viaggia per il mondo, celebrato come una sorta di eroe. Si prende anche la sua rivincita su Hayes a New York. Poi, nel 1911, si ritira dall'attività agonistica. Rileva un albergo a Carpi, ma il talento di atleta non è lo stesso di quello da imprenditore. L’attività fallisce e Pietri si trasferisce a Sanremo, dove apre un'autorimessa. Dopo una esistenza fatta di ricordi e di leggende nate attorno alla sua persona, il 7 febbraio 1942 muore stroncato da un infarto.
Di lui si è scritto che diventò famoso per ''non avere vinto''. In realtà Pietri fu un campione della sua disciplina, entrando nel mito perché quel giorno a Londra egli volle essere più forte di tutto, anche del suo corpo, portando a termine la missione in cui credeva, anche a rischio della propria esistenza.
Nella spiegazione della sua impresa, incarnò quei valori in cui era cresciuto tra i sacrifici e la fatica, in un'epoca in cui nulla era regalato a chi proveniva dagli strati bassi della società, dove non esistevano privilegi o comodità.
Correre tanto e a lungo. Questo sapeva fare Dorando Pietri. Forse è per un simile dono che le gesta di quel 24 luglio di oltre un secolo fa sono ancora tra noi. Quei passi barcollanti, infatti, non hanno smesso di fare ancora da esempio a chi non vuole arrendersi nella vita.