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Grottaferrata, il video integrale per il Museo Archeologico: la collezione di una civiltà millenaria – GUARDA

09-04-2017

GROTTAFERRATA (attualità) – I nove minuti in cui si concentra la straordinaria testimonianza di un luogo unico

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E' tutta qui, in un video di nove minuti ben curato dal Polo Museale del Mibact e dall'Istituto Luce di Cinecittà, la narrazione di un civiltà lunga oltre mille anni. L'accesso alla conoscenza di una storia straordinaria ed inimitabile. Un modo per comprendere, nella sintesi di un'opera visiva, ciò che ha animato la vita dell'Abbazia di San Nilo a Grottaferrata, la sua conservazione a fronte del tempo che passa e cambia i il potere e gli uomini.

La riapertura del Museo Archeologico, ieri mattina, può e deve diventare un punto di ripartenza. Troppi sono stati gli anni di chiusura. Un errore de non ripetere e che oggi sarà possibile scongiurare anche grazie alla preziosa collaborazione del Gruppo Archeologico Latino “Bruno Martellotta”, a cui speriamo ora si accostino altri cittadini ed altri giovani al fine di prolungare e dare continuità alla divulgazione. Le sculture antiche romane ed ellenestiche, la Stele Attica, i frammenti funerari, i sarcofagi -  tutti rinvenuti o recuperati dal territorio dell'Abbazia e dei Castelli romani - sono tornati a disposizione dei visitatori nella cornice panoramica di quella campagna romana ancora possibile e visibile. Così come la ricostruzione dell'Ipogeo delle Ghirlande, la transenna che indica i primi tredici abati - tra cui San Nilo e San Bartolomeo - le tracce dello scisma tra cattolici ed ortodossi, il vaso per l'acqua benedetta nel battesimo del Signore, testimonianza del rito esistente tra il Papa di Roma e la tradizione liturgica bizantina. E ancora il ciborio, gli arredi religiosi del medioevo, le icone.

Entrare nel cuore dell'Abbazia, nel palazzo del Commendatario, vuole dire fare ingresso nell'intimità delle trasformazioni europee, della fede e dello spirito. A darne prova gli affreschi del tredicesimo secolo sulle scene della vita di Mosè o il percorso museale dedicato al “riuso” (per dirla con i nostri tempi in cerca di sostenibilità) dei materiali antichi nel periodo medioevale, come una lastra marmorea adoperata come transenna per chiudere una finestra laterale della chiesa. La sala degli Abati, con le sue opere rinascimentali, fa riemergere i lasciti del Cardinale Bessarione, primo Commendatario, amante della cultura classica e sostenitore del legame tra la Chiesa di Roma e l'Oriente. Basta poi alzare gli occhi per accorgersi della Sala delle Grottesche di Francesco da Siena, ove si narrano le imprese di Fabio Massimo, oppure riscendere nella Chiesa di Santa Maria per amare la cappella voluta da Odoardo Farnese e dipinta dal giovane Domenichino, ove la vite di San Nilo e San Bartolomeo riprendono forma, simbolo e sostanza in quello che viene considerato il capolavoro giovanile del pittore.

Il Museo dell'Abbazia, sorto grazie dello spirito collezionista dei Monaci Basiliani, occasione di arricchimento estetico e culturale, non è dunque una estensione estranea alla città o al luogo sacro, ma il completamento di un valore più grande. Per troppo tempo questo angolo raffinato del Lazio è finito in un oblio che ai più è sembrato come la mutilazione di un corpo dentro al quale è possibile comprendere la nostra civiltà, ciò che siamo stati e da dove proveniamo.

Un patrimonio restituito a tutti noi. Da non cancellare più.  



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