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L'8 settembre 1943, il racconto di un disastro italiano

08-09-2016

ACCADDE OGGI – Una data che ancora divide

Una nazione allo sbando, un piano folle, le istituzioni che si danno alla fuga, un alleato raggirato, una gloriosa resistenza fatta di civili, militari e militanti di partito. L'otto settembre del 1943 è stato tutto questo. Molti storici, negli anni, ne hanno parlato come la ''morte della Patria', considerando cioè questo passaggio la fine del percorso di unità nazionale passata dal Risorgimento e maturato dentro alla trincea della prima guerra mondiale. L'otto settembre del 1943, invece, l'Italia si lacera dentro le famiglie e non tornerà più com'era, in uno strappo ancor peggiore di quello che aveva generato la stessa unificazione territoriale nel 1861 e, con la conquista di Roma, del 1870.

Una data che per la storia è il giorno dell'armistizio, che in verità era stato firmato a Cassibile, segretamente, il 3 settembre del 1943 nella contrada Santa Teresa Longarini di Siracusa. L'atto sancì il provvedimento con il quale il Regno d'Italia cessò le ostilità contro le forze Anglo-Americane Alleate. In realtà fu una vera e propria resa senza condizioni e senza una comunicazione ai vari reparti dell'esercito. Militari e cittadini, sostanzialmente, seppero tutti insieme della storica decisione alle 18:30 dai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight Eisenhower e, poco più di un'ora dopo, alle 19:42, dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell'EIAR.

Già nella prima metà del 1943, l'opinione che la guerra fosse ormai perduta era diffusa. Benito Mussolini, ancora a capo del governo, operò una serie di avvicendamenti che investirono alcuni dei più significative cariche dello Stato. Prende origine da queste mosse una fronda interna che coinvolge anche Vittorio Emanuele. Maria Josè di Savoia, moglie del principe ereditario Umberto, aveva già avviato da un anno, tramite Guido Gonella, alcuni contatti con il Vaticano, auspicando di potersi avvalere della diplomazia papale quale tramite per aprire un canale di comunicazione con gli Alleati al fine di far uscire l'Italia dalla seconda guerra mondiale. E' qui che entra in scena Dino Grandi, uno dei gerarchi storici del regime e da tempo poco incline a seguire la linea ad oltranza del Duce nell'ambito dei rapporti con gli amici tedeschi e il proseguimento della guerra. A Grandi si prospettò l'opportunità di avvicendare il dittatore e si convenne che la stagione del fascismo originale, quello dei fasci di Combattimento, era finita e il regime si era irrimediabilmente appiattito su un sistema di gestione del potere. Un'idea condivisa anche da Giuseppe Bottai, gerarca della cultura e delle arti, e da Galeazzo Ciano, genero del Duce. Il gruppo riuscì a tessere le fila di un Ordine del Giorno che vide luce nel Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943 e che conteneva l'invito rivolto al re a riprendere le redini della situazione politica. L'ordine passò e Mussolini, il giorno dopo, fu arrestato e sostituito da Badoglio. I protagonisti del ''golpe', inghiottiti anche dalla consapevolezza che la trama era riuscita in modo parziale, si diedero alla fuga. La nomina di Badoglio, che aveva aperto la strada a un istintivo entusiasmo popolare, non significò però la fine della guerra, che continuava "a fianco dell'alleato germanico", ma un ambiente di preparazione a quello che sarebbe accaduto qualche settimana dopo.

Per giorni, nei servizi segreti militari e nel vasto fronte di guerra schierato contro Italia e Germania si discusse sulla utilità o meno di convenire ad un armistizio con gli italiani. Emerse così la convinzione che la penisola fosse stata conquistata dagli statunitensi, l'Inghilterra e l'Urss avrebbero distinto le loro posizioni per garantirsi equilibri futuri. In più, in un'eventuale spartizione, era assolutamente da evitare che l'Italia cadesse in mano di altre influenze, giacché Londra, ad esempio, avrebbe potuto monopolizzare il traffico commerciale, coloniale e soprattutto petrolifero del Mediterraneo. Il prologo di Jalta, dell'accordo di spartizione del mondo occidentale, nella sostanza, inizia a prendere forma qui.

La resa di un'intera nazione prende le mosse da questi intrecci e queste manovre che, nel frattempo, non risparmiano altre zone d'Italia da bombardamenti terribili, come a Frascati, a firma già effettuata.

Poi l'annuncio ufficiale, che colse del tutto impreparate e lasciò quasi prive di direttive le forze armate che si trovavano impegnate nei fronti all'estero: nessun ordine, né piani di difesa. Di fronte alle prime notizie di un'avanzata di truppe tedesche, innervosite dal rovesciamento di fronte, il Re, la Regina, Badoglio e alcuni generali dello stato maggiore fuggirono dirigendosi verso il sud Italia per mettersi in salvo dal pericolo di una cattura. In tanti, tra i nostri soldati, presi dal panico, svestirono la divisa e si infilarono in quelli borghesi, dandosi alla macchia per fini privati o, come altri, aderendo ai primi nuclei del movimento partigiano.

Nonostante incredibili episodi di valore, l'occupazione tedesca fu rapida e l'esercito venne disarmato. Non si può, in tale circostanza, non rimembrare la straordinaria lotta che si concluse tra la Basilica di San Paolo, i mercati generali e il ponte della ferrovia Roma-Pisa. Squadre improvvisate di cittadini, dell'esercito, del Partito comunista, di Bandiera Rossa, del Partito Repubblicano, di monarchici, liberali, cattolici, nonostante la schiacciante superiorità numerica e d'armamento delle truppe tedesche, riuscirono ad attestarsi lungo le mura di Porta San Paolo innalzando barricate. Si ritrovano così fianco a fianco, tra gli altri, i ragazzi della divisione Granatieri di Sardegna, al comando del generale Gioacchino Solinas, il gruppo squadroni Carabinieri della legione territoriale di Roma, i Lancieri di Montebello, il Genova Cavalleria, i reparti della divisione Sassari, molti civili armati alla bene e meglio. Maurizio Cecati, romano di Testaccio, fu forse il primo caduto nella lotta di liberazione cui è riconosciuta la qualifica di partigiano. A Trastevere c'è un avvocato, Ugo Baglivo, che con una bandiera tricolore in mano raccoglie altre formazioni volontarie. Sono ore di confusione, morte, atti d'eroismo, tenerezza, amor di patria. Raffaele Persichetti, insegnante, invalido di guerra, ufficiale dei granatieri in congedo, si mette al comando di un drappello rimasto senza una guida. Armato di moschetto, è costretto a indietreggiare all'inizio di viale Giotto, dove viene ucciso.

I tedeschi oltrepasseranno Porta San Paolo il 10 settembre. Da lì una lunga occupazione. Nove mesi di sofferenze, la nascita della Repubblica Sociale Italiana, l'avanzata delle truppe angloamericane. Dentro a questi giorni, la sanguinosa guerra fratricida di un popolo e la guerra di liberazione. Tutte storie che verranno scritte dopo quell'8 settembre del 1943, sintesi di un disastro e di tutti i difetti e i pregi del nostro codice genetico collettivo.



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