Adriano Olivetti, l'imprenditore illuminato e la sua eredità perduta

Pubblicato: Lunedì, 27 Febbraio 2023 - redazione attualità

ACCADDE OGGI – Il 27 febbraio del 1960 si spegneva improvvisamente un uomo che aveva cambiato il modo di vedere il rapporto tra lavoro e operai

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Il 27 febbraio 1960 Adriano Olivetti prese alla stazione di Arona il treno Milano-Losanna. Era alla ricerca di nuovi fondi di prestito presso delle banche svizzere per rilanciare la sua azienda. Durante il viaggio fu colto da un'improvvisa emorragia cerebrale. Inutili furono i soccorsi. Morì così, repentinamente, un uomo che aveva segnato un’epoca con un progetto industriale, intellettuale, sociale, politico e comunitario. Un sogno, che fece di Ivrea – una cittadina di ventimila anime in provincia di Torino - ''l'Atene del dopoguerra italiano''. Un'utopia in parte realizzata, partendo da una fabbrica di prodotti per ufficio. Tutto ciò grazie all'ingegno, all'estro e alla creatività del suo fondatore, imprenditore e uomo che immaginò un mondo nuovo del lavoro attraverso la finalizzazione di contratti innovativi, un rapporto diverso tra proprietario ed operaio e persino tra la fabbrica e la città.

UN'IDEA NUOVA - Una storia, quella di Olivetti (Ivrea, 11 aprile 1901 – Aigle, 27 febbraio 1960), che inizia nel 1945, dopo la fine della guerra, quando torna proprio ad Ivrea pieno di progetti. La sua convinzione è che il fine dell'impresa sia reinvestire il profitto per il bene della comunità. E' un appassionato di arte, è vorace di cultura. La fabbrica diventa così presto il modello di un'organizzazione improntata sullo sganciamento dell'idea dall'uomo disumanizzato della catena di montaggio. E' qui, nelle sue 'isole', create apposta per mettere insieme gruppi di operai specializzati che sono in grado di montare, controllare e riparare un prodotto finito, che fonda la sua società ''del lavoro e nel lavoro'' in un ambiente dotato di molte strutture ricreative e assistenziali: dalle biblioteche alle mense, dagli ambulatori medici agli asili nido.

Olivetti è convinto che la produttività sia legata alla motivazione personale del lavoratore ed alla partecipazione degli operai alla vita dell'azienda. Ha ragione a pensare e ad attualizzare questa sua ricetta: in poco più di un decennio la produttività cresce del 500% e il volume delle vendite del 1300%. La Olivetti raggiunge una fama internazionale notevolissima e la macchina da scrivere 'Lettera 22'', diventata il simbolo di una precisa epoca storica del giornalismo italiano. Disegnata da Marcello Nizzoli nel 1950, viene definita 'il primo dei cento migliori prodotti degli ultimi cento anni''. Il design e l'estetica entrano così come elementi caratterizzanti del prodotto industriale. Non era mai successo prima.

Olivetti è un innovatore che non ferma la sua ''rivoluzione'' nella fabbrica, ma la allarga a ciò che gli sta intorno. Gli stabilimenti di Ivrea costruiscono quartieri per i dipendenti e nuove sedi per i servizi sociali. La fabbrica diventa moderna e spaziosa, i locali di produzione famosi per la grande utilizzazione di vetro, voluto affinché gli operai potessero continuare a sentirsi a contatto con la natura e 'avvolti dalla luce' come quando – ad esempio - erano degli agricoltori. Nasce così un modello di garanzie sociali per i suoi lavoratori, ma non solo. I salari sono superiori del 20% della base contrattuale, le donne hanno diritto a nove mesi di maternità retribuita, il sabato è libero, l'orario di lavoro è di 45 ore settimanali. Il 1968 e lo Statuto dei Lavoratori, per intenderci, sono dietro le porte, ma ad Ivrea ci si fa precursori di conquiste che non saranno raggiunte nemmeno con le rivendicazioni sindacali degli anni successivi.

Sociologi, architetti, scrittori, scienziati, psicologi del lavoro: tutti collaborano alla creazione di un modello. Sulla parete di una delle officine figura un affresco di Renato Guttuso. Si organizzano mostre, concerti, festival cinematografici di spessore. Ai dipendenti vengono permesse delle pause durante l'orario di lavoro con l'obiettivo di accrescere la propria cultura.

Scrive in questi anni: "Tutti i dipendenti hanno diritto di usufruire dei servizi sociali offerti gratuitamente dall'azienda, senza che questo debba essere inteso come una generosa elargizione del datore di lavoro: i servizi sono un dovere che deriva dalla responsabilità sociale dell'azienda. La civiltà di un popolo si riconosce dal numero, dall'importanza, dall'adeguatezza delle strutture sociali, dalla misura in cui è esaltato e protetto tutto ciò che serve alla cultura e in una parola all'elevamento spirituale e materiale dei nostri figli: ma questo apparato sociale è ancora il privilegio di pochi. La marcia inesorabile verso il massimo profitto, salvo poche eccezioni, è ancora la regola più evidente della nostra economia".

Nel 1955 la Olivetti si associa ad un progetto dell'Università di Pisa per la creazione di un elaboratore scientifico. L'iniziativa è affidata a Mario Tchou, figlio di un diplomatico cinese e professore alla Columbia University di New York. Tchou organizza nella città toscana il primo nucleo di ricercatori. In un'intervista afferma: ''Le cose nuove si fanno solo con i giovani. Solo i giovani ci si buttano dentro con entusiasmo, e collaborano in armonia senza personalismi e senza gli ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria''. Il risultato finale è Elea, il primo elaboratore completamente transistorizzato immesso nel mercato mondiale e che consente prestazioni di velocità e affidabilità assai maggiori rispetto ai precedenti sistemi a valvole.

L'improvvisa morte dell'imprenditore interrompe così il cammino informatico dell'azienda. Negli anni successivi tutta la sua impresa entra in una profonda crisi finanziaria. Nel 1964 il controllo viene assunto da Fiat, Pirelli, Centrale e da due banche pubbliche, Mediobanca e Imi. Il settore della Divisione Elettronica viene ceduto alla General Electric, senza che la politica nazionale accenni ad una minima resistenza. Ci si accorgerà solo dopo dell'incredibile occasione perduta in questo campo. La fine del sogno informatico farà perdere all'Italia, infatti, un primato d'eccellenza che avrebbe consentito nel tempo uno sviluppo occupazionale ed economico di portata inimmaginabile. A metà degli anni '60 del ventesimo secolo, nella sostanza, un'azienda italiana aveva concepito una rivoluzione informatica mondiale con almeno un decennio di anticipo rispetto ai 'pionieri' della Silicon Valley. Una rivoluzione che - a differenza dei colleghi americani - aveva messo le sue radici in un modello pensato al di là di socialismo e capitalismo. Qualcosa di puramente inedito e per questo, forse, non compreso.

Adriano Olivetti era un grande visionario, un uomo di qualità che voleva far interagire cultura e lavoro, le garanzie sociali e lo sviluppo intellettuale degli uomini all'interno di un contesto economico in cui ancora l'imprenditoria italiana non riusciva a capire le esigenze dei nuovi lavoratori del dopoguerra e le prospettive di una società che cambiava in modo velocissimo rispetto a quanto accaduto nei secoli precedenti. Aveva talmente un passo avanti rispetto ai suoi colleghi che ancora oggi molte delle sue idee applicate ci appaiono incredibili in un mercato del lavoro che tende sempre di più a sottrarre anziché aggiungere conquiste e tutele. In tutto questo resiste il suo fascino, ma anche la netta percezione di una nostalgia per quello che è stato e non è più, per quello che poteva essere e non è stato.