Giordano Bruno, la laicità e quel rogo del 17 Febbraio 1600 in Campo de' Fiori

Pubblicato: Venerdì, 17 Febbraio 2023 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - La morte del filosofo di Nola. Una questione ancora dibattuta

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Giordano Bruno morì guardando in faccia i suoi inquisitori. Consapevole del destino terribile che lo attendeva, ebbe il suo sussulto di dignità di fronte al pronunciamento fatale ed ultimo: “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam. Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla”.

Il 17 febbraio del 1600 venne bruciato vivo a Roma, in piazza Campo dei Fiori. La sua lingua fu chiusa da una morsa, il corpo denudato, legato.

Era un uomo della ragione e dell'intelletto, Giordano Bruno, e finì al rogo per le sue idee. Il 27 febbraio 1593 viene rinchiuso delle carceri romane per cinque anni. Il 12 gennaio 1599 fu invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si comprendevano la negazione della creazione divina, dell'immortalità dell'anima, dell'infinità dell'universo e del movimento della Terra e di concepire gli astri come angeli. La sua disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni fossero riconosciute eretiche non da sempre, fu respinta dalla Congregazione dei cardinali inquisitori. Dopo che il Tribunale ricevette una denuncia anonima che accusava Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo ‘Spaccio della bestia trionfante’ direttamente contro il Papa, il 21 dicembre lo stesso Bruno rifiutò ogni possibile concessione non avendo nulla di cui pentirsi.

Il pensatore rifiutava la nascita divina del creato, ma sosteneva che l’infinità dell’universo rispecchiava quella di Dio, e che Dio e Natura fossero una realtà unica. Fuori dai dogmi e dalla teologia, abbandonò l’abito domenicano. Ritornò Filippo e lasciò Roma. Viaggiò tra Italia, Europa e Svizzera. Le sue intuizioni erano ormai perseguite dalla Chiesa. Il 23 maggio del 1592 venne arrestato e condotto nelle carceri dell’Inquisizione di Venezia. Da qui la lunga strada verso il patibolo.

MORALE - La sua figura ci insegna il valore della laicità, garanzia di convivenza civile e tutela della dignità di ciascuno. Senza laicità, oggi, sarebbe difficile avere una società compiuta, democratica. Lo aveva compreso Bruno, che elevò la sua mente per proclamare il diritto a liberarsi dai servilismi al potere. Al principio del creazionismo sostituì la natura, la sua autosufficienza, il suo intrinseco valore materno. Alla morale dei libri sacri anticipò un’idea di umanità e di progresso.

La sua società era concentrata nella quiete “de la vita posta in alto”, dove mai essere spogliati della propria dignità. “Non è possibile – spiegava il filosofo di Nola – che tutti abbiano una sorte; ma è possibile ch’a tutti sia ugualmente offerta”.

Il rogo del 17 febbraio 1600 fu dunque il fuoco che bruciava innanzitutto la libertà di opinione. Della sua morte atroce fu spettatore il grande e tormentato pittore Caravaggio, il quale conobbe anche gli interni della prigione dove Bruno trascorse l'ultima settimana, nella zona di Tor di Nona, in una cella costruita intorno a un'antica torre di guardia romana su una riva del Tevere.

Solo a Unità d’Italia conquistata, e in un clima di confronto acuto tra Stato Italiano e Chiesa, il presidente del consiglio Crispi, al fine di "imprimere su Roma il suggello della modernità", approvò il monumento dello scultore Ettore Ferrari nella posa che oggi conosciamo. Papa Leone XIII protestò digiunando e pregando. Si rassegnò alla costruzione dell’omaggio della nuova Italia e della nuova Roma all'esempio delle libertà conquistate sul potere temporale. Sul basamento in granito sono visibili otto medaglioni in bronzo con tre riquadri con gli episodi più importanti della vita del filosofo e la rappresentazione  degli intellettuali che nei secoli hanno sfidato il potere ecclesiastico: Paolo Sarpi e Tommaso Campanella; Pietro Ramo, Giulio Cesare Vanini e Martin Lutero; Aonio Paleario e Michele Serveto; John Wyclif e Jan Hus. Sul medaglione a Vanini è seminascosto anche il ritratto di Martin Lutero. L'aggiunta di questa figura non suscitò alcun tipo di polemica all'epoca in quanto nessuno si accorse della sua esistenza fino al 1991 quando questa venne individuata dalla storico svedese Lars Berggren.

Il 18 febbraio del 2000 Papa Giovanni Paolo II espresse il rammarico per la morte del libero pensatore.