3 febbraio 1998: Cermis, la strage che è rimasta senza giustizia

Pubblicato: Sabato, 03 Febbraio 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Il 3 febbraio 1998 un aereo americano trancia la funivia di Cavalese e uccide venti persone

ilmamilio.it 

Una memoria già sbiadita e senza giustizia. Di quei morti, in certi casi, non esiste neanche una foto. Ma il ricordo è ancora nitido, sul Cermis, montagna delle Alpi alta 2.250 metri nella catena dei Lagorai, comune di Cavalese, in Val di Fiemme, Trentino.

Era il 3 febbraio 1998, una data indelebile per la storia di quelle cime. 

Sull’Europa soffiavano venti di guerra. Quella per il Kosovo e contro la Serbia di Milosevic (1999). Dopo la fine del secondo conflitto, sul vecchio continente batteva di nuovo l’ora delle bombe. C'era stata una circolare dell'Aeronautica Militare, emanata il 21 aprile 1997 e protocollata come Sma/175, in cui l’Italia aveva chiesto di evitare le missioni raso terra. I cieli erano affollati di caccia in partenza da Aviano. Per impedire quei sorvoli era stata persino adottata una legge della Provincia di Trento, voluta dall'assessore al Turismo ed campione del mondo Francesco Moser. 

Dopo le 15.15, il 3 febbraio 1998, le agenzie iniziarono a battere una notizia: “Un aereo della marina militare americana, ufficialmente in volo di esercitazione dalla base di Aviano sopra le Alpi del Trentino, ha tranciato i cavi della funivia del Cermis, in Val di Fiemme. Una delle cabine è caduta nel vuoto”. I morti saranno venti.

L’aereo era guidato dal capitano Richard Ashby, dal navigatore Joseph Schweitzer e altri due militari. Sul velivolo anche una videocamera. Le immagini furono distrutte il giorno stesso dell’incidente che uccise sette tedeschi, cinque belgi, tre italiani, due polacchi, due austriaci e un olandese. Prevalse la tesi della difesa secondo cui la funivia non era sulle mappe, l’altimetro aveva problemi e i piloti non conoscevano le restrizioni alla velocità. Gli imputati furono assolti nel marzo 1999 per i fatti e condannati due mesi dopo per aver distrutto le prove della manovra effettuata.

Giustizia non c’è stata. La magistratura italiana chiese di processare i quattro marines in Italia, ma per la Convenzione di Londra del 1951 il processo penale spettava alla procura militare Usa. In Italia la commissione parlamentare di inchiesta è riuscita ad accertare la dinamica della tragedia, ma è servita per i risarcimenti e niente di più.

Le vittime si chiamavano: Hadewich Antonissen (24 anni, belga; Stefan Bekaert (28, belga); Dieter Frank Blumenfeld (47, tedesco); Rose-Marie Eyskens (24 anni, belga); Danielle Groenleer (20, olandese); Michael Pötschke (28, tedesco); Egon Uwe Renkewitz (47,tedesco); Marina Mandy Renkewitz (24, tedesca); Maria Steiner-Stampfl (61, italiana); Ewa Strzelczyk (37, polacca); Philip Strzelczyk (14, polacco); Annelie (Wessig) Urban (41, tedesca); Harald Urban (41,, tedesco) Sebastian Van den Heede (27, belga); Stefaan Vermander (27, belga); Anton Voglsang (35, austriaco); Sonja Weinhofer (22, austriaca); Jürgen Wunderlich (44, tedesco); Edeltraud Zanon-Werth (56, italiana).

Marcello Vanzo, 56, anni di Cavalese, faceva il manovratore della Cabina in discesa. Alle 15.11 fece salire tutti sul mezzo e chiuse le porte. Aveva sostituito un collega. Non doveva essere lì. Il rombo cupo di un aereo che doveva restare più in alto di trecento metri, a mille chilometri all'ora, spezzò il cavo e la sua vita. Marino Costa lavorava come manovratore sull’altra funivia. Vivrà quarantacinque minuti a testa in giù prima di essere salvato dai Vigili del Fuoco. L’unico sopravvissuto.

I soldi per il risarcimento delle vittime sono arrivati nel 2000. Pagò l'Italia, gli Usa ne rimborseranno solo i tre quarti secondo gli accordi Nato.