Ciro Menotti, il ribelle che sacrificò la sua vita per l'Italia

Pubblicato: Lunedì, 23 Gennaio 2023 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – 23 gennaio 1798: nasce a Migliarina di Carpi una delle figure simbolo dell’impegno per l’unità d’Italia

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Ciro Menotti (Migliarina di Carpi, 23 gennaio 1798 – Modena, 26 maggio 1831) è stato un patriota italiano. Fu un precursore del Risorgimento. Giuseppe Garibaldi usò il suo cognome per dare un nome al figlio primogenito.

 
 
 
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Menotti non era figlio di operai o della classe meno abbiente. Proveniva da una famiglia di imprenditori del truciolo. Sposato, aperto alle innovazioni europee dell’imprenditoria, si affiliò alla Carboneria dal 1817. Tra le sue frequentazioni, anche quelle dei circoli liberali francesi e degli esuli democratici italiani.

Il suo obiettivo, assorbita la consapevolezza del suo spirito rivoluzionario, divenne man mano quello di liberare il Ducato di Modena e Reggio dal governo austriaco.

Modena era guidata da Francesco IV d'Asburgo-Este, arciduca d'Austria, un amministratore che durante il suo mandato palesò un certo interesse per i movimenti che agitavano l'Italia, temendoli e allo stesso tempo constatando la loro esistenza, forse nella speranza di poter sfruttare quella mobilitazione a vantaggio dei propri interessi. In quegli anni – affermano gli storici - egli era interessato alla successione sabauda in quanto sposato a Maria Beatrice di Savoia, figlia primogenita di Vittorio Emanuele I Re di Sardegna. Non riuscì mai nella sua illusoria tentazione.

Menotti avvicinò Francesco IV. Tra i due, probabilmente, esisteva un accordo. Ciro era infatti libero di circolare e non fu mai arrestato. Eppure già nel 1820 quarantasette carbonari furono processati e condannati (alcuni a morte, come il sacerdote Giuseppe Andreoli).

Tutto precipitò nel gennaio del 1831, quando Ciro  organizzò una sollevazione cercando il sostegno popolare e l'approvazione dei neonati circoli liberali. Il 3 febbraio radunò cinquantasette congiurati nella propria abitazione, poco distante dal Palazzo Ducale, per organizzare la rivolta. Il gruppo proveniva da diverse estrazioni della società dell'epoca: nobili, proprietari terrieri, borghesi, studenti, cittadini, medici, fabbri, ex-ufficiali del Regno Italico, artigiani, ingegneri.

Francesco IV decise però di ritirare il suo ipotetico appoggio alla causa. Gli storici si sono sempre divisi sulle reali motivazioni di questa mutazione di parere. Fu perché aveva compreso capito che il progetto di un Regno dell'Italia in quell'area era impossibile? Era geloso del carisma di Menotti? Oppure perché intimorito di perdere molti dei suoi poteri acquisiti? Forse per una sintesi di tutte queste ipotesi, la congiura non andò a termine. Il Duca stesso fece circondare dalle sue guardie la casa degli insorti. Vi furono spari ed inseguimenti. Ciro Menotti, fuggito da una finestra nel giardino retrostante la casa, rimase ferito e fu catturato. Intanto però i disordini erano cominciati e il duca riparò a Mantova, portando però con sé, da prigioniero, lo stesso Menotti.

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Il 6 febbraio molti dei congiurati furono liberati dalle Carceri dov'erano stati rinchiusi. Fallita la rivolta, il duca rientrò a Modena. Due mesi dopo fece celebrare il processo. Alcuni cospiratori furono condannati a morte, pena successivamente commutata in dodici anni di carcere. Il 28 febbraio 1831 un tentativo di far evadere Menotti fallì. La sentenza di morte nei suoi confronti venne eseguita nella Cittadella, assieme a quella del notaio Vincenzo Borelli, accusato di lesa maestà per aver redatto l'atto di decadenza di Francesco IV.

Menotti, la notte prima dell'esecuzione, consegnò al sacerdote che lo stava confortando una lettera per la moglie, che le guardie confiscarono e che fu consegnata alla vedova solo nel 1848. L'atto di morte venne pubblicato dopo l'esecuzione, onde evitare reazioni o disordini. Nella sua ultima lettera alla moglie, aveva scritto: "Pensa ai figli e in essi continua a vedere il loro genitore: e quando saranno adulti da' loro a conoscere quanto io amavo la Patria".  

In quello stesso periodo la contessa Rosa Testi Rangoni venne condannata a tre anni di carcere. L'accusa era di aver cucito una bandiera tricolore. A Marsiglia, sempre nel 1831, Giuseppe Mazzini fondò la "Giovine Italia": la bandiera dell'associazione era colorata di bianco, rosso e verde con le scritte " Libertà, Uguaglianza, Umanità" da un lato e "Unità, Indipendenza" dall'altro. L'inizio di una nuova pagina di storia nazionale, che si concluderà solo nel 1870, con la 'presa di Roma'.