Eugenio Montale e la sua poesia. Quella sensibilità artistica che arrivò al Nobel

Pubblicato: Mercoledì, 12 Ottobre 2022 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 12 Ottobre del 1896 la nascita del poeta Premio Nobel

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“Ascoltami, i poeti laureatisi muovono soltanto fra le piante/ dai nomi poco usati:/ bossi ligustri o acanti/ lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi/ fossi dove in pozzanghere/ mezzo seccate agguantano i ragazzi/ qualche sparuta anguilla...”.

Eugenio Montale era il poeta del 'mal di vivere', così è riconosciuto. Da giovane uomo, a 29 anni, pubblicò un punto fermo per la letteratura italiana: ‘Ossi di Seppia’. Siamo nel 1925, periodo dell’avanzata del fascismo, e lui ha già una coscienza dell’esistenza che oltrepassa il confine e arriva ad un pubblico vasto, perfettamente in collisione con l’entusiastica vitalità propagandata da Mussolini. Lo fa, come nel caso de ‘I limoni’, con dei versi in cui canta povere e semplici cose. Opere che sono rimaste, a differenza degli ideali di chi si affannava nella ricerca dell’italiano ‘nuovo’.

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GENOVA, FIRENZE E MILANO, PASSANDO PER IL NOBEL - Nato a Genova il 12 ottobre 1896, ultimo dei cinque figli di una famiglia della media borghesia genovese, Eugenio si diploma in ragioneria e ha la possibilità di coltivare presto i propri interessi letterari, frequentando le biblioteche o assistendo alle lezioni private di filosofia della sorella Marianna. La sua formazione è dunque di autodidatta. Scopre – anzi attraversa - i classici Dante e Boccaccio e Petrarca, ma anche D'Annunzio. Nelle sue terre, essenziali e brulle, si formano i suoi sentimenti privati, l’osservazione di ciò che lo circonda, la natura, gli esseri umani, il mare. Coltiva la passione per il canto, studiando per sette anni con il baritono Ernesto Sivori. Non si esibirà mai in pubblico, la sua rimarrà una passione privata.

Nel 1917 è arruolato nel 23° fanteria a Novara, ottiene il grado di sottotenente di fanteria e chiede di essere inviato al fronte. Combatte in Vallarsa, il 3 novembre 1918 entra a Rovereto. Viene congedato con il grado di tenente nel 1920. È il momento dell'affermazione del fascismo, dal quale Montale prende subito le distanze firmando (1925) il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. La sua avversione al regime ha una dimensione culturale, esistenziale, aristocratica. Nella provincia ligure prende corpo il suo pessimismo che non è riconducibile alla dittatura. Ne ‘La bufera e altro’, ad esempio, scritto almeno dodici anni dopo la conclusione della dittatura, non si riconosce nei democristiani o nei comunisti, né nella società dei consumi. C’è, in Montale, una riflessione sul vivere che supera i decenni e le trasformazioni.

Ecco poi l'amata Firenze, nel 1927, dove era nata la poesia moderna e dove esisteva un vasto fermento culturale: da La Voce fino ai Canti Orfici di Dino Campana, fino a Solaria, le prime poesie di Ungaretti per Lacerba, il Caffè de ‘Le Giubbe Rosse’, all’interno del quale si incontrano gli intellettuali e si confrontano. Il primo momento della poesia di Montale, Ossi di seppia (1925), edito da Piero Gobetti, morto in conseguenza delle aggressioni dei militanti fascisti, afferma l'impossibilità di dare una risposta all'esistenza. Lo stesso titolo dell'opera spiega una forma logorata dalla natura, ridotta ad un oggetto inanimato, privo di vita. Gli ossi di seppia sono una metafora che serve a raccontare l'uomo, che con l'età adulta viene allontanato dalla felicità giovanile e inaridisce. Montale è un poeta che non cerca risposte e non sa darle. non può trovare e dispensare certezze. Vincono invece, nella sua intimità, la rottura tra individuo e il mondo e la consapevolezza della precarietà della condizione umana.

Si deve pur vivere, comunque. Montale è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario Vieusseux. Ne viene espulso nel 1938 per la mancata iscrizione al partito fascista. Sono gli anni della frequentazione con Gadda e Vittorini, e scrive per quasi tutte le nuove riviste letterarie che nascono, proliferano e decadono e muoiono in quegli anni. La vita a Firenze si trascina per il poeta tra qualche incertezza economica. Sarà così per lungo e tempo e dopo la guerra, quando si trasferisce a Milano. Lì si appassiona momentaneamente per il Partito d’Azione, ma ne uscirà poco dopo. “Quando entrai nel Partito d'Azione – ricordò - scrissi articoli per il "Mondo", poi vidi che Calamandrei si lasciava abbindolare da persone mediocri. Quella del Partito d'Azione fu una vera moda: quando Milano fu liberata ci furono trecentomila domande di tessera, ma gli iscritti effettivi furono soltanto tremila”.

Diventa redattore del Corriere della Sera e critico musicale, scrive di letteratura anglo-americana. Sposa, all’inizio degli anni sessanta, Drusilla Tanzi, di dieci anni più anziana di lui, con la quale conviveva dapprima della guerra. Le ultime raccolte di versi, una è Xenia (1966, dedicata alla moglie, deceduta da poco), testimoniano in modo definitivo il distacco del poeta dalla vita più partecipe, riflettendo nei suoi saggi sulle trasformazioni culturali in corso. Ottiene tre lauree honoris causa, una nomina di senatore a vita sotto la presidenza della Repubblica di Giuseppe Saragat (aderendo al gruppo del PLI, poi del PRI). Nel 1975 riceve il Premio Nobel per la Letteratura «per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni».

Muore a Milano il 12 settembre 1981.

UNA POESIA INTIMA, UMANA E VITALE - Montale, a suo modo, fu una sorta di essere estraneo al fluire delle mode e delle convenzioni politiche e ideologiche. Fu essenziale. Centellinò le sue interviste in quel nuovo mezzo di massa che era la televisione. Attraverso la sua poesia si può guardare la condizione esistenziale dell'uomo moderno, la sua incertezza, la sua ricerca. Tuttavia fu anche uomo aveva alto il senso del dovere in anni difficili. La sua poesia, sempre, trasuda dignità e moralità senza voler impartire lezioni ad alcuno, attraverso l’abbraccio della fragilità, dell’indeterminatezza e della debolezza umana.

I suoi versi, fatti di simboli, di muri che chiudono, di varchi, di maglie rotte nella rete, di donne che salvano, di curiosità che permette di intravedere le vie di fuga, la prospettiva da cui parte un’idea del mondo che svela l'"ultimo segreto" delle cose, "l'orizzonte in fuga”, il miracolo atteso e mai sperato, sono ancora vivi. “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, scriverà per la moglie scomparsa, in un luminoso passaggio. Un'altra donna sarà importante per la sua vita, Irma Brandeis, americana di origine ebraica, il cui legame si spezzò nel 1939, in conseguenza delle promulgazioni delle leggi razziali, in quanto emblema di una salvezza possibile (Le occasioni).

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Di quelle semplici cose, di quella intimità, di quei ragazzi che cercano qualche sparuta anguilla, di quell’Arsenio, suo capolavoro poetico, fatto di vite strozzate, di turbini di vento che sollevano vorticosamente la polvere sui tetti e sugli spiazzi. è rimasto qualcosa. Anzi, molto. Il senso, immortale, di un pensiero che pulsa insistentemente dentro ogni uomo, nonostante il passare di ogni tempo.

 

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