Elezioni Politiche 2022: una riflessione articolata

Pubblicato: Domenica, 11 Settembre 2022 - redazione politica

palazzo chigi ilmamilioFRASCATI (politica) - Nel lungo scritto di Valentino Marcon la fotografia della impantanata situazione attuale con uno sguardo specifico al mondo cattolico

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di Valentino Marcon

In questa tornata di elezioni politiche l’incertezza regna sovrana. L’aver fatto cadere il Governo Draghi è stato un atto di grande irresponsabilità e di miopia politica soprattutto volendo rincorrere sondaggi del tutto improbabili. Ma qual è lo scenario nel quale si apriranno le urne il 25 settembre prossimo?

Anzitutto questa tornata è frutto dell’incoscienza ormai cronica di una classe politica visibilmente incapace di costruire il futuro ma solo permanentemente intenta a trastullarsi con i giochini di posizionamento del tutto individualistici e personalistici, in cui piccoli leaders egocentrici e narcisisti cercano di ricavarsi (o confermare per lo più) il posto a suo tempo ‘conquistato’ in una delle due camere, soprattutto in considerazione che - dopo gli insensati tagli degli scranni parlamentari - la difesa della propria poltrona viene valutata molto di più del servizio al cittadino e della collocazione internazionale, quando tra l’altro, sta ancora infuriando una guerra di aggressione in Ucraina. E da quando è caduto il Governo, l’Italia è tenuta ai margini nella consultazione dei partners europei.

Dal mare magnum delle nostrane figure politiche per lo più di basso profilo, come si è visto in questi ultimi anni, è risultata evidente la impossibilità di far emergere personalità di un certo spessore, capaci non solo di fare vera e autentica Politica e di guardare all’interesse del Paese e al bene comune anche in una visione europea ed internazionale. Non per niente le principali responsabilità apicali sono state delegate a due esponenti di ampio consenso popolare e capacità di mediazione, quali Sergio Mattarella e Mario Draghi: cioè personalità tenute in alta considerazione anche all’Estero e non invischiate in giochetti partitici. Ma questo ha pure dimostrato ancora una volta che tra i politici italiani non emerge uno statista che possa considerarsi tal e vige ancora un orizzonte squallido e fatto di piccole mosse di posizione.

D’altronde, all’interno degli attuali partiti, o comunque li si voglia definire, chi si gioca gli scranni parlamentari per lo più non esce fuori dell’ambito dei fedeli e fedelissimi.

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I candidati principali sono sempre quelli da anni (e anche decenni), mentre figure ‘esterne’ e professionalmente competenti inserite nelle liste elettorali dei partiti si contano col contagocce (e spesso in ‘seconda fila’), senza considerare la permanenza di personaggi che sono ormai ammuffiti nel loro ruolo; si pensi ai soliti Casini, e, altri, come in casa ‘nostra’, e via dicendo. Ovviamente su queste figure non si dà un giudizio di merito (il che si potrebbe anche fare) ma quello dell’opportunità di confermare sempre gli stessi volti e non avere il coraggio di presentare alternative.

La risposta banale è che costoro ‘portano voti’, comunque essi li acquisiscano! Il che è tutto da dimostrare. Il rinnovamento del PD di Letta si è arenato sui soliti personaggi che sono quelli che detengono il potere bloccando anche un sia pur illusorio rinnovamento alla base (si pensi all’inutile e ripetuto refrain di ‘ripartire dai territori’: ma sui territori i maneggioni sono sempre gli stessi). Insomma il cosiddetto rinnovamento ha solo assegnato una falsa unanimità al segretario nazionale (non per niente in questa fase di campagna elettorale sono riemerse correnti e capi bastone) mentre la base è alquanto sclerotica. Insomma va portato avanti un vero rinnovamento anche limitando il troppo ascolto concesso alle frange più estreme. E’ quindi scontato il risultato: mancato ricambio della classe politica, carenza di prospettive di ampio respiro e ovviamente un astensionismo di rifiuto.

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Più in dettaglio si possono prendere in considerazione le altre realtà che oggi si contendono il posto ‘in paradiso’. Le componenti di destra si mostrano con una unanimità di facciata, perché in realtà sono divise da alcune grosse differenze sia di contenuti che di strategie, che però strumentalmente vengono nascoste all’elettorato pur di ottenere un risultato. Se infatti la Meloni fa sfoggio (adesso) di un antifascismo opportunista (ma restando con la ‘fiamma’ delle origini, diversamente dal PCI che man mano che si evolveva, fece sparire dal simbolo la falce e martello!), e di un atlantismo trumpiano; Salvini, affezionato ammiratore di Putin (del resto come il magnate Berlusconi) si accontenterebbe del ministero dell’interno, sempre che raggiunga un quorum non molto distante da FdL, mentre ha rispolverato il solito ritornello sull’’invasione’ dei migranti, e non ha mai risposto sulla fine dei 49 milioni scomparsi durante la gestione bossiana della Lega; in più, cerca di far dimenticare il razzismo nei confronti di Roma (ricordate ‘Roma ladrona’?) e dei meridionali, i quali adesso sembra che siano loro ad aver dimenticato gli insulti del balneare personaggio!

Ai due principali aspiranti premier si è affiancato, pur di rimanere a galla, il vecchio e decrepito ex cavaliere che, avendo mancato il bersaglio di insediarsi alla presidenza della Repubblica, è ora rimasto con pochi reduci, tra Tajani e Casellati, e si accontenterebbe pure di un misero seggio senatoriale. Nel frattempo, dopo aver promesso negli anni ’90 un milione di posti di lavoro, poi ‘dentiere per tutti’, ora promette un milione di alberi. Dove li prenderà poi; forse dalle foreste - che intanto bruciano - o dalle rapine di tanto territorio e suolo cementato e asfaltato da molti suoi simili?

Una terza area che vorrebbe emergere (e qualche votarello lo prenderà comunque, ma sottraendolo solo ai delusi di altri partiti, perché difficilmente lo pescherà tra gli astensionisti) è quella che mette insieme Renzi e Calenda, provvisoriamente concordi, e col contorno di personaggi che non hanno trovato una collocazione in altri siti, agognando un posto al sole o, meglio, all’ombra parlamentare, nella speranza di formare un terzo polo. Una sorta di limbo di dubbia collocazione, dal momento che da che mondo è mondo anche geograficamente i Poli sono stati sempre due! Tutt’al più si può giocare ai…quattro cantoni!

Infatti al traguardo di terzo polo (ma qualcuno lo chiama anche ‘quarto’) aspira pure il resto della caporetto cinquestellata raccoltosi intorno all’ex ‘avvocato del popolo’ che, come si è già visto, come presidente del consiglio ha fatto ben poco, ed è stato, insieme con i suoi alleati, il principale artefice della caduta del governo Draghi. Vi è poi una miriade di piccole ‘forze’ (ma sarebbe meglio chiamarle ‘debolezze’) politiche, con figure da avanspettacolo e personaggi che in certi casi non otterranno nemmeno i voti dei loro parenti come di solito avviene nelle tornale amministrative locali!

Tutti però sono accumunati da alcuni tratti: la promessa del taglio delle tasse, l’aumento dei salari, il reddito da consolidare, l’aumento delle pensioni, le grandi opere (è riapparso il ponte sullo Stretto!), ecc.: promesse che per lo più non vengono (per la verità, non possono) essere mantenute anche perché mai accompagnate da una precisa indicazione delle fonti da cui si debbano attingere le risorse per finanziarle. Mentre sono rimaste ai margini le urgenze come la Sanità, la Scuola, la famiglia, le sacche di povertà e periferie, oltre alla necessità di un cambiamento dell’attuale stile di vita.

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Infine c’è una domanda che sottende questa tornata elettorale. La Russia putinesca si servirà del ricatto del gas e del ‘lavoro’ del KGB per indirizzare il voto italiano? Non ce ne sarebbe nemmeno bisogno, ci sono già gli intimi ‘amici’ del despota: i Salvini, le Meloni e lo stesso Berlusconi, i quali non per niente sono in stretto contatto anche con l’ungherese sovranista Orban, che, già poco prima dell’attacco della Russia all’Ucraina, aveva trattato con l’Orso ‘ex sovietico’ ma con la stessa pelle, l’annessione di una parte di territorio ucraino in caso di smembramento di questa nazione. Dimenticando la sanguinosa repressione che nel 1956 l’Ungheria subì proprio ad opera del ‘fratello’ sovietico!

Concludendo: i sondaggisti si arrovellano a cercare di azzeccare previsioni che negli ultimi anni appaiono sempre più incerte e fuorvianti. Si pensi alle recenti Amministrative per le quali si prevedeva una vittoria delle destre, smentita poi dai risultati (basterà citare Roma, Bologna, ecc…). Ed anche se oggi la maggior parte dei sondaggi danno per scontata una destra al governo, questa sicumera non è poi tanto certa in quanto si dovranno tenere presenti alcuni fattori importanti: potrebbero esserci infatti, da un lato un calo dell’astensionismo, in secondo luogo l’incerta collocazione dei pochi voti di Forza Italia perché, scomparendo il berlusconismo con la diaspora dei suoi più affezionati compagni di strada, questi si sono già collocati dove gli sono state offerte assicurazioni per essere eletti (in particolare con Calenda); ed ancora con il calo dei consensi su Salvini, ondivago nocchiero di un partito non più padano, i voti sulla destra potrebbero non bastare, considerando che il ‘’melonismo’ non gode poi di tutta quella fiducia come apparentemente può sembrare. Ci sarebbe da considerare anche una certa ‘boutade’ di alcuni giornali della catena berlusconiana i quali da tempo vanno diffondendo la notizia di un forte boom di Forza Italia! Se non alludono all’implosione che c’è stata, certamente non può che essere una barzelletta.

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Infine, non è male ricordare che gli elettori - già dai tempi democristiani e non fidandosi del Partito comunista - continuavano a votare DC, magari, come affermava Montanelli, ‘turandosi il naso’. E’ molto probabile che anche oggi gli italiani continueranno a turarsi il naso votando per il PD e la sua coalizione, nella non segreta speranza che venga richiamato Draghi a guidare il nuovo governo, altrimenti…

Dietro lo scenario, nel grande gioco delle alleanze, dei divorzi politici, delle presunte riconciliazioni e via discorrendo, apparentemente (oltre gli slogans), non sembra ci siano sottese idee di un certo spessore a sostegno delle aree politico-partitiche, per cui per approfondire più ‘culturalmente’ i substrati dei contendenti bisogna ripercorrere - seppur schematicamente - un cammino che parte da lontano. Se guardiamo all’area di ‘sinistra’ (già ‘centro-sinistra’) il PD, reduce da passati e recenti contorcimenti zingarettiani, non è riuscito (per quanto abbia fatto tentativi più o meno palesi) di recuperare quel parterre politico-culturale che era sotteso all’Ulivo di Prodi (e Parisi) e che aveva raccolto un ampio consenso convergente delle culture cattolico-domocratica, liberale e socialista. Se poi ci spostiamo al ‘centro’, su questa definizione occorrerebbe fare più di qualche distinzione, perché tanti sono coloro che lo affollano, in una sorta di stagno paludoso ripieno di piccole sigle velleitarie, accompagnate da simboli, molti dei quali richiamantisi alla ormai defunta Democrazia Cristiana; ma il richiamo è puramente ‘simbolico’, cioè fatto di stemmi e patacche di ‘scudi crociati’, allusioni al popolarismo, o addirittura a espliciti ‘confessionalismi’, che nulla hanno a che vedere con la cultura sturziana e degasperiana, e per lo più sono sigle riesumate da anziani nostalgici e malinconici che fanno tenerezza come nei raduni dei reduci o ex-allievi. In quest’area ‘centrista’, ma, come ribadito, alquanto indefinibile, si raccolgono, con maggior visibilità, da una parte renziani e ‘calendiani’ e, dall’altra, i Cinquestelle, addirittura definendosi entrambi ‘progressisti’!

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Una considerazione più articolata va invece fatta sull’area della destra che raccoglie Salvini, Meloni, Berlusconi.

Nonostante le loro diverse strade e provenienze, li unisce una ‘ideologia’ di fondo che va esaminata con molta attenzione. Occorre partire dagli anni ’80 del Novecento, quando alcuni ‘socio-filosofi’ negli Stati Uniti elaborarono una dottrina che, anche a partire da una interpretazione molto soggettiva della dottrina sociale cristiana, sposarono le idee calviniste (già di Max Weber) di esaltazione del capitalismo occidentale. Questi personaggi rispondono ai nomi di Novak, Weigel, il prete-teologo Neuhaus, ed altri, la cui collocazione religioso-politica verrà definita neoconservatrice (neocon), non solo in quanto politicamente è stata fatta propria dai conservatori radicali liberali (soprattutto repubblicani, ma anche di parte dei democratici), e godeva (e in parte ancora gode) i favori di una chiesa (statunitense), statica, dogmatica e identitaria. Novak in particolare arriverà a dare una interpretazione del tutto fuorviante della stessa enciclica di Giovanni Paolo II, (la Centesimus annus, del 1981) che, a suo giudizio, avrebbe sostenuto il capitalismo e il libero mercato senza alcun paletto, quando invece il vero pensiero del papa nell’enciclica è molto chiaro e tranchant. Il filosofo (Novak) nel 1982 pubblicherà un libro che avrà un’ampia diffusione a sostegno delle proprie tesi (L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo). Ovviamente Novak e company sono assolutamente contrari alle precedenti encicliche sociali di Paolo VI (in particolare della Populorum progressio del 1967) e soprattutto riguardo le riforme del Concilio.

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Questa scuola di pensiero detta anche neoliberal, si affermerà particolarmente durante i mandati presidenziali di Ronald Reagan (dal 1981 al 1989) e comincerà a calare con gli anni ’90, anche se Novak e gli altri continueranno a propagandare le loro posizioni che, con la caduta delle ideologie (il Muro di Berlino, 1989) e del ‘socialismo reale’ nell’Est europeo, porteranno molti ad esaltare la vittoria del capitalismo che restava il solo (per essi ‘positivo’) riferimento in un mondo globalizzato in cui soprattutto la finanza poteva crescere a dismisura ma nel completo disinteresse riguardo i danni collaterali: l’aumento dei poveri, lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, l’accantonamento del problema ecologico e del riscaldamento globale, ecc., finché non scoppiò la crisi finanziaria del 2007-2008 (la ‘bolla’) con la bancarotta della Lehman Brothers che trascinò nel baratro tutta la filiera occidentale. Intanto nel 2001 con l’assalto terroristico alle Torri gemelle, l’America e il mondo occidentale avevano spostato la lotta contro il ‘nemico’ - il ‘male’, non più identificato nel comunismo - sul fondamentalismo islamico, suscitando peraltro un altro fondamentalismo: quello delle religioni che si sarebbe posto come aspetto identitario motivato anche con la lotta al cosiddetto ‘relativismo etico’, e, nell’orizzonte di una teologia preconciliare, sostenendo non solo l’idea della ‘guerra giusta’, ma anche di quella ‘preventiva’ magari nella visuale della ‘esportazione della democrazia’! E questo avvenne (2003) con la guerra contro l’Irak, legittimata per impedire a Saddam Hussein di utilizzare le cosiddette armi di distruzione di massa, che, come è noto, dopo immense macerie e migliaia di vittime civili, non furono mai trovate, perché inesistenti.

Papa Giovanni Paolo II aveva decisamente, ma inutilmente, contestato l’allora Presidente Bush perché non scatenasse quella guerra da cui derivarono conseguenze ancora attualmente evidenti, tanto che da qualche anno papa Francesco sta condannando tutti gli attuali conflitti, definendoli come la ‘terza guerra mondiale a pezzi’. Intanto mentre la filosofia-teologia di Novak e seguaci negli Stati Uniti era in calo, in Italia nei primi anni Duemila questa ‘ideologia’, veniva fatta propria dai teocon (i conservatori cattolici) in connubio coi cosiddetti ‘atei devoti’ che sposavano in pieno i parametri principali della destra, anche quella ‘clericale’, che riduceva la religione a ‘religione civile’ sostenendone una definizione identitaria, dogmatica e anticonciliare, supportata soprattutto dalla destra berlusconiana.

Ne erano principali sostenitori e diffusori i vari Giuliano Ferrara (già direttore de ‘Il foglio’), Gaetano Quagliarello (che dal partito radicale era passato a Forza Italia), e soprattutto il filosofo laico e senatore forzitalico Marcello Pera (proveniente a suo tempo dal PSI di Craxi), che assurgerà a interlocutore privilegiato di papa Benedetto XVI con cui pubblicherà alcuni libri, avendo simpatie e contatti con Novak, il quale ultimo venne anche a Frascati per un incontro della Fondazione Magna Carta (2006) che Quagliarello aveva costituito nel 2004. Ai ‘filosofi’ si accodavano come imbonitori i vari Galli Della Loggia, e, finché è rimasto sulla breccia, Ferdinando Adornato che, con il suo giornale ‘Liberal’, intendeva far convergere cattolici(liberali)e laici; In questa area culturalpolitica si inserivano per certi aspetti anche il rettore dell’Università Cattolica, Ornaghi (2002-2012) ed altri. E il tutto si riparava sotto il grande ombrello del ‘progetto culturale’ della chiesa italiana del cardinal Ruini (1994-2007).

Ora, praticamente quasi tutta questa area, Pera, Tremonti (già PSI, poi in Forza Italia quindi in Lega), ecc. si è aggregata nella destra sovranista meloniana che si pone nella scia dell’ungherese Orban sia nella prospettiva liberal-capitalista che in quella teologico- tradizionalista (riguardo a famiglia, diritti civili, ecc.) cui si aggiunge la novella liturgia teatral-devozionista del leghista Salvini. Mentre non si fa mistero del sostegno a tutta la destra europea sovranista e populista, di quel Bannon (già consigliere di Trump) e di monsignor Viganò (Carlo Maria, già nunzio negli Stati uniti) le cui invettive e i dissensi col Vaticano e contro il Concilio vengono spesso rilanciate sui blog e siti di ex-vaticanisti di puro tessuto tradizionalista.

E’ ovvio allora come le aperture di Francesco, sia riguardo alle periferie del mondo, sia per una chiesa sinodale ed evangelica (e non arroccata su certezze e dogmi e su dottrine ‘standard’), sia per una politica ‘con la P maiuscola’, sia per i rapporti supportati da quel fine diplomatico che è il cardinal Parolin, con le nazioni più ‘difficili’ (come Cina, ma anche Federazione Russa, ecc., suscitino la decisa opposizione dell’area dell’attuale destra (sia politica che confessionale), che propaganda un europeismo che non è certamente quello dei fondatori (Schuman, De Gasperi, Adenauer, Monnet), ma quello propugnato dal tardo sovietico Orban e dai loro amici nazionalisti come Le Pen.

Per questo voler combattere oggi la destra con la preoccupazione di un ‘ritorno del fascismo’, è un falso obiettivo, in quanto il contrasto non va indirizzato su una ipotetica riesumazione del mussolinismo, ma va portato contro una destra sovranista che, nei suoi disegni, diffonde un concetto sviato della democrazia (come è evidente con l’insistenza sul presidenzialismo, già a suo tempo auspicato dai governi Berlusconi) e non per niente anche i vari esponenti dell’area - una volta (o ancora) teocon - sono passati praticamente tutti a supportare la Meloni.

Senza contare che una eventuale vittoria della destra porterebbe con sé l’obiettivo (per ora non dichiarato palesemente) di cambiare (in peggio) la nostra Costituzione.