28 Marzo 1967 - L'Enciclica “Popolorum Progressio”: la visione di un altro modo di vivere il mondo

Pubblicato: Lunedì, 28 Marzo 2022 - Fabrizio Giusti

 

 

ROMA (accadde oggi) – L'Enciclica resa pubblica il 28 marzo del 1967. Ancora attualissima

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Udienza Generale del 27 settembre 1978: il Pontificato di Papa Luciani è quasi giunto alla fine, ma nessuno se lo immagina. Poche ore dopo, infatti, tra lo sgomento dei fedeli, Giovanni Paolo I morirà improvvisamente nel suo letto. Quando ancora tutto deve accedere, e il tragico destino non ha compiuto il suo percorso, il Vicario di Cristo ripropone un concetto espresso dal suo predecessore, Papa Montini, Paolo VI, nella “Populorum Progressio”, una Enciclica visionaria e quanto mai attuale: “La proprietà privata per nessuno è un diritto inalienabile ed assoluto: nessuno ha la prerogativa di poter usare esclusivamente dei beni in suo vantaggio, oltre il bisogno, quando ci sono quelli che muoiono per non avere niente”.

Anche i più distratti quel giorno si accorgono, nella sintesi del Papa dei “33 giorni”, della forza dirompente di un messaggio che avrebbe attraversato il tempo, quasi come una profezia inascoltata, nel corso della trasformazione della umanità.

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La “Populorum progressio”, pubblicata il 28 marzo 1967 da Paolo VI (morto il 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo), nel cuore di un decennio in cui il mito della crescita illimitata e dalla conquista dello spazio sta trasformando il corso dell'umanità, è una delle più grandi intuizioni della storia del Novecento. Cade come un elemento di riflessione alto e simbolico, controcorrente. Nel documento si afferma che “la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale” e che è diventata urgente una risposta perché ormai “i popoli della fame interpellano in maniera drammatica i popoli dell’opulenza”. “Essere affrancati dalla miseria – prosegue - garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un’occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l’aspirazione”.

Parole che cadono pesanti, che indagano lo sviluppo morale, il potere, l'iniquità. Nell’Enciclica è criticato il sistema che vuole il profitto come “motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia”. Una riflessione che palesa il pericolo d’una collettivizzazione integrale, di una tecnocrazia che può essere fonte di mali temibili. Il documento rilancia il suo umanesimo planetario affinché proponga uno sviluppo solidale, un mondo in cui si possa vivere una vita affrancata dalle servitù, dagli sperperi e dall'avarizia. “Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell'ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio – scrive Montini - è oggetto di attenta osservazione da parte della Chiesa”.

 

Idee e conclusioni figlie del tempo in cui vive Paolo VI, non a caso il primo Pontefice dell'epoca contemporanea a viaggiare oltre i confini dell'Italia e nel terzo mondo. Da qui la diretta conclusione di una questione sociale che, così come insegnato già da Giovanni XXIII, è ormai una discussione non più rinviabile per salvare l'uomo e la sua dignità. L'impegno di Paolo VI è così dedicato alla cooperazione tra i popoli e al problema dei paesi in via di sviluppo, alla denuncia dell'aggravarsi dello squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri, alla critica al neocolonialismo, alla critica al capitalismo e al marxismo così come al liberismo, fino alla proposta di un fondo mondiale per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo.

“Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico – scrive - dev'essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo. Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione”. L'enciclica contiene persino il diritto dei popoli a ribellarsi - anche con la forza - contro un regime oppressore, e una critica agli ambienti più conservatori. Una sorta di sfida ai tradizionalisti, i quali percepiscono l'opera come troppo vicino ad una dottrina pericolosamente incline o benevolente verso la sinistra. Nulla di vero, ma la realtà della divisione mondiale tra Est e Ovest induce anche a questa conseguenza.

 Oltre mezzo secolo dopo, quella grave interpretazione delle disuguaglianze che si affacciavano con sempre più violenza nell'umanità contemporanea è purtroppo attualissima. E' per questi motivi che la modernità della visione di Papa Montini è ancora un monito, una presenza, una chiamata alla responsabilità per i cittadini della Terra e per chi li governa.