Paolo Poli, il suo teatro e altre bellezze simili

Pubblicato: Venerdì, 25 Marzo 2022 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 25 marzo del 2016 la scomparsa del grande attore

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Non si è mai omologato, Paolo Poli (Firenze, 23 maggio 1929 – Roma, 25 marzo 2016).

Stravagante, colto, poetico, sensibile, uomo del suo tempo. Un'infanzia passata nell'amore della sua famiglia, che non lo giudicava.

Padre carabiniere, madre maestra, figli dell'ottocento, di cultura laica. L'esempio di come si possa crescere attraverso la scoperta dei libri, da autodidatta.

La zia che lo portava al cinema e al teatro, la lettura dei grandi romanzi e quella degli ''allegri costumi romani'', ma anche gli autori francesi. Perché la letteratura, come diceva, aiutava la profondità delle cose.

La realtà non bastava mai e non basta. Da certi testi "porcelloni" (come li definiva, divertito) che lo incuriosivano durante l'infanzia trasse la lezione che dal male può nascere anche un bene, mentre i difetti possono diventare delle virtù. Se lo chiamavano "maestro" si scherniva. ''Io sono dottore'', diceva, rivendicando la sua laurea in letteratura francese.

Ariosto, Tasso, Leopardi. Ma anche Palazzeschi, l'amato 'Pinocchio' di Collodi che considerava superiore, e a ragione, ai 'I Promessi sposi'' di Manzoni. Poi le fiabe. Si era formato qui, Paolo Poli, dentro questo humus prolifico di un'Italia oggi sempre meno studiata e conosciuta.

Nel 1967 lo spettacolo ‘Rita da Cascia’ e i problemi con la censura; l’amicizia con Moravia, gli incontri con le ‘sue’ dive, Franca Valeri, Alida Valli, e ancora Paola Borboni, Anna Magnani, Laura Betti, e poeti e letterati, cineasti, attori.

Dopo un periodo di apparizione televisive, nel 1970 un suo programma 'Babau' viene rinviato nella visione ai telespettaori in quanto ritenuto inopportuno. La Rai attenderà ben sei anni prima di mandarlo in onda, d'estate, ad agosto.

Paolo Poli è stato un grande talento nascosto, spesso, alla visibilità del pubblico di massa. Ma lui, che di massa non era (per fortuna), non se ne curava. Il Teatro e i suoi interessi lo riempivano e lo completavano. Raccontava la sua omosessualità e la rendeva un fattore della vita, semplice, senza condizionamenti interiori, un orientamento - come di direbbe oggi - vissuto con serenità e condita da aneddoti sempre divertenti. Sapeva stare al mondo sui suoi piedi, Poli, e libero di ogni sovrastruttura imposta o stereotipata.

Le luci della 'scatoletta' (la Tv), come la chiamava, non erano fondamentali. Altro mondo, lezioni di vita. Gli piaceva la provincia, dove trovava ancora la meraviglia. Dopo decenni di teatro si divertiva a convertire le sensazioni di chi, diffidente, pensava di trovare un attore travestito da donna e non un genio, un uomo di cultura, spessore, sensibilità. Credeva nell'uomo e il sacro era cosa che gli interessava sul piano culturale, negli aspetti più nascosti, nelle sue personalità ed anche nelle sue leggende a cui si credeva e che influenzavano la società.

Era il suo modo di affondare, anche un po' compiaciuto, sulla sorpresa di non aver un argomento da non celebrare, da non approfondire, parlando di sesso e di esperienze con un'ironia inarrivabile che veniva ritmata dal suo accento e dal suo saper impostare la battuta giusta, anche utilizzando un parola politicamente scorretta (come definirsi ''finocchio'' davanti all'interlocutore). Era un essere dotato di leggerezza, imprevedibilità. Era intellettuale senza aver messo le radici nel nozionismo scolastico e senza mai fartelo pesare. Lo esaltava una capacità mnemonica straordinaria. Si ricordava e recitava di getto, preciso, intuitivo, con una elasticità vocale capace di fare due personaggi diversi e perfettamente distinti nella individualità e compatibili nel dialogo.

I santi lo incuriosivano. Anche l'inferno, caso mai ci fosse. ''Tutti nudi... Chiedi un fiammifero – disse in una bella giornata al teatro di Tor Bella Monaca - e con tutte le fiamme che ci sono si capisce subito che è un rimorchio''.

Paolo Poli manca. Forse perché abbiamo sempre più l'impressione che non sia più il tempo in cui è bello essere qualcuno in una collettività che si uniforma in una noiosa ripetitività di comportamenti compiaciuti. Egli svicolava dalla sua identità borghese. L'arte era il suo ''nascondiglio fuori della natura'' – parafrasando la splendida ''I fiori'' di Palazzeschi – e non solo.

Guardandolo ed ascoltandolo ci ha sempre insegnato ad essere persone senza somigliare a nulla. L'essere umano deve essere così, per essere libero.