"Si rischia un sinodo inutile se non si riparte veramente dal basso"

Pubblicato: Lunedì, 18 Ottobre 2021 - redazione attualità

sanPietro frascati interno ilmamilioFRASCATI (attualità) - La lunga riflessione dello studioso cattolico Valentino Marcon

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di Valentino Marcon

Alla fine il Papa ha preso decisamente in mano la situazione ecclesiale mondiale (e nazionale: è Primate d’Italia, e diocesana: è Vescovo di Roma) indicendo un Sinodo per la Chiesa di oggi e revisionandone anche le modalità di svolgimento che da 50 anni a questa parte erano in vigore. Vincendo tutte le riluttanze che ci sono state in questi anni e in particolare in Italia, se si pensa che fin dal Convegno ecclesiale di Firenze del 2015 aveva sollecitato a che la chiesa italiana si mettesse decisamente in atteggiamento sinodale.

Ma i vescovi, ancora eredi della stagione ruiniana quando bastava organizzare grandi (e infruttuosi) raduni per dimostrare la illusoria ‘forza’ dei cattolici, non intesero l’esortazione di Francesco e così è stato lui stesso a ‘rilanciare la palla’. Del resto occorreva anche uscire un po' fuori dalla routine dei periodici sinodi episcopali mondiali, in cui si metteva a tema un argomento, più o meno attuale, le cui conclusioni venivano assunte, selezionate e quindi divulgate dal pontefice pro-tempore con una propria esortazione apostolica. Il cambio di passo era già avvenuto con la prima autentica pubblicazione del pontefice, la Evangelii gaudium, in cui il papa, pur facendo proprie le indicazioni di quel sinodo (sulla evangelizzazione) aveva proposto linee decisamente nuove anche mediante citazioni e tematiche che il sinodo non aveva toccato.

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La EG indicava pertanto con molta chiarezza quello che doveva essere il ‘nuovo’ itinerario della Chiesa di oggi, riprendendo le linee del Concilio e di Paolo VI, per “una nuova tappa evangelizzatrice marcata dalla gioia e [per]indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”(EG.1).

E’ noto come su questa strada siano stati posti diversi ostacoli ed ancora se ne porranno, perché la Chiesa – soprattutto in Italia almeno dal 1978 – ha preferito ignorare la dinamica innestata dal Concilio (di cui il prossimo anno ricorreranno i sessanta anni dalla sua indizione), preferendo richiudersi nella routine della prassi sacramentale, dei tradizionalismi - anche tridentini - e nel plauso a Movimenti per lo più autogratificanti ma sempre sullo scenario del presenzialismo; così come l’ordinazione di tanti ministri dell’Eucarestia e anche di qualche diacono non è stata sempre una valutazione di carismi (anche laicali veri) trasformati poi in ‘ministeri’, ma spesso una clericalizzazione delle comunità cristiane, mentre non ha ancora avuto il ‘via libera’ quello delle donne. I laici, sempre più emarginati ed in funzione prettamente esecutiva e strumentale non sono stati aiutati a diventare cristiani ‘adulti’, perché relegati il più delle volte ad esercitare funzioni ‘ab intra’ nella parrocchia piuttosto che ad essere testimoni nel mondo.

Lo stesso Papa Francesco, più volte si è scagliato contro il clericalismo mentre non ha tralasciato di rilevare il problema di fondo delle nostre chiese.

Se le chiese (e le attività parrocchiali) sono sempre più vuote, la causa non è imputabile solo alla secolarizzazione, ma probabilmente anche alla scarsa sensibilità di clero, vescovi e ovviamente anche ‘laici’ cristiani, che ritengono di potersi chiudere nei loro gruppetti, nel loro individualismo e nelle loro preghiere intese come gratifica personale, ignorando che già dall’Antico Testamento, Dio ha voluto ‘scegliersi’ - per ‘salvarlo’ - un popolo e non qualche individuo isolato. E la sottolineatura della Chiesa come ‘Popolo di Dio’ è ritornata con forza nel Concilio ecumenico vaticano secondo. Non per niente l’immagine che spesso è stata esemplata negli anni successivi all’assise conciliare è stata quella del ‘ribaltamento’ di una chiesa piramidale e verticistica la cui ‘autorità’, partendo dal papa, ‘scendeva’ ai vescovi, quindi ai preti, infine alla base dei laici ‘obbedienti’. Il Concilio ha affermato invece che occorre partire dalla base, cioè dal Popolo di Dio (quindi dal battesimo che tutti i fedeli cristiani hanno ricevuto), per poi ‘scendere’ al clero, religiosi, vescovi, papa (che non per niente si è definito, già secoli fa, ‘servus servorum Dei’)! Per questo oggi l’individualismo e il rinchiudersi nei piccoli ghetti clerical-tradizionali serve solo a lamentarsi dei ‘giovani che non partecipano’, o che ‘non c’è più religione’ o ‘non si trovano vocazioni’ (ma a Frascati abbiamo avuto notizia di alcune vocazioni locali...emigrate altrove!), e scempiaggini del genere, con pericolose nostalgie. Occorre recuperare fattivamente il concetto e la prassi di ‘Popolo in cammino’ che certamente - parlando di Chiesa - non va confuso con una sorta di ‘democrazia’ ma valutato nella sua corretta configurazione ‘comunionale’.  

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Qualche tempo fa, il Papa aveva ricordato che: «Molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegna­to sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s’impegna come cri­stiano nella vita pubblica»

Il Papa ha perciò messo in guardia a che il sinodo non sia una “convention” ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico, perché non sia un parlamento, ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito (10 ottobre 2021).   Aprendo il percorso sinodale, Francesco ha pertanto affermato: iniziamo con il chiederci tutti – Papa, vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, sorelle e fratelli laici –: noi, comunità cristiana, incarniamo lo stile di Dio, che cammina nella storia e condivide le vicende dell’umanità? Siamo disposti all’avventura del cammino o, timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle scuse del “non serve” o del “si è sempre fatto così”? Fare Sinodo significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme. Guardiamo a Gesù, che sulla strada dapprima incontra l’uomo ricco, poi ascolta le sue domande e infine lo aiuta a discernere che cosa fare per avere la vita eterna. Incontrare, ascoltare, discernere”.

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     Perciò oggi (ri)cucire il tessuto di una comunità cristiana visibile ma anche estroversa e ‘missionaria’ (‘in uscita’ come direbbe il papa), certamente non è facile, ma il Sinodo potrà essere una occasione, forse l’ultima, da non perdere. Questa modalità di aprirsi della Chiesa odierna più che un avvenimento dovrà essere un metodo: quello di una comunità che insieme avanza, ovviamente alla luce della Parola e nella attenzione alla realtà sociale e non solo ecclesiale. E qui due parole vanno spese sul termine ‘sinodo’, in quanto anche nelle nostre chiese (parrocchie, gruppi, organismi pastorali, ecc.) forse se ne parlerà, ma spesso senza specificare cosa vuol dire ‘sinodale’. Infatti la parola greca, e anche latina, di Synodus (che tra l’altro è femminile; la sinodo!), indica il camminare-insieme, ecco perché si tratta di un metodo e non di semplice convegno o di un raduno e tantomeno di una Messa solenne.

Un metodo che deve coinvolgere tutti, cominciando dalla ‘base’, mettendola in grado di poter usufruire di ‘strumenti’ adeguati di partecipazione e di accoglienza di domande, istanze, suggerimenti, e quindi superando e avendo il coraggio anche di ‘abolire’ uffici, organismi che perpetuano solo un ‘potere’ clericale e una prassi che poco ha di pastorale. E questo in particolare nella diocesi tuscolana. Più volte è stato ricordato da più di qualcuno che mancano dei ‘luoghi’ effettivi e non solo formali di aggregazione e di scambio di idee ed esperienze, mentre si calendarizzano dall’alto scadenze e indottrinamenti che ‘evangelizzano’(?) quanti, nella solita cerchia dei ‘salvati’, sono già…’evangelizzati’! Molte assemblee sinodali in tante diocesi si svolgono nelle loro cattedrali (e non solo per le liturgie!) e non in luoghi riservati e comunque non frequentati normalmente.gottodoro mamilio

Le tre tappe che ha indicato il papa aprendo il Sinodo, sono quelle dei tre livelli: diocesano, nazionale, e infine ‘mondiale’ (con i vescovi del mondo). La preoccupazione è quella che, nell’itinerario di queste tappe, non si perda - cammin facendo - quanto di più genuino possa esprimersi nella prima tappa, quella diocesana, per annacquare problemi e richieste - ed anche nel sopravvalutare quegli aspetti comunque positivi che certamente emergeranno - con la conseguenza di riclericalizzare il tutto.

C’è un interrogativo di fondo che occorre giustamente valutare, come ha messo recentemente in evidenza il sociologo Diotallevi: “la Chiesa si limiterà a rispecchiare passivamente le differenze che frammentano la società e la cultura? Si lascerà colonizzare e dividere dalle linee di frattura della politica o saprà produrre un dibattito originale tra orientamenti diversi e in competizione tra loro, ma originali? (‘Il Messaggero’, 10 ottobre 2021).

Aggiungeva ancora Diotallevi: “Lo stato di frammentazione in cui versa il clero e le ferite inferte per decenni all’Azione Cattolica (‘laici obbedienti in piedi’) si fanno sentire eccome… Anche per questo il sinodo potrebbe essere un processo di portata storica o un fallimento altrettanto epocale.     

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«Le nostre Chiese in Italia - come scrivono i Vescovi italiani nel recente Messaggio - sono coinvolte nel cambiamento epocale; allora non bastano alcuni ritocchi marginali per mettersi in ascolto di ciò che, gemendo, lo Spirito dice alle Chiese. Siamo dentro le doglie del parto. È tempo di sottoporre con decisione al discernimento comunitario l’assetto della nostra pastorale, lasciando da parte le tentazioni conservative e restauratrici e, nello spirito della viva tradizione ecclesiale – tutt’altra cosa dagli allestimenti museali – affrontare con decisione il tema della “riforma”, cioè del recupero di una “forma” più evangelica; se la riforma è compito continuo della Chiesa (“semper purificanda”: Lumen Gentium 8), diventa compito strutturale, come insegna la storia, ad ogni mutamento d’epoca».

 

   In quanto alla nostra diocesi, oltre a ‘reinventare’ luoghi e modalità adeguati per l’ascolto e la partecipazione, avrà urgentemente bisogno di uno strumento che informi (e sia anche al servizio del sinodo), perché - senza finti ossequi - occorre pur rilevare che il sito della diocesi (di cui ci si invita continuamente a collegarsi, affermando pure che è seguito da ‘migliaia’ -sic- di persone!), da anni serve solo alla calendarizzazione di appuntamenti catechistici nella speranza di indottrinare qualche altro adepto oltre la cerchia dei soliti ‘affezionati’ (e chiamiamoli così), ma non anche alla informazione di base per una comunità cristiana che possa essere aiutata a discernere e a condividere problemi e difficoltà ma anche speranze ed eventuali ‘risultati’ di un cammino che sia veramente comunitario, e non indirizzato formalmente a tutti ma in realtà ‘seguito’ da pochi e su cui mai si fa una verifica.

     Per fare un solo esempio che potrebbe sembrare anche banale, ma che fa parte della vita ordinaria di una comunità: non abbiamo mai ‘letto’ sul sito diocesano una sola notizia riguardo quei ‘nostri’ preti che sono scomparsi in questi ultimi anni (almeno 5 o 6 e tra questi, gli ultimi, don Giancarlo Schiboni, don Quirino Lupelli, don Natangeli e qualche religioso, magari anche ringraziandoli…post-mortem), e nemmeno sull’”avvicendamento” di parroci e altri preti dalle parrocchie, così come non c’è mai un resoconto, un ‘verbale’, una notizia su argomenti e problemi socio-ecclesiali dibattuti(?) nel cosiddetto Consiglio pastorale o dal Consiglio Presbiterale o dalle associazioni diocesane. E talvolta le rarissime ‘informazioni’ che si danno, sono eccezionalmente solo in risposta alle ‘provocazioni’ di qualche malcapitato fedele che giustamente vorrebbe notizie, in merito anche a trasferimenti di parroci o similia. Lo stesso annuncio del 19 settembre scorso, della nomina del nuovo parroco della parrocchia di san Pietro (tra l’altro insediato solo in questi giorni) è stato comunicato solamente in qualche Messa in cattedrale ai pochi fedeli presenti; e gli altri? Così come da diversi giorni circola la notizia (fondata o no?) della nomina di un nuovo vicario ‘generale’ (al posto dell’ex, don Raffaello Torelli). Ma chi è, e dove e quando è stato comunicato? Perché si devono ascoltare solo le ‘voci’ e magari le ‘chiacchiere’ di corridoio’? Ci si aspetterebbe pure che sul sito diocesano, almeno una tantum, si possa anche ritrovare magari un brano del Vangelo anche col commento del Vescovo. Ma non l’abbiamo mai trovato. In compenso ci sono tanti ‘decreti’ e norme e ‘uffici’ di curia che dimostrano forse un autogratificante e comunque inconcludente…funzionalismo, con un laicato (anche quello associato) ai margini della ‘pastorale’ e in funzione solo ‘discente’ (la ‘scolaresca’), per cui si è pure indotti a pensare che probabilmente, se questo laicato non si pronuncia, vuol dire che anche ad esso fa comodo così. E chi proprio avesse voglia di informarsi mediante il sito diocesano (diocesifrascati.it) troverebbe di questi uffici, i nomi di diversi incaricati (designati come ‘responsabili’ o ‘referenti’) che da tempo si sono dileguati o dimessi, ed altri di cui non si conosce quale sia la loro concreta funzione. Senza contare di un Annuario (datato 2012), zeppo di errori storici e di dati completamente superati. Del resto non si è mai voluto pubblicare un foglio diocesano che fosse fonte principale di informazioni ma anche tribuna, sia pur rispettosa, di dibattito. Come sottolineava il cardinale Marcello Semeraro, riferendosi alle parole del papa (in EG. N.32), “una eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria”.

Ancora, papa Francesco parlando ai fedeli della sua diocesi di Roma e quindi ai nostri…’vicini’ di casa, avvertiva: siamo caduti, in certi casi, nella dittatura del funzionalismo. È una nuova colonizzazione ideologica che cerca di convincere che il Vangelo è una saggezza, è una dottrina, ma non è un annuncio, non è un kerygma. E tanti lasciano il kerygma, inventano sinodi e contro-sinodi… che in realtà non sono sinodi, sono “risistemazioni”.

In un suo libro il benedettino Ghislain Lafont (recentemente scomparso), scriveva sulla necessità di una Chiesa che accompagni con discrezione gli uomini e le donne del nostro tempo e sia abbastanza umile da accettare di imparare da loro. Una Chiesa in comunione critica con il mondo attuale piuttosto che in opposizione a esso. Una Chiesa impegnata nella coraggiosa riforma di istituzioni antiquate (‘L’Eglise en travail de reforme’, Cerf, 2011).

Insomma anche il sinodo diocesano tuscolano se non si impegna a dialogare ‘dal basso’, ripresenterà la solita inutile formalità le cui conclusioni si daranno per scontate e già…attuate! Se poi nella scelta dei ‘sinodali’ ci si volesse esimere dalle elezioni (di laici e preti) e dei religiosi/e, (previste pure dal diritto canonico), non ci sarebbe proprio la dimostrazione di una pastorale aperta e che voglia ripartire dalla ‘gioia del vangelo’ (Evangelii gaudium).

E per concludere, una nota personale.

Qualcuno, in questi giorni mi suggeriva che - per ‘carità cristiana’ - facessi a meno di esternare queste riflessioni del tutto personali, seppur condivise da alcuni (pochi? tanti?); ma mi chiedo se stare in silenzio e non suscitare un dibattito e un dialogo, anche con rispettosi rilievi e qualche critica, sia veramente ‘carità’ o piuttosto un rintanarsi nel quieto vivere per non ‘sbilanciarsi’ e restare sulle nuvole dell’irenismo. In tal caso probabilmente si darebbe una mano a spegnere quello Spirito che pur da qualche parte soffia ancora, avendo il coraggio anche di ‘obbedire in piedi’! Del resto in ogni buona comunità, sociale, politica, religiosa, ecclesiale, si considerano e rispettano le diversità di pareri (e dei carismi) valutando problemi e difficoltà e cercando di risolverli insieme e alla luce del sole (oltre che ovviamente della Parola). Il non farlo può portare all’incancrenirsi dei mali e talvolta ad una antipatica contrapposizione personalistica sempre deleteria.