Vasco Pratolini, l’Italia del suo tempo spiegata attraverso l’umanità

Pubblicato: Domenica, 12 Gennaio 2020 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - 12 gennaio 1991 muore l'autore di ‘Cronache di poveri amanti’

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In occasione di un’intervista televisiva all’inizio degli anni sessanta, quando potevi trovarlo la sera in Via Veneto per comprare il giornale, Vasco Pratolini disse di non riconoscersi come un ‘fiorentino di Firenze’. Questa visione – affermava – aveva in sé qualcosa di municipale che non gli apparteneva, non lo riguardava.

Sia bene chiaro: Pratolini era orgoglioso di essere nato a Firenze, di essersi formato culturalmente lì, era tra quelle vie e quelle piazze, infatti, che si era nutrito di Machiavelli, Boccaccio e Dante, oppure di Aldo Palazzeschi. Ma la sua Firenze era come un Universo. La sua gente, la sua umanità, era quella che meglio conosceva meglio e sulla quale aveva ambientato i suoi romanzi più noti. “L’arte – diceva – è ricerca”. E ognuno, spesso, ricerca il proprio oro nel proprio orto, zappando fino al centro della terra per scoprire quanta più verità possibile.

Pratolini è indicato ancor oggi come uno dei creatori della corrente neorealista in Italia e come uno dei maggiori autori del Novecento. Troppo spesso relegato in soffitta, ha raccontato meglio di altri la coscienza della sua città natia negli anni del fascismo e la psicologia dell'Italia uscita dalla guerra civile. E’ stato uno scrittore serio, aperto alle tematiche sociali, narratore scrupoloso di un’umanità che non c'è più.

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VITA E FORMAZIONE - Pratolini nasce a Firenze il 19 ottobre 1913 nel quartiere popolare di Via de' Magazzini, da una famiglia di umili condizioni aggravate dalla morte della madre, che avviene quando Vasco ha appena cinque anni. Da ragazzo svolge in molti mestieri per sopravvivere: garzone di bottega, venditore ambulante, barista, non trascurando mai il suo grande amore per i libri. Legge Dante, Alessandro Manzoni, Jack London, Charles Dickens, Mario Pratesi, Federigo Tozzi. Cresce in un ambiente letterario fiorentino influenzato dalla riviste che in città sorgono a fanno la storia della cultura italiana in tutte le sue sfumature dell'epoca.

Grazie ad Elio Vittorini prende contatti con il mondo letterario e diviene redattore, assieme a Romano Bilenchi, de ''Il Bargello'', rivista fondata dal geraraca fascista Alessandro Pavolini nel 1929. Con lui collaborano Alfonso Gatto, Berto Ricci, Ottone Rosai, Romano Bilenchi e Indro Montanelli. Un cantiere di spinte ideali verso quel ''fascismo di sinistra'' e quella sinistra reale che nel dopoguerra si schierò apertamente con il Pci e comunque dentro una cultura democratica. Non è un caso che è proprio in questo contesto che Pratolini focalizza e perfeziona la sua "coscienza proletaria" e di classe, e pubblica i suoi primi scritti letterari nel 1937 su ''Letteratura''.

Durante gli anni universitari è iscritto ai Gruppi Universitari Fascisti e partecipa ai Littoriali della cultura e dell'arte. Nel 1938 fonda con Alfonso Gatto la rivista ''Campo di Marte'', distribuita dall'editore Vallecchi, nella quale i due redattori cercano di saldare la loro sensibilità privata e letteraria con quella pubblica e politica. Numerosi e coraggiosi furono tutti i contributi dati sulla rivista, soprattutto quelli riguardanti il rapporto letteratura-società, tanto da far crescere attorno alla pubblicazione ostilità e le polemiche.

Nell'ottobre 1939, si trasferisce a Roma e trova impiego presso la Direzione generale delle belle arti del Ministero dell'educazione nazionale; per integrare lo stipendio ministeriale cerca nuove collaborazioni editoriali. Nell'aprile 1941 sposa Cecilia Punzo, attrice napoletana. Negli stessi giorni uscì Il tappeto verde, a cui seguono: Via de' Magazzini (1942), Le amiche (1943), Il Quartiere (1944).

Nell'ottobre 1941, il Ministero dell'educazione nazionale lo nomina professore di storia dell'arte presso i Torino, poi va a Modena. Nel luglio seguente torna a Roma, dove si unisce ad alcuni militanti comunisti, partecipando alla Resistenza. Nel 1943 è responsabile politico del Partito Comunista Italiano per il settore Flaminio-Ponte Milvio.

Tra il 1944 ed il 1945 nasce la sua figlia Aurelia, un anno dopo muore il fratello Ferruccio, poi va a vivere a Milano.

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LO SCRITTORE - Il dopoguerra è il tempo di un romanzo straordinario, ‘Cronaca familiare’, che proprio l’autore commenta all’inizio con queste parole: “Questo libro non è un’opera di fantasia. È un colloquio dell’autore con suo fratello morto. L’autore, scrivendo, cercava consolazione, non altro. Egli ha il rimorso di aver appena intuita la spiritualità del fratello, e troppo tardi. Queste parole si offrono quindi come una sterile espiazione”. E’ lo stesso Vasco, infatti, ad essere il il protagonista delle tappe che introducono il lettore dentro la sua fanciullezza, l’assenza della madre, il rapporto con il fratellino Ferruccio (Dante), inerpicandosi dentro le antitesi sugli stili di vita dei due, le visioni, le educazioni differenti. Con una figura nobile, quella della nonna, che funge da collante a due mondi all’apparenza diversi. L’affetto fraterno tornerà poi da adulti. Nonostante le avversità, il romanzo, nonostante il tragico epilogo, è quasi una raccomandazione a rendersi conto che non è ma troppo tardi per volersi bene.

Pratolini conosce bene l’umanità del suo tempo. E uno degli esempi di questa profondità e questa cultura è ‘Cronache di poveri amanti’, uno dei testi più belli della letteratura italiana, dove i protagonisti sono gli abitanti di una strada: Via del Corno.

La vicenda è ambientata tra il 1925 e il 1926 in una zona in gran parte di proletari e sottoproletari tra Palazzo Vecchio e Santa Croce, la stessa via in cui l'autore aveva trascorso alcuni anni della sua giovinezza. Un romanzo corale che descrive l’affermarsi del fascismo, dove le vicende private dei personaggi si intrecciano con gli eventi che segnarono in quegli anni la storia d'Italia.

‘Cronache’ in realtà, quanto meno seguendo le dichiarazioni dello stesso Pratolini, ebbe un decennio di ‘gestazione’. Lo scrittore, infatti, arrivò a Via del Corno nel 1927, quattordicenne, con la nonna materna. Nell’estate del 1918 Nella Casati, madre dell’autore, era morta poche settimane dopo aver dato alla luce il secondogenito, Dante. Erano stati dunque i nonni materni a crescere Vasco, mentre suo fratello era stato affidato a una famiglia benestante.

A Via del Corno Pratolini rimase sino al 1930. Sono gli anni “che mi innamorai per la prima volta – disse- in cui cominciai a portare a casa un salario, e potei disporre di due o tre lire, la domenica. Uno di quei momenti che resistono a lungo nella memoria”. Sono i tempi, anche, di una umanità nuova e da conoscere, dove crescono le piccole cose quotidiane che creano tutta la cornice dell’esistenza: “Ha cantato il gallo di Nesi carbonaio- scrive - s'è spenta la lanterna dell'Albergo Cervia. Il passaggio della vettura che riconduce i tranvieri del turno di notte ha fatto sussultare Oreste parrucchiere, che dorme nella bottega di via dei Leoni, cinquanta metri da via del Corno”.

Nelle ‘Cronache’ Pratolini si trova dunque ad essere una sorta di regista che narra non più solo le vicende personali di un gruppo di persone, ma le sorti di tutta la comunità, il quartiere, Firenze, l’Italia. In Via del Corno è possibile trovare il fascismo che arriva, l’antifascismo, l’amore, la solidarietà, le rivalità, le angosce quotidiane. La storia che trova la sua sintesi dentro al mondo piccolo.

Anni dopo, con ‘Lo scialo’, descriverà invece la storia della borghesia ai tempi dell'avvento della dittatura, dove il protagonista rinuncia ai suoi ideali giovanili socialisti per opportunismo e convenienza.

Nel dicembre 1948, Pratolini trasferì a Napoli, dove visse sino al 1952, insegnando all'Istituto Statale d'Arte "Filippo Palizzi". Intanto, oltre a Cronache di poveri amanti, scrisse ‘Un eroe del nostro tempo’ (1949), ‘Le ragazze di San Frediano’ (1949). Testi che diventeranno anche pellicole cinematografiche di qualità. Collaborò negli anni successivi alla sceneggiatura di alcuni film famosi: ‘Paisà’ di Roberto Rossellini, ‘Rocco e i suoi fratelli’ di Luchino Visconti, ‘Le quattro giornate di Napoli’ di Nanni Loy. Nel febbraio 1955, presso Vallecchi, pubblica il ‘Metello’, primo volume della trilogia Una storia italiana. Il romanzo vinse il prestigioso premio Viareggio.

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Pratolini, per tutti gli anni a venire, non interruppe mai la sua dinamicità intellettuale, collaborando con vari intellettuali e scrittori, occupandosi di traduzioni e alla formazione di progetti editoriali, culturali e riviste in una nazione che stava cambiando velocemente. 

In lui è passata molta della storia sociale d’Italia in un periodo di grandi eventi e enormi tragedie, raccontate, grazie alla sua capacità narrativa ed in parte del suo percorso autobiografico, con uno stile che ha saputo raccogliere tutti i cocci delle esistenze viste o vissute, ricomponendoli in una scultura di parole, sofferenze, speranze e sentimenti che ancora oggi rappresentano un caposaldo per comprendere meglio una nazione partendo da un quartiere o da una strada. La città, appunto, che si fa Universo.

Morì il 12 gennaio del 1991. È sepolto al Cimitero delle Porte Sante di Firenze.