Sacco e Vanzetti, condannati a morte perché italiani e anarchici. Storia di un crimine giudiziario

Pubblicato: Giovedì, 23 Agosto 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI – Il 23 Agosto del 1927 l’esecuzione capitale che scosse il mondo

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Il giudice che li mandò sulla sedia elettrica li definì “bastardi”. Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, italiani e anarchici, nel 1927 subirono anche questa onta prima della loro esecuzione. Un fatto di un’altra epoca, ma con sintomi in fondo sempre attuali, raccontanti in modo straordinario in un film di Giuliano Montaldo, nel 1971, con un gigantesco Gian Maria Volonté.

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Un fatto lontano, è vero, ma allo stesso tempo vicino. Sopratutto come caso esemplare su un certo giudizio che a volte la società esercita nei confronti di chi ci è lontano e vediamo distante. Un esempio storico di come si possa trasformare un clima di diffidenza e di odio in un tremendo delitto.

Due anarchici italiani, Sacco e Vanzetti, emigrati negli Stati Uniti a inizio Novecento. Condannati a morte per rapina a mano armata e omicidio con un processo sommario. Finirono sulla sedia elettrica, uno a distanza di sette ore dall’altro, a Charlestown. Eppure erano innocenti.

A seguito di un attentato dinamitardo attribuito al movimento anarchico e mai rivendicato, furono infatti rastrellati numerosi italiani. I due imputati finirono davanti alla corte, ma in sede dibattimentale non solo emerse la loro innocenza, ma anche la volontà delle autorità di compiere una sorta di gesto politico, condannando a morte in maniera esemplare due 'sovversivi'. A nulla serviranno le mobilitazioni della comunità locale, non solo quella italiana, e dei comitati di liberazione dei detenuti. 

Ferdinando Nicola Sacco era di Torremaggiore, in provincia di Foggia. Bartolomeo Vanzetti di Villafalletto, in provincia di Cuneo. Il primo faceva l’operaio in una fabbrica di scarpe. Il secondo, dopo aver girovagato negli Stati Uniti d’America facendo molti lavori, rilevò un carretto per la vendita del pesce. Due destini simili, diversi per origine geografica e cultura. Condivisero drammaticamente l’accusa dell’omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio “Slater and Morrill” di South Braintree. A nulla valse, per discolparli, la confessione del detenuto portoghese Celestino Madeiros, che li scagionò. Solo a cinquant’anni esatti dalla loro morte, il 23 agosto 1977, Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconobbe gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti. La storia ha tempi lenti.

Un crimine giudiziario, come lo ha definito qualcuno, e anche un paradigma della più aberrante intolleranza arricchita da agghiaccianti stereotipi e di odio per il diverso politico e di nazionalità. La vera “colpa” di Sacco e Vanzetti era infatti di essere italiani e anarchici. Vittime del pregiudizio, della discriminazione, del razzismo. Lo stesso che verso gli italiani aveva commesso altri crimini odiosi (Leggi in: Afroamericani, ebrei e siciliani: i primi cento anni del Jazz. Beato chi ci è caduto dentro – VIDEO). Ma Sacco e Vanzetti, in quei giorni, misero la dignità delle idee e del valore umano davanti a tutto e fino all’ultimo istante non rinnegarono mai le proprie origini. Politiche e sociali.

Al loro funerale parteciparono 400mila persone. Tra loro circolava un braccialetto: “La giustizia è stata crocefissa”.