Reggio Calabria 1970, la rivolta sociale più lunga della storia repubblicana

Pubblicato: Sabato, 14 Luglio 2018 - Fabrizio Giusti

ACCADDE OGGI - Il 14 luglio del 1970 scatta la mobilitazione urbana più importante, per numero di partecipanti e durata, d’Italia. Monopolizzata dalla destra, guardata con interesse e simpatia dall’estrema sinistra

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Un campo di battaglia, al cui interno non c'era solo il tradizionale e mai risolto ‘disagio del Sud’, ma anche l'abbandono e l’isolamento di una parte della società italiana dell'epoca (e di oggi).

Giorni di rabbia che sono stati identificati storicamente con il nome di ''moti di Reggio o “rivolta di Reggio Calabria'', una sommossa popolare che dal luglio del 1970 al febbraio del 1971 tenne banco all'indomani della reazione popolare scatenatasi dopo la decisione di destinare il capoluogo di regione a Catanzaro (a seguito dell’istituzione degli enti regionali). Secondo alcuni storici è stata l’insurrezione più grande - per durata, grado di partecipazione e intensità - della storia d’Europa post-bellica.

Nei giorni seguenti l’assegnazione a Catanzaro il malcontento fu politicamente trasversale, ma in una seconda fase furono i movimenti di destra, ed in particolare il Movimento Sociale Italiano, a ricoprire un ruolo di primo piano nell’interpretazione e la monopolizzazione del disagio che montava. Alla radice della protesta, gli antichi guai che affliggevano la città: economia di basso profilo, disoccupazione, migrazione verso il nord, povertà.

Il sindacalista della Cisnal, Ciccio Franco, rilanciò il famoso motto ''Boia chi molla'' (usato già ai tempi della prima guerra mondiale dagli Arditi) e ne fece un cavallo di battaglia per cavalcare la protesta dei reggini, indirizzandola verso una connotazione antisistema e fortemente polemica nei confronti di un governo che non sapeva ascoltare la voce del sud più profondo ed arretrato.

In quei giorni di luglio venne proclamato un primo sciopero, dalla scarsa adesione, a causa della defezione della Cgil, sindacato che si dichiarò sostanzialmente indisponibile a ''battaglie di tipo campanilistico". Anche il Pci e il Psi si chiamarono fuori e il giorno seguente fu così organizzato una nuova iniziativa di astensione del lavoro a cui parteciparono circa un migliaio di persone fino a Piazza Italia, dove il sindaco Pietro Battaglia tenne un comizio appassionato per la riaffermazione delle proprie rivendicazioni territoriali. E' nella serata, però, che gli eventi presero una piega diversa. Occupata la stazione ferroviaria, i manifestanti vennero fatti oggetto di un durissimo intervento delle forze dell'ordine, con arresti e almeno una quarantina di feriti. Il 15 luglio vennero assaltate le sedi del Pci e del Psi. Gli scontri in strada furono violenti e nel tentativo di reprimerli la polizia caricò di nuovo. Bruno Labate, 46 anni, iscritto alla Cgil, perse la vita. In occasione dei sui funerali, le forze dell'ordine presidiarono il corteo con i mitra. Mille giovani assaltarono comunque la questura e il questore Emilio Santillo, con prudenza, sangue freddo, impedì agli agenti di aprire il fuoco.

Da questo momento in poi la sommossa assunse un carattere di sfida.

Il vero motore organizzativo e politico della mobilitazione fu il ''Comitato d'azione per Reggio capoluogo'', i cui principali esponenti erano Ciccio Franco, l'ex comandante partigiano Alfredo Perna, Rocco Zoccali, Rosario Cassone, Franco Arillotta, Giuseppe Avarna duca di Gualtieri e Fortunato Aloi. Ex partigiani e uomini della destra assieme, quasi a circoscrivere un atteggiamento che voleva andare al di là delle etichette che già apparivano sui giornali e che misuravano già la sconquasso di Reggio dentro ad un'identità esclusiva.

Il 17 settembre 1970 Ciccio Franco e Alfredo Perna furono arrestati con l'accusa di istigazione a delinquere e apologia di reato. Condannati, furono rimessi in libertà provvisoria il 23 dicembre 1970. Nelle stesse ore due armerie e la Questura vennero prese d'assalto da centinaia di persone. Un poliziotto, Curigliano Vincenzo, 47 anni, morì di infarto.

Nuovamente ricercato dalla polizia, Franco, nel febbraio 1971, rimane per un breve periodo latitante. Viene raggiunto nel suo rifugio segreto dalla giornalista Oriana Fallaci, alla quale – per spiegare la nascita dei moti e la loro evoluzione politica – afferma: ''Specie nei quartieri popolari v'erano tanti ragazzi che ritenevano che Reggio potesse esser difesa dai partiti della sinistra o di centro-sinistra. E, dopo la posizione assunta dai partiti di sinistra e di centro-sinistra contro Reggio, questi ragazzi hanno ritenuto di dover rivedere la loro posizione anche politicamente. Molti, oggi, fanno i fascisti semplicemente perché ritengono che la battaglia di Reggio sia interpretata in modo fedele solo dai fascisti''.

In Italia, nel frattempo, nasce il governo guidato dal democristiano Emilio Colombo. Inizia contestualmente una sorta di opera di ''demolizione mediatica'' dei fatti di Reggio Calabria. Dopo l'iniziale interessamento alle cause che avevano spinto l'inizio della protesta, infatti, tutti i maggiori quotidiani si limitarono a ridurre la cronaca come un fatto violento, marginale, di campanile, sotto controllo o strumentalizzato politicamente.

Molti giovani neofascisti, in quelle giornate di lotta, accorsero nella città. Tuttavia i moti trovano un sostegno ideale anche da parte della sinistra estrema, ove l'idea di una "rivolta proletaria" stuzzicò varie analisi e considerazioni positive, sopratutto da parte di Lotta Continua, del Movimento Studentesco milanese, di 'Servire il popolo' e anarchici.

Alcuni quartieri si autoproclamarono indipendenti: la 'Repubblica di Sbarre', il 'Gran ducato di Santa Caterina'.

Uno degli appartenenti agli ‘Anarchici della Baracca’ scrisse: “Padroni bastardi, del capoluogo non sappiamo che farcene! Il capoluogo va bene per i burocrati, gli speculatori, i parassiti, i padroni e i politicanti più grossi; va bene per le manovre dei caporioni locali, per il sindaco Battaglia e per i caporioni falliti. Va bene per il tentativo di questi “uomini importanti” di accrescere il loro potere locale, la loro area di sfruttamento, facendoci sfogare anni di malcontento con la falsa lotta per il capoluogo, dopo che hanno mandato i nostri figli e i nostri fratelli a lavorare all'estero e continuano a sfruttarci nella stessa Reggio. I cosiddetti “datori di lavoro”, che in realtà sono luridi padroni, sono i nostri nemici, quegli stessi che ci mandano allo sbaraglio per il capoluogo, per la Madonna o per la squadra di calcio. Il capoluogo non ci serve! Lottiamo per farla finita con l'emigrazione, con la disoccupazione, con la fame!”.

La ‘Baracca’ era il nome di riconoscimento della struttura dove i giovani di area anarchica usavano ritrovarsi. Nato come alloggio d'emergenza dopo il terremoto del 1908, era diventato in quegli anni un centro d'aggregazione per gli ‘alternativi’ di Reggio e dintorni. Alcuni militanti della 'Baracca' svolsero un’opera di indagine sia sulle eventuali infiltrazioni dei gruppi di estrema destra come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale nella rivolta, ma anche sul deragliamento di un treno, avvenuto il 22 luglio 1970, avvenuto a Gioia Tauro (sei morti e 66 feriti), causato, secondo l'attività promossa dai ragazzi, da una bomba posizionata da militanti neofascisti in collaborazione con uomini della criminalità organizzata.

Raccolto il materiale, cinque degli anarchici decisero di recarsi a Roma per consegnarlo alla redazione di 'Umanità Nova'. Il 26 settembre morirono sull'Autostrada del Sole, all'altezza di Ferentino, in un incidente stradale causato da un camion. Si chiamavano Angelo Casile, Franco Scordo, Gianni Aricò, Annalise Borth, Luigi lo Celso. Avevano tra i 18 e i 26 anni. I documenti e le agende dei giovani non furono mai ritrovati. Alcune inchieste di controinformazione parlarono di strage e omicidio organizzato. Non ci furono mai sviluppi sulla vicenda. 

Per mesi la città di Reggio si trasformò in una sorta di barricata diffusa. Una comunità paralizzata dagli scontri ripetuti con la polizia accentuati da una serie di attentati dinamitardi che interruppero le comunicazioni ferroviarie o distrussero le apparecchiature della stazione di Reggio Calabria Lido. Il Ministro degli interni Franco Restivo, annunciò che solo dal 14 luglio al 23 settembre furono compiuti 13 attentati dinamitardi, 33 blocchi stradali, 14 blocchi ferroviari, 3 blocchi portuali e aeroportuali, sei assalti alla prefettura e quattro alla questura. Per questi motivi, l'esecutivo fu quindi costretto, dopo alcuni mesi in cui la situazione non accentuava a placarsi, ad assumere provvedimenti di carattere eccezionale. La reazione più vistosa agli aventi la diedero i i metalmeccanici e gli edili dei sindacati che organizzarono in seguito una manifestazione, il 22 ottobre 1972, con l’idea di rinnovare la solidarietà dei lavoratori del nord verso quelli del meridione. Sul percorso dei treni che portavano operai di tutta Italia scoppiarono ben otto bombe. Il viaggio - con la sua drammaticità, le paure, ma anche con la sua tensione e il suo coraggio - fu poi raccontato da un brano di Giovanna Marini. 

La rivolta si concluse a dieci mesi dal suo inizio con l'inquietante immagine dei carri cingolati che arrivarono in una città sfiancata, muta. Oltre alla forza, per la soppressione delle mobilitazioni, si ricorse al cosiddetto "Pacchetto Colombo" che portò ad un’insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria (la giunta regionale a Catanzaro, il consiglio a Reggio Calabria) e all'insediamento nel territorio di apparati produttivi che non si completarono o entrano a far parte dell'orbita di speculazione della criminalità organizzata. 

I moti di Reggio Calabria furono un fatto a sé nella storia del meridione. La prima rivolta ''identitaria'' d'Europa, l'ultima di natura popolare, la più diffusa e la più lunga. Costò sei morti tra i civili, centinaia di feriti e migliaia di denunce. 

Un fatto che è passato nella storia d’Italia. Rimosso, ricordato con fatica.